LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13045/2017 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– ricorrente –
contro
BANK OF AMERICA NATIONAL ASSOCIATION, rappresentata e difesa dall’avv. Pasquale Russo e dall’avv. Guglielmo Fransoni, elettivamente domiciliata presso lo studio Chiomenti, in Roma, via XXIV Maggio, n. 43.
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione n. 24, n. 396/24/17, pronunciata il 31/01/2017, depositata il 6/02/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre 2019 dal Consigliere Riccardo Guida.
RILEVATO
che:
Bank of America National Association impugnò, innanzi alla CTP di Milano, il silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle entrate alla sua istanza di rimborso del credito IRAP (Euro 167.147,00, oltre interessi), per l’annualità 2010, assumendo che l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata con deduzione, dalla base imponibile, delle quote delle svalutazioni dei crediti iscritte negli anni anteriori al 2005 – nella specie si trattava delle svalutazioni dei crediti iscritte nei bilanci 2003 e 2004 – in base al criterio di riparto previsto dal “nuovo” t.u.i.r., art. 106, (cc.dd. “noni pregressi”) e dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, comma 1, lett. n), nella versione ratione temporis vigente, secondo cui le svalutazioni iscritte a bilancio (sebbene integralmente riferibili – per competenza – al periodo d’imposta in cui la svalutazione stessa veniva effettuata) erano deducibili, nell’esercizio corrente, fino allo 0,40% del valore del credito risultante in bilancio, e, per la parte eccedente, in quote costanti, nei nove esercizi successivi;
la CTP di Firenze, con sentenza n. 8300/2015, accolse il ricorso;
la CTR toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello dell’ufficio sulla base delle seguenti considerazioni: le deduzioni dei “noni” operate nel 2010 erano conseguenti alle svalutazioni dei crediti iscritte negli esercizi 2003 e 2004; sulla legittimità della svalutazione del 2003 (recte: 2004) si era formato un giudicato diretto, giusta sentenza della stessa commissione lombarda n. 69/28/12, ormai definitiva; le svalutazioni del 2004 (recte: 2003) erano all’origine delle deduzioni operate nel 2005, 2006, costituenti il thema decidendum della sentenza di questa Corte 4/04/2012, n. 5403, che aveva riconosciuto il diritto della contribuente al rimborso dell’IRAP, versata per il 2005 e in acconto nel 2006, al netto della deduzione per noni delle svalutazioni dei crediti contabilizzate nei predetti esercizi 2003 e 2004, sicchè dovevano ritenersi ormai accertati i presupposti dei conteggi da eseguire per verificare il quantum delle somme in concreto spettanti alla banca ricorrente per eccedenza IRAP versata nel 2010; nel caso in esame – a giudizio della CTR – in applicazione del principio enunciato dalle sezioni unite (Cass. sez. un. 16/06/2006, n. 13916): “Non v’è dubbio che il presupposto della questione dibattuta in entrambi i giudizi (quello definito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 5403, e il giudizio presente) sia il medesimo, e cioè le svalutazioni operate nel (2003, e) nel 2004, e che tale presupposto condiziona un rapporto di durata pari ai nove anni per i quali sono ammesse (in base alla normativa applicabile ratione temporis) le relative deduzioni. La legittimità delle deduzioni operate con riguardo agli anni 2005 e 2006, su cui si è formato il giudicato, suppone la legittimità delle svalutazioni degli anni 2003 e 2004, e tale accertamento presupposto svolge la sua efficacia anche nel presente giudizio.” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata);
l’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di un motivo; la contribuente resiste con controricorso, illustrato con una memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., l’Agenzia premette che è pacifico che il giudizio volto a stabilire l’entità delle svalutazioni appostate nel bilancio 2003 è tuttora pendente in cassazione (causa R.G. n. 2696/2013) ed è evidente che l’esito di quel giudizio incide sull’entità del rimborso dell’IRAP non dedotta, relativamente ai noni di svalutazione, per gli anni successivi, compreso il 2010, oggetto di questo giudizio;
con riferimento agli anni 2004, 2005, 2006, la ricorrente rileva che la cessazione della controversia riguardante, non l’entità delle svalutazioni dei crediti, ma solo la deducibilità dei noni pregressi, non comporta che, per le annualità ancora non definite, la decisione relativa al 2003 sia priva d’effetti, in ordine al quantum delle svalutazioni ammissibili, dei conseguenti “noni” non dedotti e dell’IRAP da rimborsare, compreso il “nono” da dedurre nel 2010 (e il correlato credito IRAP);
ascrive alla CTR la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in punto di estensione del giudicato esterno alle diverse annualità, non essendo ancora definito il presupposto comune a queste ultime, e cioè l’ammontare delle svalutazioni dei crediti iscritte nel 2003;
1.1. preliminarmente, a giudizio di questa Corte, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del motivo di ricorso sollevata dalla contribuente, in quanto la censura in esso contenuta appare sufficientemente chiara e specifica e, del resto, l’eccepente dimostra di averne bene compreso il significato laddove essa (in controricorso), con dovizia di argomenti, ne sostiene l’infondatezza, in aggiunta all’inammissibilità;
1.2. il motivo è infondato;
1.2.1. è utile comporre il quadro giurisprudenziale di riferimento;
come è stato recentemente ricordato (Cass. 31/10/2017, n. 25896, non massimata), sul tema del giudicato esterno nel processo tributario le sezioni unite di questa Corte (Cass. 16/06/2006, n. 13916) hanno affermato che “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo”;
la stessa sentenza ha stabilito che “tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacchè anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato”;
le sezioni unite hanno fissato i seguenti principi di diritto: a) il processo tributario non è un giudizio sull’atto (da annullare), ma ha, invece, ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente ed è quindi un giudizio che inevitabilmente si estende al merito e, dunque, anche all’accertamento del rapporto; b) si deve, pertanto, escludere che il giudicato (salvo che il giudizio non si sia risolto nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione) esaurisca i propri effetti nel limitato ambito del giudizio in esito al quale si è formato e se ne deve ammettere una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili da quelle che disciplinano l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile, anche in ossequio alla formulazione dell’art. 111 Cost., in materia di giusto processo, che impone, fra l’altro, la realizzazione della “effettività della tutela”, obiettivo al quale è preordinata anche l’efficacia del giudicato; c) se il principio di autonomia dei periodi d’imposta comporta l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori di questo, nondimeno esso si giustifica solo in relazione a quei fatti non aventi caratteristica di durata e, comunque, variabili da periodo a periodo (ad es. la capacità contributiva, le spese deducibili), ma non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente, come le qualificazioni giuridiche “preliminari” per l’applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell’obbligazione per una pluralità di periodi d’imposta; d) va, quindi, affermato che il giudicato relativo ad un singolo periodo d’imposta non è idoneo a “fare stato” per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica, bensì soltanto in relazione a quelle statuizioni che siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo; e) nella fattispecie concernente una esenzione pluriennale, il tempo costituisce un elemento referente della fattispecie medesima, assumendo la “pluriennalità” carattere costitutivo dell’esenzione (o agevolazione), in quanto il relativo arco temporale di estensione è stabilito in ragione di una considerazione unitaria di un insieme di periodi di imposta, trattati sostanzialmente come una sorta di “maxiperiodo”;
la successiva giurisprudenza della sezione tributaria (Cass. 7/05/2008, n. 11084) si è uniformata all’indirizzo nomofilattico delle sezioni unite e ha ulteriormente puntualizzato che “la sentenza che riconosca la deducibilità dal reddito di un anno di una componente passiva, assume il valore di “giudicato esterno” vincolante anche per altre annualità solo quando riguardi un’unica componente passiva la cui deduzione è frazionata in più anni (come accade quando l’ammortamento di un bene sia ripartito in più annualità); non produce invece tale effetto nei confronti di poste che si rinnovano di anno in anno su presupposti di fatto diversi”;
in progresso di tempo la Corte (Cass. 11/03/2015, n. 4832; vedi anche Cass. 15/07/2016, n. 14509; 14/01/2015, n. 429; 05/11/2014, n. 23532) ha rimarcato come “l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (quali le imposte sui redditi, IVA, vari tributi locali, ecc.), è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, fatti, cioè, che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta, ed in cui l’elemento della pluriennalità, come affermato dalle Sezioni unite (…) costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d’imposta in una sorta di “maxiperiodo”: gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali, o della “spalmatura” in più anni dell’ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa (…)”;
1.2.2. svolta questa premessa, tornando al mezzo d’impugnazione, la commissione regionale ha affermato che la decisione di questa Corte (Cass. n. 5403/20012) che ha riconosciuto alla contribuente i crediti IRAP 2005 e 2006, conseguenti all’accertata deducibilità, dalla base imponibile del medesimo tributo, delle rate o quote (c.d. “noni”) delle svalutazioni dei crediti iscritte nei bilanci precedenti (e, segnatamente, nei bilanci 2003 e 2004), ha efficacia di giudicato nella presente controversia, nella quale si discute del credito IRAP per la deduzione del “nono” del 2010;
il dictum della commissione regionale è conforme ai principi di diritto appena enunciati giacchè i due giudizi attengono al credito d’imposta riferibile al medesimo tributo (imposta regionale sulle attività produttive) e hanno una causa petendi unitaria, imperniata sulla deducibilità (per ciascuna annualità) di un medesimo componente negativo di reddito (il c.d. “nono” della svalutazione dei crediti, la quale possiede valenza giuridica immediata, nel senso che determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale della produzione), costituente oggetto di un diritto che si consolida una volta per tutte nel momento in cui viene appostata la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio d’esercizio, con conseguente non attingibilità delle quote di competenza degli esercizi anteriori (Cass. n. 5403/2012, conf.: Cass. 21/01/2015, n. 1111; 21/12/2016, n. 26547; 25896/2017, cit.);
in altri termini, nonostante l’autonomia del periodo d’imposta in esame (anno 2010) rispetto alle annualità (2005, 2006) alle quali si riferisce l’anzidetto giudicato (Cass. 5403/2012), quest’ultimo ha efficacia espansiva, nel senso che è vincolante per le altre annualità (nella specie: esercizio 2010), poichè riguarda un’unica componente passiva (ciascuna delle svalutazioni dei crediti appostate in bilancio) la cui deduzione, per espressa previsione di legge, è ripartita in più annualità;
ciò comporta che il giudicato avente ad oggetto l’accertamento di una situazione giuridica sostanziale, già consolidata in forza della normativa antecedente e la correlativa deducibilità dei “noni”, riferibili al 2005 e 2006, quali frazioni di un arco temporale pluriennale che racchiude più annualità (precisamente, 10 annualità) in un unico “maxiperiodo”, estende i propri effetti anche in relazione al diritto della contribuente a dedurre i “noni” pertinenti al periodo d’imposta 2010, oggetto del presente giudizio;
2. le considerazioni che precedono comportano il rigetto del ricorso;
3. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
4. rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia a corrispondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre a Euro 200,00 per esborsi, al 15% sul compenso a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019