LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
S.M., rappr. e dif. dall’avv. Roberto Maiorana, elett. dom.
presso lo studio dello stesso in Roma, viale Angelico n. 38, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente-
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.
ope legis dall’Avvocatura dello Stato, dom. presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente-
Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Firenze – sezione di Perugia;
– intimato –
per la cassazione della sentenza App. Perugia 8.6.2018, n. 428/2018, rep. 2480/18, R.G. 956/2017;
vista la memoria del ricorrente;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo alla camera di consiglio del 14.11.2019;
il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. S.M. impugna la sentenza App. Perugia 8.6.2018, n. 428/2018, rep. 2480/18, R.G. 956/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Perugia 29.8.2017 che aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i relativi presupposti;
2. la corte, premesso che l’appello non concerneva anche lo status di rifugiato, ha condiviso il primo giudizio sull’inesistenza dei presupposti di protezione sussidiaria e umanitaria, già quanto ad una narrazione che non descriveva atti persecutori riferibili alle istituzioni del Gambia ma solo pericoli legati ad un soggetto privato (il nonno, non assecondato nel culto di un idolo) e comunque uno specifico “rischio Paese”; anche la condizione della malattia era connessa ad uno stato patologico avviato alla guarigione;
3. il ricorso è su tre motivi; ad esso resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo si investe la Corte del vizio di motivazione in ordine alla situazione di pericolosità e violenza generalizzata del Gambia;
2. con il secondo motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, art. 10 Cost., avendo la corte ignorato la situazione di generalizzato pericolo e rischio nel Gambia;
3. con il terzo motivo si contesta la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione del t.u. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, art. 10 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non potendo essere rifiutata tale tutela allo straniero perseguitato nel Paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi;
4. i primi due motivi sono inammissibili, per una pluralità di profili; in primo luogo nessuno di essi investe in modo diretto la principale ratio decidendi assunta dalla corte che, nel negare fondamento alla protezione sussidiaria, ha puntualmente desunto anche la ipotetica situazione di pericolo in capo al ricorrente riferendola con chiarezza ad una vicenda privata, così essendo stata ricostruita la paura di ritorsioni da parte dell’ascendente e parimenti non provata la sicura inidoneità delle istituzioni gambiane ad approntare corrispondente tutela, posto che le ragioni della migrazione sono state accertate per la esclusiva connessione a tale circostanza;
5. il secondo motivo è poi, ancor più specificamente, inammissibile poichè non condotto nel rispetto del principio, che qui va ribadito, per cui “è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass. 26874/2018);
6. nè sussiste violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, posto che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019);
7. per il terzo motivo, oltre a doversi richiamare il medesimo limite di ammissibilità di cui al punto precedente, va ripetuto che anche per esso la censura non investe l’accertamento di fatto condotto dal giudice di merito che, nel negare preliminarmente una condizione sanitaria grave del ricorrente (perchè documentalmente guarito), ha posto alla base della reiezione della protezione umanitaria una ratio decidendi non idoneamente avversata;
8. in ogni caso, va ribadito, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6"; si tratta di principio che pone infatti limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass. s.u. 29460/2019);
il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, mentre va condannato il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, secondo il principio della soccombenza e liquidazione come da dispositivo; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 2.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019