LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13205-2018 proposto da:
PRIMA IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANPIETRO CONTARIN;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2796/3/2017 della COMMISSIONE TRIBITARIA REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 16/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.
RILEVATO
che la contribuente “PRIMA IMMOBILIARE S.R.L.” propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR dell’Emilia Romagna, di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso una sentenza della CTP di Reggio nell’Emilia, che aveva accolto il suo ricorso avverso un avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA 2007;
che la CTR ha ritenuto non deducibile il costo di una fattura del 2007, emessa nei confronti della contribuente dalla s.a.s. “SASSI & CO” per importo di Euro 108.300,00, siccome fattura non pagata dalla contribuente per pretesi inadempimenti della società emittente.
CONSIDERATO
che il ricorso è affidato a due motivi;
che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso; che la ricorrente ha depositato memoria difensiva;
che, con il primo motivo di ricorso, la contribuente deduce violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2423 bis c.c., artt. 108 e 109 del TUIR e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, in quanto erroneamente la CTR aveva ritenuto che la deduzione del costo di una fattura di acquisto fosse ammissibile solo quando tale componente negativa del reddito fosse stata pagata; erroneamente era stato sovrapposto al concetto di mancato pagamento quello di mancata effettività del costo, in tal modo indebitamente applicando, in materia di imposte dirette, il principio di cassa rispetto a quello di competenza; non essendo dubbia nella specie la sussistenza della prestazione fatturata; e quest’ultima non poteva essere confusa con il mancato pagamento della stessa; d’altra parte non era ravvisabile nella specie la sussistenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8 per far luogo all’autofatturazione, in quanto l’ufficio non aveva contestato l’esistenza e la regolarità della fattura in questione;
che il motivo di ricorso in esame è infondato;
che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito d’impresa, debbono soddisfare i principi dell’effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità; e grava sul contribuente la prova della loro esistenza ed inerenza, essendo necessario che le spese siano state dall’imprenditore effettivamente erogate e contabilizzate e siano inoltre supportate da una valida documentazione, dalla quale ricavare, oltre all’importo, altresì la loro ragione e coerenza economica (cfr. Cass. n. 21184 del 2014; Cass. n. 13300 del 2017);
che, nella specie, la stessa società contribuente ha ammesso che la spesa relativa alla fattura emessa nei suoi confronti nel 2007 dalla s.a.s. “SASSI & CO”, riferibile ad attività certamente inerenti, non era stata mai da essa contabilizzata, siccome mai erogata, per presunte inadempienze della società erogatrice dei servizi, in vista dei quali la fattura era stata emessa;
che, pertanto non è condivisibile la tesi della società ricorrente, secondo la quale nel diritto tributario occorrerebbe far riferimento al concetto di costo deducibile per competenza; nell’ambito tributario, occorre invece far riferimento alle concrete risultanze di cassa, nel senso che le spese, per essere deducibili, devono essere state effettivamente e materialmente erogate nel periodo d’imposta considerato; e chi intende avvalersi di detta deducibilità deve fornirsi degli opportuni ed univoci riscontri probatori delle relative spese dedotte, siccome costi della propria attività imprenditoriale (cfr. Cass. n. 32280 del 2018), come può del resto evincersi dall’esame del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 109, comma 5, recante le norme generali in materia di componenti del reddito d’impresa;
che, col secondo motivo di ricorso, la contribuente lamenta violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, che aveva formato oggetto di discussione fra le parti; la CTR avrebbe cioè omesso di pronunciarsi sulla detraibilità dell’IVA relativa alla fattura in esame, non potendosi escludere che la fornitrice s.a.s. “SASSI & CO” avesse versato a monte l’IVA relativa a detta fattura; nè sussistevano i presupposti, di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, per far luogo ad una autofatturazione, non essendo ravvisabile nella specie nè l’ipotesi di una fattura omessa, nè l’ipotesi di una fattura irregolare;
che il motivo di ricorso in esame è inammissibile;
che invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico e cioè l’omesso esame di un fatto storico; detto vizio tuttavia richiede, per la sua esistenza, la presenza dei seguenti presupposti:
– che esso risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali;
– che esso abbia formato oggetto di discussione fra le parti;
– che esso abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, possa determinare un esito diverso della controversia; che il fatto storico, al quale ha fatto riferimento la contribuente (non avere cioè la CTR esaminato se l’IVA relativa alla fattura in esame fosse stata o meno assolta a monte dalla società emittente) non riveste nessuno dei caratteri sopra enunciati, in quanto esso è del tutto estraneo ai temi trattati dalla sentenza impugnata e la contribuente ha provato di avere specificamente introdotto il tema nella discussione fra le parti;
che il ricorso in esame va pertanto respinto, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;
che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la contribuente al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in Euro 3.500,00" oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.
Depositato in cancelleria il 16 dicembre 2019