LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
I.M.N., rappr. e dif. dall’avv. Giuseppe Di Meo, elett. dom.
presso lo studio Sorrentino in Roma, via Emo n. 144, giuseppe.dimeo.avvocatiavellinopec.it, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.
ope legis dall’Avvocatura dello Stato, dom. nei rispettivi Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza App. Napoli 13.4.2018, n. 1700/2018, Rep. 1768/2018, R.G. 2576/2017;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo alla camera di consiglio del 14.11.2019;
il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. I.M.N. impugna la sentenza App. Napoli 13.4.2018, n. 1700/2018, Rep. 1768/2018, R.G. 2576/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Napoli 23.3.2017 la quale aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della competente Commissione territoriale di Caserta, che aveva escluso i relativi presupposti ma concedendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari;
2. la corte ha ritenuto che la rappresentazione della vicenda personale, incentrata su una migrazione essenzialmente economica, da un lato e la provenienza da un territorio del Bangladesh non attinto da conflitti, dall’altro, giustificavano il diniego delle protezioni maggiori, mentre – al di là dell’infondatezza anche della protezione umanitaria – sul punto già si era espressa in senso concessivo la commissione territoriale, conseguendone l’estraneità al giudizio della domanda;
3. il ricorso è su un motivo, cui resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con un unico complesso motivo si contesta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5,6 e 19, artt. 2 e 10 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c., anche come vizio di motivazione, perchè la corte avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di protezione per motivi umanitari, non vagliando la domanda ed omettendo la considerazione della difficoltà soggettiva del richiedente connessa alla propria vulnerabilità, anche tenuto conto del suo inserimento nel Paese d’accoglienza;
2. il motivo è complessivamente inammissibile; la corte ha fatto riferimento ad un permesso di soggiorno già concesso dalla commissione territoriale, così premettendo una circostanza invece contestata dal ricorrente e pur tuttavia, in un’ampia trattazione delle condizioni integrative delle richieste di protezione, ha motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti di esse tutte, così determinando anche la carenza di interesse, sotto un profilo, della odierna censura;
3. in particolare la sentenza ha inquadrato la domanda del ricorrente quale sostanzialmente derivante da una migrazione intrapresa per ragioni economiche, dedotta in una vicenda personale del tutto estranea ad un quadro di persecuzione, senza alcuna prova di gravi danni o comunque conflitti armati nella zona di provenienza del Bangladesh ed infine conducendo un’analisi altresì comparativa in punto di vulnerabilità, per come discendente effettivamente dall’allontanamento praticato e rispetto ad una prospettabile grave violazione di diritti umani fondamentali;
4. per un verso, allora, la censura su tali punti è inammissibile, ove contrasta la motivazione quale contraddittoria (Cass. s.u. 8053/2014), confusamente assomma tutti e tre i vizi, benchè eterogenei, all’altezza dell’art. 360 c.p.c. (Cass. 26874/2018), evoca in modo generico il mancato dovere di cooperazione istruttoria (Cass. 15794/2019) e infine non centra i limiti della giustificazione del diniego della protezione umanitaria, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6"; il ricorrente, sul punto, non ha esposto situazioni soggettive specifiche o gravi ragioni, già secondo la corte, così non potendosi superare il giudizio negativo di vulnerabilità, per genericità delle inferenze addotte, per come apprezzate dal giudice di merito, secondo i limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass. s.u. 29460/2019); proprio il cennato orientamento non integra invero alcun automatismo tra rivendicata permanenza nello Stato di accoglienza per via di integrazione sociale raggiunta (tanto più ove il giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, descriva il termine di comparazione alla sola migrazione economica) e generica asserzione del sacrificio dei diritti conseguente al rimpatrio (nella specie, essendo del tutto carente ogni rappresentazione persecutoria o di conflitto);
il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, mentre va condannato il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, secondo il principio della soccombenza e liquidazione come da dispositivo; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 2.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019