Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33049 del 16/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27764/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

COPIT s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Eugenio Della Valle, con domicilio eletto in Roma, Piazza G. Mazzini, n. 18, presso il suo studio, giusta procura speciale con sottoscrizione autentica dal Notaio Z.L., in data *****;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 81/25/2012, depositata il 12 ottobre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre 2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

RILEVATO

CHE:

1. L’Agenzia delle entrate rigettava l’istanza di rimborso presentata dalla Copit s.p.a., Azienda di Trasporto, per la restituzione dell’imposta Irap per l’anno 2004, pari ad Euro 250.633,00, non essendosi avvalsa la contribuente della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis.

2. La società presentava ricorso, evidenziando che l’istanza di rimborso era stata presentata nel termine di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e che nella base imponibile Irap non dovevano essere considerati i contributi pubblici erogati dalla Regione, per ripianare le perdite di esercizio, ed utilizzati per le spese di lavoro dipendente.

3. La Commissione tributaria provinciale di Pistoia accoglieva il ricorso, senza affrontare il merito della richiesta di rimborso, ma ritenendo che la contribuente ben poteva avvalersi della richiesta di rimborso ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

4. L’Agenzia delle entrate proponeva appello deducendo, tra l’altro, la violazione del principio della domanda e di non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 18, e art. 112 c.p.c., non avendo il giudice di prime cure affrontato il merito della controversia, essendo incorso, quindi, nel vizio di omessa pronuncia.

5. La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, confermando la sentenza di primo grado, che si era pronunciata “sull’unico punto che costituiva e costituisce oggi, la materia del contendere dopo il diniego motivato dell’Ufficio”.

6. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

7. Resiste con controricorso la società, depositando anche memoria scritta.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto il giudice di appello ha affermato che la Commissione provinciale ha “interpretato” la situazione di fatto “creatasi a seguito della domanda di rimborso già inizialmente accolta dall’Ufficio che non ha mai esplicitamente revocato tali atti per attivarsi con un provvedimento di autotutela e…giustificare il diniego al rimborso Irap”. Il giudice di appello ha confuso i fatti di causa con altra controversia, tra le stesse parti, in relazione alle istanze di rimborso relative agli anni 1999, 2000 e 2001, in cui la società aveva sollevato una questione di tutela dell’affidamento e della buona fede a seguito dell’iniziale riconoscimento del diritto da parte dell’Ufficio, successivamente mutato in un diniego, a seguito di una diversa interpretazione delle norme. Nella vicenda processuale in esame, invece, l’Agenzia delle entrate, fin dall’inizio, ha opposto il diniego alla richiesta di restituzione dell’Irap relativa al 2004. La Commissione regionale ha, dunque, completamente travisato i fatti di causa, sicchè non ha provveduto ad esaminare il merito della richiesta di rimborso.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto non ha proceduto all’esame del merito della controversia, non avendo deciso sulla spettanza o meno del rimborso richiesto dalla società.

2.1. I primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

Invero, già la Commissione provinciale aveva omesso di pronunciare sul merito della pretesa richiesta dalla società, in quanto, sia pure accogliendo il ricorso, si era limitata ad affermare che era legittimo il procedimento di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

A fronte dall’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, che lamentava proprio l’assenza di pronuncia sul merito della richiesta di rimborso, il giudice di appello ha affermato che, in realtà, l’Ufficio aveva in precedenza accolto l’istanza di rimborso, ma poi, a seguito di una diversa interpretazione della normativa, l’aveva respinta, senza però dare contezza delle ragioni del ripensamento.

Per la Commissione regionale, dunque, “i Giudici di prima istanza hanno correttamente interpretato la situazione di fatto creatasi a seguito della domanda di rimborso già inizialmente accolta dall’Ufficio che non ha mai esplicitamente revocato tali atti per attivarsi con un provvedimento di autotutela e, riconoscendo gli errori di interpretazione delle norme successivamente emanate, giustificare il diniego al rimborso Irap”. Il giudice di appello ha, quindi, ritenuto che, una volta acclarato che non vi era stato alcun provvedimento di autotutela, sicchè il rimborso spettava nel merito, l’unica questione affrontata e risolta dalla Commissione provinciale atteneva alla legittimità dell’istanza di rimborso sotto il profilo della tempestività, confermata in quanto il rimborso va chiesto entro 48 mesi dal versamento.

Per tale ragione la Commissione regionale ha concluso nel senso che “sia ora da confermare la sentenza dei primi giudizi che dopo l’esame degli atti, si sono esclusivamente pronunciati sull’unico punto che costituiva e costituisce oggi, la materia del contendere dopo il diniego motivato dell’Ufficio”.

La sentenza di appello, dunque, ha effettuato un vero e proprio travisamento dei fatti, così come contestato dall’Agenzia delle entrate con il ricorso per cassazione.

La sentenza della Commissione regionale, in quanto depositata il 12.10.2012, ricade sotto il regime del nuovo motivo di censura del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012.

Per questa Corte, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c, comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., sez. un., 8053/2014; Cass., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

Nè può applicarsi la sanzione della inammissibilità del ricorso per “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter c.p.c., come eccepito dalla controricorrente società.

Infatti, da un lato si rileva che l’atto di appello è stato spedito per la notifica il 2-11-2010, mentre l’art. 348 ter c.p.c., trova applicazione per gli appelli, con la forma del ricorso, spediti per la notifica a decorrere dall’11-9-2012. Infatti, la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012 (Cass., n. 11439/2018).

Dall’altro, si evidenzia che il vizio di motivazione fondato sul travisamento della prova – implicando non una valutazione dei fatti, ma una constatazione che l’informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale – esclude che si verta in ipotesi di cd. doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, preclusivo del ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giusta l’art. 348 c.p.c., u.c.. (Cass., n. 28174/2018).

Nè coglie nel segno la seconda eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente, per cui il vizio dedotto dalla Agenzia delle entrate con il ricorso per cassazione, integrava in realtà un vizio revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., in quanto non oggetto di discussione tra le parti.

In realtà, la questione in ordine alla richiesta di rimborso ed alla condotta dell’Amministrazione che lo aveva negato, rappresenta proprio il “cuore” della controversia, necessariamente oggetto di discussione tre le parti nel corso del giudizio.

3. La sentenza, deve, quindi essere cassata, ma la causa, può, comunque essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Infatti, in caso di error in procedendo è possibile che questa Corte pronunci nel merito del ricorso. Invero, la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass., sez.un., 2731/2017; per la possibilità di pronunciare nel merito del ricorso ai sensi dell’art. 384 c.p.c., anche in caso di motivazione apparente cfr. Cass., 1 marzo 2019, n. 6145).

Peraltro, è consentito alla Corte di cassazione decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, una questione di diritto che non richieda nuovi accertamenti di fatto, anche quando essa – ritualmente prospettata sia in primo che in secondo grado – sia stata totalmente ignorata dai giudici di merito. In tale eventualità, infatti, non solo non vi è stata alcuna limitazione al contraddittorio ed al diritto di difesa, ma la perdita per le parti di un grado di merito è compensata dalla realizzazione del principio costituzionale di speditezza, di cui all’art. 111 Cost., (Cass., 30 maggio 2012, n. 8622).

Del resto, anche questa Corte, a sezioni unite, quando cassa la sentenza impugnata affermando la giurisdizione erroneamente riconosciuta dal giudice a quo e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, può, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., decidere la causa nel merito, in applicazione del principio di ragionevole durata del processo (Cass., sez. un., 31 luglio 2012, n. 13617; Cass., sez. un., 20 aprile 2009, n. 9946).

4. Il ricorso della contribuente è infondato.

4.1. Il D.Lgs. n. 446 del 1996, art. 11, nella versione anteriore alle modifiche poi apportate dal D.Lgs. n. 176 del 1999, prevedeva, alla lett. a), che “i componenti positivi e negativi si assumono in conformità delle norme del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e della applicazione di esse in sede di dichiarazione dei redditi; i componenti positivi e negativi, conseguiti o sostenuti in periodi di imposta anteriori a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, la cui imputazione ai fini delle imposte sui redditi sia stata rinviata in applicazione delle norme del predetto testo unico, concorrono alla determinazione del valore della produzione netta del periodo d’imposta in cui si verifica tale imputazione…concorrono in ogni caso alla formazione della base imponibile le plusvalenze e minusvalenze relative a beni strumentali non derivanti da operazioni di trasferimento di azienda”.

Vi era, quindi, una “regola” costituita dalla modalità di assunzione dei componenti positivi e negativi della base imponibile Irap che si asseriva dover avvenire in conformità delle norme del Tuir e dell’applicazione di esse in sede di dichiarazione dei redditi.

L’eccezione” era, invece, costituita dalle plusvalenze e minusvalenze relative a beni strumentali non derivanti da operazioni di trasferimento di azienda, le quali, “in ogni caso”, avrebbero dovuto concorrere alla formazione della base imponibile Irap.

4.2. Con il D.Lgs. 1 giugno 1999, si aggiungeva il D.Lgs. n. 446 del 1996, art. 11, lett. a), ultimo periodo al termine, con l’aggiunta, dopo la previsione delle plusvalenze e minusvalenze, che concorrevano alla formazione della base imponibile Irap anche “i contributi erogati in base a norma di legge, con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”. Si aumentava così la portata della “eccezione”, che ricomprendeva, non soltanto le plusvalenze e le minusvalenze, ma anche i contributi erogati “a norma di legge”, con esclusione solo di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”.

Vi erano, dunque, ricompresi (“a norma di legge”) anche i contributi erogati alle aziende esercenti il trasporto pubblico locale di cui alla L. n. 151 del 1981, a meno che non fossero correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione.

4.3. Con il D.Lgs. n. 506 del 1999, il contenuto del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, è stato scomposto in due previsioni, gli artt. 11 e 11 bis, che hanno sostanzialmente riprodotto il medesimo precetto normativo.

In particolare, nell’art. 11, si ripropone l’inserimento, nella formazione della base imponibile Irap, “in ogni caso” anche dei “contributi erogati a norma di legge con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”. Non si è, dunque, innovata la precedente disciplina e non è stato modificato il precedente rapporto tra “regola” ed “eccezione”, con il mantenimento anche della locuzione “in ogni caso” (Cass., 1 marzo 2007, n. 4838).

Una diversa interpretazione, tesa ad allargare le maglie della norma agevolatrice, sino a ritenere che i contributi alle aziende di trasporto non potessero essere ricompresi nella base imponibile Irap urtava con i principi del Trattato UE e con l’art. 87 in tema di aiuti di Stato, stante l’evidente vantaggio economico che l’ampliamento surrettizio dell’agevolazione realizzerebbe, selettivamente e mediante l’utilizzo (sia pure indiretto) di risorse statali, a favore di un circoscritto numero di imprese, alterando il regime di concorrenza (Cass., 13302/2019).

4.4. La L. 289 del 2002, art. 5, comma 3, quale di norma di interpretazione autentica del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, (Cass., sez. un., 14 ottobre 2009, n. 21749), ha stabilito, con una interpretazione appunto restrittiva, che “la disposizione contenuta nel D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 11, comma 3, secondo la quale i contributi erogati a norma di legge concorrono alla determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, fatta eccezione per quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione, deve interpretarsi nel senso che tale concorso si verifica anche in relazione a contributi per i quali sia prevista l’esclusione dalla base imponibile delle imposte sui redditi, sempre che l’esclusione dalla base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive non sia prevista dalle leggi istitutive dei singoli contributi ovvero da altre disposizioni di carattere speciale”.

4.5. Per questa Corte, dunque, sono esclusi dalla base imponibile Irap i contributi pubblici erogati nell’anno di imposta solo in presenza di una esplicita previsione, nella legge istitutiva, della correlazione tra il contributo ed un componente negativo non deducibile. Pertanto, i contributi erogati, prima dal Fondo nazionale trasporti, poi dalle Regioni), anche in epoca anteriore al 3112-2002, data di entrata in vigore della L. n. 289 del 2002, alle imprese esercenti il trasporto pubblico locale al fine di ripianare i disavanzi di esercizio debbono essere indicati nel calcolo per la determinazione della base imponibile dell’Irap (Cass., n. 25012/2018).

Per questa Corte, poi, in tema di IRAP, i contributi erogati alle aziende territoriali per l’edilizia residenziale possono essere esclusi dalla base imponibile ove espressamente destinati dalla legge alla copertura di elementi reddituali negativi non ammessi in deduzione, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, in quanto le disposizioni che escludono dal computo della base imponibile di una imposta dei componenti positivi del reddito hanno natura di norme eccezionali, come tali non applicabili analogicamente (Cass., 17 maggio 2019, n. 13362; Cass., n. 4410/2019; Cass., nn. 6468 e 6473 del 2019).

Si è anche ritenuto che sono imponibili ai fini IRAP i contributi erogati alle aziende di trasporto pubblico locale ai sensi del D.L. n. 355 del 2003, art. 23, comma 1, conv. con modif. in L. n. 47 del 2004, in quanto non si può configurare una correlazione diretta tra detti contributi ed i costi non deducibili, costituiti dalle spese per il personale (agli effetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3), e considerato che nè la legge istitutiva nè altre disposizioni normative hanno previsto espressamente che tali contributi debbano essere esclusi dalla base imponibile ai fini del calcolo di tale imposta; peraltro, un’interpretazione non rigorosa di tali previsioni renderebbe contributi legittimi aiuti di Stato (Cass., 22 marzo 2019, n. 8179).

Non può attribuirsi rilevanza, in materia di esclusione di un finanziamento dalla base imponibile da calcolare ai fini Irap, ad una correlazione tra contributo e componente negativo del reddito che non sia specificamente e immediatamente rilevabile, e sia piuttosto ricavata indirettamente mediante operazioni di proporzionalità tra contributi percepiti e costi sopportati (Cass., 8179/2019; Cass., n. 4838/2007). Si è ulteriormente precisata la necessità che la legge prescriva una specifica destinazione dei contributi alla copertura di componenti negativi del reddito (costi) non deducibili (quali le spese per il personale), dovendo pertanto prevedere che il contributo sia, anche solo in parte, rigorosamente vincolato tale funzione.

Occorre, dunque, ribadire l’ormai consolidato orientamento di questa Corte (Cass., n. 4838/2007; Cass., sez. un., 21749/2009; Cass., 14415/2010; Cass., 13160/2010; Cass., 29590/2011), secondo cui i contributi versati, prima dal Fondo nazionale trasporti, poi dalle Regioni, alle imprese esercenti trasporto pubblico locale, al fine di ripianare disavanzi di esercizio, debbono essere inclusi nel calcolo per la determinazione della base imponibile dell’Irap.

5. Pertanto, il ricorso deve essere accolto e, decidendo nel merito, deve essere rigettato il ricorso originario della contribuente, dovendosi confermare l’assoggettamento dei contributi per cui è causa all’Irap.

La complessità della materia trattata e l’intervenuto consolidamento dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia in epoca successiva alla proposizione del ricorso, inducono a ritenere equo disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.

Compensa interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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