Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33022 del 14/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27954/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****) in persona del direttore pro tempore rappresentata e difesa ex lege dall’avvocatura generale dello Stato (C.F. ***** PEC ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it) con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

CARPROMETAL s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. prof.

Giuseppe Maria Cipolla (C.F. CLMLRT67P03G009C PEC giuseppemariacipolla.ordineavvocatiroma.org) con domicilio eletto presso il procuratore ridetto in Roma viale Giuseppe Mazzini n. 134;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2316/1/15 depositata il 26/05/2015 non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19/09/2019 dal consigliere Dott. Succio Roberto.

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, confermando la pronuncia di prime cure che aveva annullato l’avviso di accertamento impugnato;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate con ricorso affidato a un solo motivo; la società contribuente resiste con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

– vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso svolte dalla difesa del contribuente;

– la prima eccezione si incentra sul non avere il ricorrente censurato tutte le rationes decidendi della gravata sentenza, essendosi limitato a colpire con il proprio motivo unicamente quella relativa al mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere della prova quanto al requisito dell’inesistenza soggettiva delle operazioni di fatturazione contabilizzate; sostiene il controricorrente che la gravata sentenza si fondi non solo su tal elemento, ma anche sulle autonome ragioni consistenti l’una nella novità in appello (e quindi nell’inammissibilità) della contestazione dell’inerenza dei costi a fini IRAP (che invece in avviso di accertamento era stata fondata dall’Ufficio L. n. 537 del 1993, ex art. 14, comma 4-bis), l’altra nell’assenza di danno erariale per esser applicabile alle operazioni contestate come soggettivamente inesistenti il regime del c.d. “reverse charge”;

– l’eccezione è infondata per le seguenti ragioni;

– correttamente e con dovizia di precisazione parte controricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio aderisce con convinzione, secondo la quale nel caso in cui la sentenza impugnata si fondi su più rationes decidendi, “distinte ed autonome”, ognuna di queste va aggredita con i motivi di ricorso pena l’inammissibilità del ricorso per cassazione;

– nel presente caso, però, la sentenza della CTR lombarda risulta in concreto fondata e ben assestata su una sola ragione del decidere: il difetto di prova della fittizietà soggettiva delle operazioni contestate, per non avere l’Ufficio dimostrato il coinvolgimento consapevole del contribuente nel meccanismo fraudolento;

– in tal senso si spiega il cenno operato dalla CTR (sia pure non nella parte motiva, strettamente, ma in quella dedicata dalla sentenza allo svolgimento del processo) al contenuto dell’avviso di accertamento con il quale erano contestati anche ai fini IRES ed IRAP e non solo IVA costi indeducibili relativi ad operazioni inesistenti effettuate con la IMT per Euro 4.163.458 e con la S.G. Metal per Euro 2.272.913,83; è chiaro qui come l’Amministrazione Finanziaria abbia disconosciuto le operazioni di fatturazione in quanto soggettivamente inesistenti e come le stesse vadano diversamente qualificate – se tali ritenute – a fini IVA e a fini dell’imposizione reddituale;

– invero, come è noto (e pluribus Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018) in tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1 (conv. in L. n. 44 del 2012), poichè nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, bensì per essere commercializzati, non è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni anche ove ricorrano i presupposti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109;

– in eguale direzione si muove la CTR nell’esporre proprie ulteriori considerazioni con riguardo alla rilevanza del c.d. “reverse charge”; anche tal ragione del decidere non assume, come la precedenza, autonoma rilevanza, in quanto si colloca nel contesto del difetto di prova della inesistenza soggettiva delle operazioni, che non è stata fornita (secondo il giudice lombardo) dall’Amministrazione finanziaria secondo i canoni ex lege prescritti;

– anche tal rilievo non fondamento;

– questa Corte, in termini, ha precisato come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2862 del 31/01/2019, resa in fattispecie proprio relativa ad operazioni di cessione di rottami, qualificate come soggettivamente inesistenti in quanto rese da una mera cartiera) le operazioni di cessione compiute in regime d’inversione contabile (cd. “reverse charge”), ancorchè effettuate sotto l’apparente osservanza dei requisiti formali, sono indetraibili in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, anche soggettiva, dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata, con conseguente inesistenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta indicata in fattura;

– difettando quindi, in concreto, la distinzione e autonomia delle rationes decidendi, e sussistendo una sola ratio decidendi, la stessa risulta correttamente colpita con il mezzo di gravame;

– peraltro, venendo all’esame del motivo lo stesso si rivela non solo ammissibile ma anche fondato;

– per quanto diffusamente motivata, infatti, la pronuncia della CTR risulta aver commesso errore di diritto nell’aver preso le mosse, per valutare il materiale probatorio, da una considerazione giuridicamente erronea, che si esprime in diversi punti del provvedimento e che contraddice la giurisprudenza ormai consolidata e ferma di questa Corte sul punto;

– si ritiene infatti nella pronuncia della CTR che “è contraria ad ogni logica giuridica la tesi dell’Ufficio accertatore secondo cui spetta al contribuente provare la propria buona fede e l’estraneità al presunto illecito” (pag. 3, dall’ottava riga in poi dei motivi della decisione); “l’Ufficio ritiene infondatamente dovuta l’IVA….nonostante sussista il regime di reverse charge a cui sono sottoposte le operazioni de qua (rectius de quibus), sostenendo che deve essere posto a carico del contribuente l’onere probatorio di dimostrare la propria buona fede” (pag. 3 dalla terzultima riga in poi dei motivi della decisione); “stante i principi sanciti dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e merito, spetta all’Ufficio dimostrare che le società cedenti non siano operative e la consapevole corresponsabilità della società contribuente nell’asserita frode”; (pag. 4 dalla quintultima riga in poi); “questo Collegio d’appello ritiene infondata la tesi difensiva dell’Ufficio appellante che sostiene fallacemente di come debba considerarsi a carico della società Carprometal l’onere di provare la propria buona fede o l’estraneità all’accordo simulatorio per avere diritto alla detrazione Iva…”; (pag. 4 ultima riga, pag. 5 prime due righe); “è a carico dell’Ufficio accertatore l’onere di dimostrare la connivenza nella frode da parte del cessionario, la restituzione del denaro ed il compenso corrisposto per l’illecito traffico ai fornitori reali”;

– tutte le riportate affermazioni, reiterate e coerenti tra di loro, consentono di ritenere che la Commissione di seconde cure abbia erroneamente applicato i principi dettati da questa Corte quanto al riparto e all’oggetto dell’onere probatorio in caso di operazioni soggettivamente inesistenti;

– invero, questa Corte ha ben chiarito (Sez. 5, Sentenza n. 10120 del 21/04/2017; Sez. 5, Sentenza n. 30148 del 15/12/2017; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019) come in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi;

– pertanto, nell’addossare unicamente ed integralmente all’Ufficio l’onere probatorio (onerando l’Erario, in concreto, di dar prova diretta e non anche per mezzo di presunzioni, dell’inesistenza delle operazioni di fatturazione; e onerandolo in concreto di dar prova anche in questo caso diretta anche del coinvolgimento del contribuente, senza onerare invece questi dell’onere di dar prova della propria buona fede in senso soggettivo), la CTR milanese ha commesso errore di diritto;

– pertanto, il ricorso va accolto limitatamente alla censura a fini IVA e la sentenza cassata con rinvio al secondo giudice.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione che provvederà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 14 dicembre 2019

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