Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32948 del 13/12/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

O.J., rappr. e dif. dall’avv. Serena Brachetti, elett. dom. presso lo studio della stessa in Perugia, piazza XIV settembre n. 69, serena.brachetti.avvocatiperugiapec.it, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Perugia 1.2.2018, n. 68/2018, cron. 405, rep. 457/18, R.G. 578/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. FERRO Massimo alla camera di consiglio del 14.11.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. O.J. impugna la sentenza App. Perugia 1.2.2018, n. 68/2018, cron. 405, rep. 457/18, R.G. 578/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Perugia 21.4.2017 che aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i relativi presupposti;

2. La corte ha ritenuto la parte attinta da una “vicenda personale”, relativa alla cerchia familiare, senza interferenza con la situazione generale dell’Edo State (zona di provenienza), a sua volta non gravata di conflitto generale come in altre parti della Nigeria ed infine escludendo una situazione soggettiva di particolare vulnerabilità;

3. il ricorso è su sei motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la violazione dell’art. 1 Direttiva 2005/85/CE, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, oltre che il vizio di motivazione, non essendo stati tradotti al ricorrente la notifica del provvedimento amministrativo di rigetto e le sue motivazioni;

2. con il secondo e terzo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 e dell’art. 1 Convenzione di Ginevra, anche come vizio di motivazione, circa il mancato esercizio della cooperazione istruttoria sulla situazione in Nigeria e il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, la non corretta applicazione dell’onere probatorio, il mancato riconoscimento di grave danno da timore di persecuzione per gravi minacce;

3. il quarto, quinto e sesto motivo contestano la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, anche come vizio di motivazione sulla sussistenza di seri motivi umanitari, per la vulnerabilità del ricorrente relativamente alle condizioni di salute e tenuto conto della raggiunta integrazione sociale nel Paese d’accoglienza;

4. il primo motivo è inammissibile, per plurimi profili; il ricorrente, invero, ha omesso di indicare, riportandone almeno gli estremi essenziali, un proprio eventuale motivo d’appello in cui la questione della mancata traduzione veniva comunque devoluta al giudice di secondo grado, anzi elencando tre censure in cui essa non compare; tale lacuna, oltre a fondare un preliminare rilievo di novità del thema decidendum, dunque di per sè non esaminabile, integra gli elementi di inammissibilità per difetto di autosufficienza dell’impugnazione; va ripetuto che “ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, la S.C. non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello, ma ha il potere – dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa, purchè il ricorrente non solo deduca di aver ritualmente impugnato la statuizione, ma – per il principio di autosufficienza – indichi elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, non essendo tale vizio rilevabile “ex officio” (Cass. 7499/2019);

5. il motivo è inammissibile, inoltre, poichè il ricorrente, nel limitarsi a dedurre il vizio di omessa traduzione della “relata di notifica del provvedimento amministrativo di rigetto” della domanda, nonchè delle motivazioni, ha del tutto evitato di indicare quale pregiudizio sarebbe occorso alla difesa ove tale traduzione fosse stata resa in termini di maggiore completezza, tenuto conto della effettiva impugnazione tempestivamente proposta e dei motivi di merito così veicolati e tutti trattati dal giudice; opera in tema il principio, cui va data continuità, per cui “l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa” (Cass. 18723/2019); e ciò poichè infatti “oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sè la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa” (Cass. 7385/2017); ne consegue che la deduzione di un vizio, nella specie del tutto parziale e senza indicazione di quali doglianze diverse e più tempestive esso avrebbe impedito di poter rappresentare nella fase impugnatoria, di per sè non integra una nullità dell’intero procedimento, avendo oltre tutto la corte d’appello deciso l’intera domanda di protezione;

6. il secondo e terzo motivo sono inammissibili ove censurano in modo improprio la motivazione della sentenza, accostando profili incongruenti con l’apprezzamento di merito insindacabile in questa sede, alla luce degli stringenti limiti di rappresentazione del vizio (Cass. s.u. 8053/2014, Cass. 30105/2018) ed anche tenuto conto che la sentenza esplicita riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dal primo giudice, pervenendo ad una verifica negativa su tutti i presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda;

7. per altri profili, gli stessi motivi sono inammissibili ove, contestando la violazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice ed avendo riguardo alla situazione in Nigeria, per un verso non considerano che la corte ha premesso un giudizio sulle motivazioni personali che avrebbero indotto il migrante al proprio trasferimento dal Paese d’origine ed alfine alla domanda di protezione, evidenziando poi una provenienza da zona (Edo State) non interessata dal medesimo conflitto del Nord della Nigeria; ciò permette di ritenere la decisione coerente con il principio, più volte reso, per cui “in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi” (Cass. 13403/2019);

8. nè il ricorrente, per altro verso, ha censurato in modo specifico l’affermazione della corte per cui è mancata la prova dell’assenza di adeguata protezione del Paese d’origine, circostanza da collegare alla zona di provenienza, alle prospettive di pregiudizio ed altresì alla natura privata delle minacce rappresentate; la corte ha escluso motivatamente da un lato l’esposizione del ricorrente ad un rischio particolare ed individuale, in considerazione del carattere privato e familiare dei contrasti e timori riferiti e della possibilità d’invocare la tutela delle forze dell’ordine, dall’altro l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato in atto anche nell’area del Paese di origine del ricorrente, sulla base d’informazioni tratte dalla fonte UNHCR; in materie di vendette private va invero ripetuto che le relative liti “per ragioni… familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 lett. b)” (Cass. 9043/2019, 26563/2019, 26426/2019);

9. inoltre, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

10. i motivi dal quarto al sesto sono inammissibili, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6"; il ricorrente, sul punto, non ha esposto situazioni soggettive specifiche o gravi ragioni, già secondo la corte, così non potendosi superare il giudizio di vulnerabilità, per genericità delle inferenze addotte, per come apprezzate dal giudice di merito, secondo i limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, mentre va condannato il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, secondo il principio della soccombenza e liquidazione come da dispositivo; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 2.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472