LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20374-2018 proposto da:
T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI n. 8, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA LAURA CECCHINI, rappresentato e difeso dall’avvocato CONSUELO FEROCI;
– ricorrente –
contro
PREFETTURA UTG DI MACERATA e MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimati –
avverso il decreto n. 7/2018 del GIUDICE DI PACE di MACERATA, depositata il 26/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/11/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.
FATTI DI CAUSA
Con provvedimento del 4.12.2017, notificato il 25.1.2018, la Commissione territoriale di Ancona per il riconoscimento della protezione internazionale respingeva la domanda del T.A. volta ad ottenere la concessione della tutela internazionale o umanitaria.
In data 7.2.2018 il richiedente, recatosi a seguito di convocazione presso la Questura di Macerata, riceveva la notificazione del decreto di espulsione emesso nei suoi confronti ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2.
Il T. impugnava detto decreto con ricorso al Giudice di Pace di Macerata, il quale con la sentenza impugnata rigettava l’impugnazione.
Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto T.A. affidandosi a due motivi.
Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Giudice di Pace non avrebbe rilevato che il decreto di espulsione impugnato era stato emesso nei confronti del richiedente la protezione nella pendenza del termine previsto per la proposizione di gravame avverso il provvedimento di diniego adottato dalla Commissione territoriale.
La censura è fondata.
Il provvedimento di rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria è stato notificato al richiedente in data 25.2.2018 e da tale data decorreva il termine previsto per la sua impugnazione, che nel caso di specie -trattandosi di decisione di rigetto per manifesta infondatezza- era pari a 15 giorni, ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 2, ultima parte.
L’art. 32 comma 4 del già citato D.Lgs. n. 25 del 2008, prevede che “La decisione di cui al comma 1, lett. b) e b-bis), ed il verificarsi delle ipotesi previste dagli artt. 23 e 29 comportano, alla scadenza del termine per l’impugnazione l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo”.
La decisione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) è quella con la quale la Commissione territoriale “rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale previste dal medesimo decreto legislativo, ovvero il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro e non abbia addotto i gravi motivi di cui al comma 2”.
La decisione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b-bis) è invece quella con cui il predetto organo “rigetta la domanda per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ovvero quando risulta che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento”.
L’art. 23 disciplina invece il caso in cui il richiedente la protezione internazionale “decida di ritirare la domanda prima dell’audizione presso la competente Commissione territoriale”.
L’art. 29 infine regola le ipotesi di inammissibilità della domanda, che sussistono quando: “a) il richiedente è stato riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e possa ancora avvalersi di tale protezione; b) il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”.
Le cinque ipotesi disciplinate dalle disposizioni appena richiamate, tra loro evidentemente differenti, si sostanziano quindi:
1. nel rigetto della domanda (art. 32, comma 1, lett. b);
2. nella dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda (art. 32, comma 1, lett. b-bis);
3. nel ritiro della domanda prima dell’audizione del ricorrente dinanzi la Commissione territoriale (art. 23);
4. nella dichiarazione di inammissibilità della domanda per esistenza di preesistente protezione internazionale (art. 29, lett. a);
5. nella dichiarazione di inammissibilità della domanda reiterata in assenza di nuove allegazioni, oggettive o soggettive, da parte del ricorrente (art. 29, lett. b). Questa Corte ha affermato che “Il verificarsi di una delle ipotesi, tra loro alternative, previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4, comporta, per espressa previsione normativa contenuta nella predetta disposizione, l’obbligo del richiedente la protezione internazionale di lasciare il territorio nazionale soltanto dopo il decorso del termine previsto per l’impugnazione delle pronunce di rigetto, di manifesta infondatezza e di inammissibilità rispettivamente disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 1, lett. b) e b-bis), artt. 23 e 29; ne consegue che è vietata l’espulsione, anche in assenza di un provvedimento di sospensione dell’efficacia di tali pronunce, sino alla scadenza del termine anzidetto” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13891 del 22/05/2019, Rv. 654173).
La sentenza impugnata va pertanto cassata, non avendo il Giudice di Pace pronunciato in coerenza con il summenzionato principio. Va inoltre affermata l’irrilevanza della circostanza, che invece è stata erroneamente valorizzata nella decisione impugnata, che il 7.2.2018, all’atto della notificazione del decreto di espulsione impugnato, lo straniero abbia dichiarato al personale di Polizia di non voler chiedere la protezione internazionale. Da un lato, infatti, in quel momento il T. aveva già proposto la domanda di protezione, che era stata rigettata dalla Commissione territoriale con provvedimento per il quale erano ancora pendenti i termini di impugnazione: di conseguenza, la dichiarazione di non voler presentare domanda di protezione, evidentemente nella forma cd. reiterata, non esclude l’intenzione di proporre ricorso avverso il provvedimento di diniego della prima domanda, già presentata e delibata dall’autorità amministrativa. Dall’altro lato, la dichiarazione di cui si discute non ha valore impegnativo e comunque non priva il soggetto del diritto di proporre impugnazione avverso il diniego della prima domanda.
Da quanto precede consegue l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con assorbimento del secondo, e la cassazione senza rinvio della decisione impugnata.
Sussistendo i presupposti previsti dall’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito con annullamento del decreto di espulsione impugnato dal ricorrente.
Le spese, tanto del presente giudizio che di quello di merito, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata senza rinvio e, decidendo la causa nel merito ai sensi di quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, annulla il decreto di espulsione emesso dal Prefetto della Provincia di Macerata nei confronti di T.A. in data 7.2.2018.
Condanna il Prefetto della Provincia di Macerata al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che liquida in Euro 1.800 per compensi ed Euro 200 per esborsi, e del presente giudizio, che liquida in Euro 2.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 14 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019