Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32931 del 13/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32571/2018 proposto da:

T.K., elettivamente domiciliato in Roma Via Torino 7 presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Vitale Gianluca, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 330/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2019 dalla Dott.ssa IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza n. 330/2018, depositata in data 19/03/2018, ha confermato la decisione del Tribunale che aveva respinto la richiesta di T.K., cittadino del Senegal, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, la Corte d’appello, confermando la statuizione di primo grado, ha ritenuto che la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Senegal per sfuggire al rischio di essere arrestato, non essendo in grado di risarcire i danni cagionati per avere accidentalmente causato un incendio in alcuni terreni e case, nonchè temendo di essere ucciso dai danneggiati) era inattendibile, in quanto presentava lacune e contraddizioni; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente (*****) non risultava interessata da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come risultava da Report di Amnesty International); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, in difetto di situazioni di vulnerabilità oggettive, con riguardo alla situazione nell’area di provenienza, o soggettive o di un particolare radicamento sul territorio italiano (essendo, in particolare, insufficiente il contratto di lavoro, prorogato all’ottobre 2017, la frequentazione di corso di sicurezza sul lavoro e la disponibilità da parte del dormitorio ***** di affidargli incarico non retribuito con vitto ed alloggio).

Avverso la suddetta pronuncia, T.K. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 art. 8, commi 2 e 3, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e art. 16 Direttiva 2013/32/UE, in relazione alla violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 in relazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, essendosi la Corte limitata a compiere una valutazione superficiale ed estemporanea sulla maturità psico-fisica del richiedente, sulla presenza di persone di riferimento in Senegal, venendo meno ai doveri istruttori illustrati ed all’esame comparativo della situazione in Italia ed in Senegal, in relazione alle prospettive di vita nei due Paesi.

2. La prima censura è inammissibile.

In materia di protezione internazionale questa Corte ha da tempo chiarito nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

L’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340). Sempre questa Corte (Cass. 27503/2018) ha precisato che ” l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate”.

Sull’indicata premessa, la valutazione sul punto svolta dai giudici di merito si sottrae a sindacato di questa Corte, avendo i primi ritenuto non credibile il racconto, anche per contraddizioni, dettagliatamente descritte, correlate alle lacune nella vicenda narrata; nè il ricorrente spiega efficacemente perchè le lacune e contraddizioni specificate dalla Corte d’appello verterebbero su aspetti secondari ed irrilevanti.

3. Anche il secondo motivo è inammissibile.

La Corte territoriale, in ordine alla protezione umanitaria, ha ritenuto che non ricorressero i presupposi richiesti dalla normativa in tema, avendo il richiedente raggiunto ormai la maggiore età, non sussistendo particolari situazioni di vulnerabilità in caso di rientro nel Paese di origine, ove egli conserva legami famigliari, avendo ancora la madre.

Il motivo risulta, in ogni caso, generico; la Corte di merito ha riscontrato l’assenza di una situazione di vulnerabilità meritevole di tutela ai fini del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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