Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32949 del 13/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

E.B., rappr. e dif. dall’avv. Serena Brachetti, elett. dom. presso lo studio della stessa in Perugia, piazza XIV settembre n. 69, serena.brachetti.avvocatiperugiapec.it, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Perugia 14.9.2018, n. 687/2018, cron. 3306/18, rep. 3550/18, R.G. 1153/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo alla camera di consiglio del 14.11.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. E.B. impugna la sentenza App. Perugia 14.9.2018, n. 687/2018, cron. 3306/18, rep. 3550/18, R.G. 1153/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Perugia 13.9.2017 la quale aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della competente Commissione territoriale, che aveva escluso i relativi presupposti;

2. La corte ha ritenuto: a) corretto l’iter procedurale seguito, sulle preliminari questioni della traduzione solo del dispositivo della decisione amministrativa e la tardiva costituzione dell’Avvocatura dello Stato, circostanze non tradottesi in alcuna menomazione del diritto di difesa per la parte; b) inconferente il principio di non contestazione, riferito alle difese del Ministero, senza effetti sulla prova dei fatti costitutivi della domanda, in realtà ritualmente avversati e con prove tutte rimesse all’apprezzamento del giudice; c) inattendibili le dichiarazioni rese sulla persecuzione subita in Nigeria ad opera dell’associazione (pur in sè criminale) Black Axe, per difetto di coerenza ed univocità; d) infondato il rischio di grave danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per difetto di conflitto armato nella zona di provenienza della ricorrente (Edo State) ed irrilevante (oltre che non provato) il pericolo di epidemia di colera; e) insussistenti i presupposti per la protezione umanitaria alla luce degli elementi di vulnerabilità dedotti;

3. il ricorso è su otto motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la violazione dell’art. 1 Direttiva 2005/85/CE, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, oltre che il vizio di motivazione, non essendo stati tradotti al ricorrente la notifica del provvedimento amministrativo di rigetto e le sue motivazioni;

2. con il secondo viene avversata la statuizione sulla tardività della costituzione del Ministero dell’Interno e con il terzo è dedotta la violazione del principio di non contestazione;

3. con il quarto e quinto motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, anche come vizio di motivazione, circa il mancato esercizio della cooperazione istruttoria sulla situazione in Nigeria e il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, la non corretta applicazione dell’onere probatorio, il mancato riconoscimento di grave danno da timore di persecuzione per gravi minacce dalla setta Black Axe; il sesto motivo avversa l’omessa concessione della protezione sussidiaria al richiedente sur piace;

4. il settimo e ottavo motivo contestano la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, anche come vizio di motivazione sulla sussistenza di seri motivi umanitari, per la vulnerabilità del ricorrente relativamente all’integrazione sociale nel Paese d’accoglienza e al diritto all’unità familiare;

5. il primo motivo è inammissibile, poichè il ricorrente, nel limitarsi a dedurre il vizio di omessa traduzione della “relata di notifica del provvedimento amministrativo di rigetto” della domanda, nonchè delle motivazioni, ha del tutto evitato di indicare quale pregiudizio sarebbe occorso alla difesa ove tale traduzione fosse stata resa in termini di maggiore completezza, tenuto conto della effettiva impugnazione tempestivamente proposta e dei motivi di merito così veicolati e tutti trattati dal giudice; opera in tema il principio, cui va data continuità, per cui “l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa” (Cass. 18723/2019); e ciò poichè infatti “oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sè la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa” (Cass. 7385/2017); ne consegue che la deduzione di un vizio, nella specie del tutto parziale e senza indicazione di quali doglianze diverse e più tempestive esso avrebbe impedito di poter rappresentare nella fase impugnatoria, di per sè non integra una nullità dell’intero procedimento, avendo oltre tutto anche la corte d’appello deciso l’intera domanda di protezione;

6. il secondo motivo è inammissibile, per difetto d’interesse al suo rilievo; la tardività della costituzione del Ministero dell’Interno, rispetto all’udienza fissata ex art. 702 bis c.p.c., comma 3, implica solo, come correttamente indicato dalla corte, non tanto l’inammissibilità della difesa spiegata, intesa come costituzione della resistente volta ad avversare (con piena legittimazione) l’accoglimento dell’appello, ma la preclusione a domande riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili d’ufficio, così dandosi corso alla regola della decadenza di cui al comma 4 dell’art. cit.; sul punto, non consta che il dibattito processuale abbia avuto per oggetto una o più di esse, avendo rinvenuto le domande della ricorrente un rigetto nel merito per limiti di fondamento dei fatti costitutivi del diritto da essa prospettato; va altresì ricordato che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda” (Cass. 3016/2019, 11103/2019) e dunque ribadendosi l’applicazione, nei termini così coordinati, del principio dispositivo (Cass. 15794/2019); ne consegue l’assorbimento del terzo motivo di ricorso;

7. I motivi dal quarto al sesto sono, per più profili, inammissibili ed in primo luogo ove censurano in modo improprio la motivazione della sentenza, accostando aspetti incongruenti con l’apprezzamento di merito insindacabile in questa sede, alla luce degli stringenti limiti di rappresentazione del vizio (Cass. s.u. 8053/2014, Cass. 30105/2018) ed anche tenuto conto che la sentenza esplicita riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dal primo giudice, pervenendo ad una verifica negativa su tutti i presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda ed innanzitutto sulla credibilità dell’esposizione dei fatti (Cass. 21142/2019);

8. per altri profili, gli stessi motivi sono inammissibili ove, contestando la violazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice ed avendo riguardo alla situazione in Nigeria, per un verso non considerano che la corte ha premesso un giudizio sulle motivazioni personali che avrebbero indotto il migrante al proprio trasferimento dal Paese d’origine ed alfine alla domanda di protezione, evidenziando poi una provenienza da zona (Edo State) non interessata dal medesimo conflitto del Nord della Nigeria;

– ciò permette di ritenere la decisione coerente con il principio, più volte reso, per cui “in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi” (Cass. 13403/2019);

9. inoltre, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

10. i motivi dal settimo all’ottavo sono inammissibili, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6"; la ricorrente, sul punto, non ha esposto situazioni soggettive specifiche o gravi ragioni, già secondo la corte, così non potendosi superare il giudizio negativo di vulnerabilità, per genericità delle inferenze addotte, per come apprezzate dal giudice di merito; proprio il cennato orientamento non integra invero alcun automatismo tra affermata permanenza nello Stato di accoglienza (tanto più ove il giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, escluda una “avvenuta integrazione”) ed improprio diritto al ricongiungimento familiare (nella specie, essendo state negate al coniuge analoghe misure di protezione), secondo i limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass. S.U. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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