Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.33092 del 16/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9879/2018 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE GITTO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– controricorrente –

e contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI DELLA SARDEGNA, ***** S.R.L. IN FALLIMENTO, B.M.;

– intimati –

sul ricorso 10191/2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO GUARDI’;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– controricorrente –

e contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI DELLA SARDEGNA, ***** S.R.L. IN FALLIMENTO, C.E., MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – DIREZIONE GENERALE SERVIZI ESTERNI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 474/2017 della CORTE DEI CONTI – I SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE – ROMA, depositata il 13/11/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/11/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. LUCIO CAPASSO, il quale conclude per il dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi riuniti.

FATTI DI CAUSA

1. La Procura regionale della Corte dei Conti della Regione Sardegna trasse a giudizio, insieme alla società ***** s.r.l. (in stato di fallimento), i due amministratori della medesima, C.E. e B.M..

Sostenne l’accusa che i predetti dovevano essere condannati a risarcire il danno erariale causato al Ministero per lo sviluppo economico in conseguenza dell’illecito utilizzo di fondi pubblici. Alla società suddetta, infatti, era stato concesso un contributo (poi revocato) finalizzato ad avviare un’attività economica destinata alla produzione di farmaci generici ed integratori alimentari nella Provincia di Nuoro, attività che non era stata mai realmente avviata.

Si costituirono in giudizio i convenuti, ponendo eccezioni di rito e di merito e chiedendo il rigetto della domanda.

La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Sardegna, ritenne i due convenuti responsabili dei fatti loro ascritti e li condannò al pagamento della somma di Euro 13.693.337 a titolo di risarcimento del danno erariale.

2. La pronuncia è stata impugnata dalle parti soccombenti e la Corte dei Conti, Prima Sezione giurisdizionale Centrale di appello, con sentenza del 13 novembre 2017, ha rigettato l’appello, confermando in toto la sentenza di primo grado.

Ha osservato quel giudice, dopo aver rigettato alcune eccezioni preliminari (nullità dell’atto di citazione quanto al C. e prescrizione quanto ad entrambi), che gli appelli tornavano a proporre questioni già esaminate e decise dal giudice di primo grado “con motivazioni esaustive e assolutamente condivisibili”. Ed invero, in relazione alla percezione di finanziamenti pubblici, qualsiasi violazione delle regole concernenti le agevolazioni concesse costituisce causa giustificativa della revoca dell’attribuzione; nella specie, nonostante l’opificio industriale fosse stato realizzato, l’opera non era stata mai realmente completata, con la conseguenza che l’attività produttiva non si era avviata, per cui i livelli di occupazione auspicati non erano stati raggiunti e si erano invece verificate, ad opera degli amministratori, “gravi violazioni di natura amministrativa e penale”. A fronte dell’obbligo, contratto dalla società *****, di realizzare lo stabilimento industriale entro il 13 giugno 2002, erano state concesse varie proroghe ma, ciò nonostante, fino alla data del provvedimento di revoca del finanziamento (30 marzo 2009), l’opera non poteva ritenersi ancora realizzata. Di qui, ad avviso del giudice contabile, la sicura sussistenza del danno erariale conseguente alla mancata realizzazione del programma industriale per il quale il finanziamento era stato concesso.

Ad avviso della Corte dei Conti, poi, i due amministratori avevano agito con dolo, posto che essi erano ben consapevoli della mancata corrispondenza tra l’obiettivo che doveva essere raggiunto e quanto era stato concretamente fatto; entrambi gli appellanti possedevano una “elevata professionalità” che avrebbe dovuto imporre loro di agire a tutela del raggiungimento del risultato per il quale il finanziamento era stato concesso. La responsabilità per danno erariale derivava, quindi, dall’esistenza di un rapporto di servizio conseguente all’adesione al progetto finanziato (il C., tra l’altro, aveva anche patteggiato la pena nel corso del processo penale); sia il C. che il B., inoltre, avevano chiesto l’erogazione delle varie tranche del contributo ed il B. aveva anche fittiziamente attestato l’avvenuta ultimazione del progetto alla data del *****, con un successivo rendiconto che indicava spese anch’esse fittizie. Nè poteva assumere rilievo il fatto che il C. avesse svolto l’attività di amministratore per un breve periodo di tempo, stante la “piena attinenza dei fatti illeciti de quibus con l’attività da lui svolta”; mentre la responsabilità del B., succeduto al C. nella qualità di amministratore unico, doveva essere confermata anche in considerazione del lungo periodo di tempo nel quale egli aveva ricoperto quella carica.

3. Contro la sentenza della Corte dei Conti propone un primo ricorso C.E. (r.g. n. 9879 del 2018) con atto affidato a quattro motivi ed affiancato da memoria.

Propone altresì un separato ricorso B.M. (r.g. n. 10191 del 2018) con atto affidato a tre motivi.

Il Procuratore generale della Corte dei Conti si è costituito con controricorso in entrambi i giudizi, chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili o comunque infondati.

Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato una requisitoria scritta, chiedendo che i ricorsi riuniti vengano dichiarati inammissibili.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente la Corte procede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo gli stessi proposti contro la medesima sentenza.

1. Con il primo motivo di entrambi i ricorsi si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), il difetto assoluto di giurisdizione della Corte dei Conti.

Osservano i ricorrenti che, a norma dell’art. 272 del T.F.U.E., ogni valutazione sull’indebita percezione, distrazione o illecita utilizzazione di finanziamenti e contributi comunitari sarebbe di competenza esclusiva della Commissione Europea; ciò comporta che la Corte dei Conti sarebbe priva di giurisdizione, sussistendo una riserva assoluta in favore della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

1.1. Il motivo, che presenta alcuni profili di inammissibilità, è comunque privo di fondamento.

In verità, da nessuno dei due ricorsi è dato desumere con certezza che tale questione sia stata posta nei gradi di merito. Il ricorso del C., nel riportare le proprie difese in primo grado e in appello, nulla dice sul punto; mentre il ricorso del B. è carente in ordine alla descrizione sommaria dei fatti di causa.

Oltre a ciò, il motivo di ricorso invoca l’art. 272 del TFUE il quale dispone che la Corte di giustizia dell’Unione Europea “è competente a giudicare in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato stipulato dall’Unione o per conto di questa”. La norma, cioè, prevede che la Corte di giustizia decida sulla base di un’apposita clausola compromissoria; nulla viene detto nei due ricorsi, però, sull’an di tale clausola e sul suo ipotetico contenuto, per cui il richiamo all’art. 272 risulta privo di un qualsiasi supporto in fatto.

Tuttavia, anche volendo tralasciare questi rilievi di inammissibilità, la censura è comunque priva di fondamento.

Ed invero queste Sezioni Unite hanno già stabilito, con l’ordinanza 10 settembre 2013, n. 20701, che sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti sulla domanda della procura contabile per la restituzione alla Commissione Europea delle somme erogate in via diretta, ed illecitamente percepite, giacchè l’azione di risarcimento dei danni erariali e la possibilità per le amministrazioni interessate di promuovere le ordinarie azioni civilistiche di responsabilità restano, anche quando investano i medesimi fatti materiali, reciprocamente indipendenti, integrando le eventuali interferenze tra i giudizi una questione di proponibilità dell’azione di responsabilità innanzi al giudice contabile e non di giurisdizione (conferma indiretta viene anche dalla sentenza 27 gennaio 2016, n. 1515).

Tale principio deve essere ribadito in sede odierna; e comunque, come correttamente ha rilevato il Procuratore generale di questa Corte nella sua requisitoria scritta, l’esistenza di autonomi rimedi attribuiti alla Comunità Europea non fa venire meno la giurisdizione del giudice contabile.

2. Con il secondo motivo di entrambi i ricorsi si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), il difetto di giurisdizione della Corte dei conti, per violazione della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1.

Rilevano i ricorrenti, dopo aver ricordato che la Corte dei Conti giudica dei danni arrecati all’erario dai pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni, come per sussistere la giurisdizione contabile occorrano due requisiti, costituiti dall’esistenza di un rapporto di impiego e dalla circostanza che il pregiudizio economico sia stato causato nell’esercizio di un’attività inerente a tale rapporto. Nella specie, non sussisterebbe alcun rapporto di servizio tra la pubblica amministrazione erogatrice del finanziamento e i ricorrenti, per cui vi sarebbe il difetto di giurisdizione del giudice contabile, appartenendo la giurisdizione al giudice ordinario.

2.1. Il motivo, che pure presenta profili di inammissibilità, è comunque privo di fondamento.

Anche per questa censura valgono le considerazioni compiute a proposito del primo motivo, e cioè che nessuno dei due ricorsi dimostra che essa sia stata posta nei giudizi di merito; e poichè non si tratta di un profilo di eccesso di potere, ma solo di un presunto difetto di giurisdizione, potrebbe sul punto essersi perfezionato il giudicato interno.

Tuttavia, anche volendo ipotizzare l’ammissibilità della censura, la stessa è priva di fondamento.

La costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite, infatti, ha ribadito, con un orientamento al quale va data ulteriore continuità, che ai fini della sussistenza della giurisdizione contabile, tra la P.A. che eroga un contributo e il privato che lo riceve si instaura un rapporto di servizio, sicchè il percettore del finanziamento risponde per danno erariale innanzi alla Corte dei Conti, qualora, disponendo della somma in modo diverso da quello programmato, frustri lo scopo perseguito dall’ente pubblico (così la sentenza 25 gennaio 2013, n. 1774, confermata dalla sentenza 31 luglio 2017, n. 18991, e dalla recentissima sentenza 4 ottobre 2019, n. 24858, ove espressamente si riconosce che tra la P.A. che eroga un contributo e colui che lo riceve si instaura un rapporto di servizio). E’ stato poi anche affermato che in caso di indebito conseguimento di un finanziamento pubblico, sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti sulla domanda risarcitoria formulata dall’ente pubblico finanziatore nei confronti del privato che, non importa se in qualità di libero professionista o di dipendente del futuro percettore, abbia eseguito perizie o svolto analoghe attività preparatorie indispensabili all’ottenimento di fondi pubblici, essendosi il rapporto di servizio instaurato in forza di tale condotta, immancabilmente sostitutiva o integrativa dell’attività istruttoria della P.A. erogante, che costituisce un indefettibile presupposto dell’erogazione poi rivelatasi non dovuta (ordinanza 5 giugno 2018, n. 14436).

E’ perciò evidente che nel caso di specie sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti, in considerazione del fatto che entrambi gli odierni ricorrenti hanno svolto attività di amministrazione di una società che ha ricevuto fondi pubblici che sono stati, in sostanza, sviati dalla loro finalità, posto che l’attività per la quale detti fondi erano stati concessi non è stata mai realmente avviata.

3. Con il terzo motivo di entrambi i ricorsi si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), violazione dell’art. 111 Cost., carenza di giurisdizione ed eccesso di potere giurisdizionale della Corte dei Conti, nonchè violazione dei principi del giusto processo e della personalità della responsabilità erariale.

Dopo aver premesso che entrambi i ricorrenti avevano completato in tutto il programma per il quale il finanziamento era stato concesso, la doglianza ricorda che la responsabilità contabile è limitata ai fatti commessi con dolo o colpa grave e che nel relativo processo vige il principio della personalità della responsabilità. Nella specie, al contrario, la sentenza avrebbe condannato il C. in assenza dei presupposti necessari, tanto più che egli aveva rivestito il ruolo di amministratore per un tempo di circa tre mesi; non sussistendo il dolo o la colpa grave, il ricorrente avrebbe dovuto essere assolto per la correttezza del suo operato, sicchè la sentenza configurerebbe un eccesso di potere giurisdizionale, non avendo garantito all’incolpato la necessaria tutela prevista dalla Costituzione. Ciò sul rilievo che, pur essendo il sindacato avverso le sentenze della Corte dei conti limitato al superamento dei limiti esterni, tuttavia l’art. 111 Cost., imporrebbe anche un’interpretazione di tale limite nel senso del rispetto dei principi del giusto processo. Sull’assenza di dolo e colpa grave insiste anche il B. nel terzo motivo di ricorso.

3.1. Le censure contenute nel terzo motivo di entrambi i ricorsi sono inammissibili.

Esse, infatti, benchè lamentino, formalmente, presunti eccessi di potere della sentenza, in realtà contengono censure con le quali si contesta il concreto esercizio del potere giurisdizionale da parte del giudice contabile. Si tratta, cioè, di censure che, risolvendosi nella prospettazione di un incongruo scrutinio delle risultanze istruttorie, finiscono per lamentare vizi che potrebbero costituire, al più, ipotesi di errores in iudicando, come tali rientranti nei limiti interni della giurisdizione contabile e sottratti comunque alla verifica di queste Sezioni Unite.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto dal solo C., si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), violazione dell’art. 111 Cost., nonchè dei principi del giusto processo e della personalità della responsabilità erariale, per avere la Corte dei Conti omesso di pronunciarsi sulla richiesta di esercitare il potere di riduzione della condanna.

Osserva il ricorrente di avere formulato, nel corso del processo, richiesta di diversificazione della sua posizione rispetto a quella del B., sollecitando l’esercizio del potere di riduzione dell’addebito in proprio favore, stante la diversità dei comportamenti ed il brevissimo lasso di tempo nel quale egli aveva esercitato le funzioni di amministratore (circa quattro mesi), a fronte di un periodo ben più lungo nel quale esse erano state svolte dal B.. L’avere omesso ogni pronuncia sul punto configura, secondo il ricorrente, “un indiscutibile rifiuto di giurisdizione censurabile ai sensi dell’art. 111 Cost.”.

4.1. Il motivo è inammissibile, per ragioni analoghe a quelle già indicate a proposito del terzo motivo.

Nella specie, infatti, muovendo dal presupposto critico secondo cui la Corte dei Conti avrebbe erroneamente parificato le posizioni dei due odierni ricorrenti, senza contare che il C. aveva ricoperto il ruolo di amministratore per un tempo molto più breve rispetto al B., la doglianza prospetta, in sostanza, un’omissione di pronuncia. Tale omissione, però, come correttamente ha rilevato il Procuratore generale presso questa Corte, non è riconducibile, nell’assunto del ricorrente, alla ritenuta estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali del giudice contabile, quanto a semplice dimenticanza. Ne consegue, perciò, che la censura rimane nell’ambito di un’ipotesi di error in iudicando, come tale rientrante nei limiti interni della giurisdizione contabile e sottratto comunque alla verifica di queste Sezioni Unite (v., per la diversa ipotesi della norma sulla definizione agevolata dei giudizi di responsabilità erariale, di cui alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231, la sentenza 14 gennaio 2015, n. 476).

5. Entrambi i ricorsi, pertanto, sono rigettati.

Non occorre provvedere sulle spese, essendo il Procuratore generale della Corte dei Conti parte in senso solo formale.

Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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