LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18627/2018 proposto da:
A.O.J., elettivamente domiciliato in Roma V.le Angelico 38 presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno e Commissione Territoriale per la protezione internazionale di Firenze, Sezione distaccata di Perugia, elettivamente domiciliati in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che li rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di PERUGIA, depositata il 10/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.
FATTI DI CAUSA
1. A.O.J., nato a ***** (*****, Nigeria), ha proposto ricorso per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale che ha rigettato il suo ricorso, con il quale era stato dedotto che l’attuale situazione della Nigeria doveva indurre a superare i rilievi sulla credibilità del racconto articolato di fronte alla Commissione territoriale – nel quale si riferiva di temere la vendetta del proprietario di una casa ove egli svolgeva lavori di elettricista che era stata distrutta da un incendio, cui avrebbe fatto seguito l’uccisione della madre da parte dei miliziani di ***** nel villaggio di ***** ove ella era nata – e determinare il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 o quantomeno del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
2. Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi.
3. Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.
4. A.O.J. ha presentato anche memoria ex art. 380 bis.1.c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 perchè sarebbe stato omesso l’esame, ai fini della concessione della protezione sussidiaria o almeno umanitaria, della condizione di pericolosità e di violenza generalizzata esistente in Nigeria, come riconosciuto, in modo unanime, da Tribunali e Corti di appello nazionali e dalla stessa Corte di cassazione e da fonti informative nazionali ed internazionali.
6. Con il secondo motivo si fa valere identico vizio per omesso esame delle dichiarazioni rese dall’istante alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione personale del ricorrente. Il richiedente sarebbe stato soggetto “debole” ed avrebbe allegato l’incapacità del proprio Paese di assicurare un intervento di protezione, nella dedotta inutilità di ogni intervento di polizia per espresso timore verso il “sistema Paese” ed il giudice di merito avrebbe omesso di svolgere, sul punto, la dovuta disamina d’ufficio avendo il primo comunque compiuto “ogni ragionevole sforzo”, secondo il livello di preparazione posseduto, restando il dato della credibilità non influente rispetto al tema della pericolosità del Paese di provenienza. Sarebbe poi mancato l’apprezzamento dell’integrazione sociale raggiunta dal richiedente in Italia e, ai fini della concessione della protezione sussidiaria, anche ogni analisi della condizione di pericolosità e di violenza generalizzata esistenti in Nigeria.
7. Con il terzo motivo si denuncia la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in cui sarebbe incorso il Tribunale non riconoscendo la protezione sussidiaria al richiedente il cui rientro nel Paese d’origine potrebbe porlo in una condizione di grave pericolo per la sua incolumità. Non sarebbe stata infatti necessaria la coerente rappresentazione di un quadro individuale di esposizione diretta del richiedente in ragione delle attuali condizioni socio-politiche della Nigeria ed il Tribunale avrebbe mancato di svolgere una indagine ufficiosa sull’effettivo contrasto alla violenza svolto dalle autorità statuali, per i riportati esiti del sito di Amnesty International sul report EASO del giugno 2017 e di studi di organismi internazionali.
8. Con il quarto motivo si fa valere la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e si sostiene che il permesso di soggiorno non possa essere rifiutato allo straniero in caso di seri motivi di carattere umanitario, ed all’art. 19 D.Lgs. cit. che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel paese d’origine o ivi correre gravi rischi.
9. I primi tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi.
10. Essi non attingono in modo specifico la motivazione del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto non idonea a determinare il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) la situazione personale assunta dal richiedente a motivo dell’abbandono del proprio Paese, ovvero la temuta vendetta del proprietario di una casa a *****, ove egli svolgeva lavori di elettricista, che era stata distrutta da un incendio. Il Tribunale ha infatti precisato che il timore di rimpatrio non era stato legato dal richiedente agli attacchi dei seguaci di *****, relativi al breve periodo in cui egli era stato con la madre nel villaggio di nascita di questa, *****, evenienza la cui credibilità era peraltro dubbia, in assenza di riscontri sul riferito decesso della madre.
11. Il giudice di merito ha quindi argomentato che il richiedente non aveva dedotto di essere stato denunciato e di essere sottoposto a rischio di procedimento penale, sicchè la vicenda era strettamente privata, mentre aveva riferito “di avere fiducia nelle forze di Polizia del suo Paese” che avrebbero potuto tutelarlo da possibili desideri di vendetta.
12. E’ stata fatta in tal modo corretta applicazione del principio, più volte ribadito da questa Corte (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018), secondo il quale la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio. Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007,m ex art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass., 15/02/2018, n. 3758).
13. Una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal giudice territoriale e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rese sarebbe comunque inammissibile, considerato che il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico desunto da un vaglio rigoroso delle risultanze di causa.
14. I motivi richiedono invece piuttosto di valutare l’ordinanza gravata nella parte in cui ha negato la protezione internazionale sub specie di quella sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
15. A tale proposito, occorre ribadire che è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento (Cass. 24/05/2019, n. 14283, Cass., 26/04/2019, n. 11312).
16. Il Tribunale nel caso ha argomentato che a fronte della vastità della Nigeria, paese che si estende per oltre 930.000 kmq, abitato da 167 milioni di abitanti e suddiviso in 36 stati, la situazione di pericolo di cui si legge nelle COI non riguarda tutto il territorio nigeriano, bensì solo alcune zone del paese, diverse da quella di provenienza del ricorrente, ove questi ha dichiarato di aver vissuto prima dell’espatrio. Ha riferito che, come si legge nell’ultimo report sulla Nigeria dell’Unità COI del Ministero dell’Interno, risulta una situazione di scarsa sicurezza nel paese in conseguenza sia dell’attività del gruppo terroristico di militanti di *****, concentrata tuttavia in taluni stati del nord e nord-est (*****), sia di conflitti tra le varie comunità nella regione centrale del cosiddetto Middle Belt. Ha aggiunto che i più aggiornati materiali informativi (EASO 2017) confermano che, pur a fronte di una situazione inquietante in ordine alle condizioni di sicurezza nella Nigeria, comunque l'*****, a differenza di altri stati della Nigeria, ed in particolare quelli collocati nell’area settentrionale, non è attraversato da un conflitto armato violento in grado di produrre violenza indiscriminata tale da mettere in pericolo l’incolumità del richiedente in caso di rimpatrio.
17. L’accertamento compiuto dal giudice di merito rispetta dunque gli obblighi che gli sono imposti nella materia che ne occupa, nè la censura all’accertamento fattuale compiuto dal giudice di merito prospetta fatti decisivi che sarebbero stati ignorati, così come richiesto dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per la sindacabilità del vizio di motivazione.
18. E difatti, occorre ribadire da un lato che ai fini della valutazione della situazione oggettiva indicata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) deve farsi riferimento, soprattutto in un paese molto vasto e differenziato come la Nigeria, alla regione di provenienza del richiedente, dovendo escludersi la sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria qualora nella suddetta regione non sussista una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato (Cass. 28433/2018).
19. Inoltre, che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della Direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018, n. 30105).
20. Inoltre, neppure le ulteriori informazioni ritrascritte nel ricorso, che pure prospettano una situazione di gravissima criticità sotto il profilo dell’esistenza di violenze intercomunitarie con episodi di uccisioni illegali e di una generale instabilità politica in Nigeria, evidenziano elementi ignorati dal giudice di merito, decisivi in relazione alla zona di provenienza del richiedente.
21. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile: il Tribunale ha argomentato che nelle allegazioni del richiedente non risultava prospettata una situazione di vulnerabilità, dipendente da fattori soggettivi o oggettivi, che costituisce il presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria. Le deduzioni del ricorrente risultano in proposito del tutto generiche, e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che neppure si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, perchè il ricorrente fa esclusivo riferimento all’inadeguatezza delle condizioni di vita in Nigeria. E’ sufficiente però ribadire (v. Cass. ord. n. 17072 del 28/06/2018, Cass. sent. n. 4455 del 23/02/2018) che la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può essere surrogata dalla situazione generale del Paese di provenienza, perchè, altrimenti, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Stato d’origine in termini del tutto generali ed astratti. Nel caso di specie, dunque, mentre la decisione del giudice di merito, ove ha escluso la sussistenza di individualizzate ragioni ostative al rimpatrio, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la censura spiegata sul punto dal ricorrente è del tutto generica, limitandosi essa a replicare quanto dedotto circa l’insicurezza del paese e della zona di origine, che comporterebbe minaccia di un grave danno alla persona derivante dal forzato rientro.
22. Il ricorso per i motivi esposti dev’essere rigettato.
23. Le spese seguono la soccombenza.
24. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15 % e alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019