Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33108 del 16/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 610/2015 R.G. proposto da:

AGRISERVICE di A.T. & C. S.A.S., C.F. *****, con sede in San Cipirrello (PA), rapp.ta e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Cinquemani Luigi del Foro di Palermo ed elett. dom.ta presso lo studio dell’avv. Errante Massimo in Roma, Via Monte Zebio n. 25;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, rapp.ta e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale per legge è

dom.ta in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sez.30 N. 186/30/2013 depositata il 14 novembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2019 dal Consigliere Nocella Luigi.

RILEVATO

Che:

La Fratelli T.A.e.G. & C. S.n.c. (oggi Agriservice di A.T. & C.), corrente in San Cipirrello, impugnava innanzi alla CTP di Palermo l’avviso di accertamento N. *****, notificatole dall’Agenzia delle Entrate di Palermo 2, con il quale questa, sulla scorta della mancata risposta a due inviti comunicati il 15.02 ed il 26.10.2007 per la esibizione di libro cespiti ammortizzabili e fatture di acquisto, aveva negato la spettanza del credito d’imposta inserito nella denuncia IVA 2002 relativo all’acquisto, liquidava per detto esercizio maggiore IVA per Euro 11.638,00 ed irrogava le connesse sanzioni. In particolare la Società ricorrente aveva dedotto che già in data 15.05.2003 l’Agenzia, nel corso di apposita verifica presso la sede sociale, aveva dato atto di aver verificato l’intera documentazione contabile dell’esercizio 2002, visionando e ritirando copia del libro dei cespiti ammortizzabili e delle fatture successivamente richieste.

Nel contraddittorio con l’Agenzia resistente, l’adita CTP con sentenza n. 413/01/2009, respingeva il ricorso; detta sentenza è stata confermata, sull’appello della Società, dalla CTR della Sicilia con la sentenza oggi impugnata: premesso che i controlli sui rimborsi sono articolati in due fasi, delle quali la prima è finalizzata all’accertamento della legittimità formale della richiesta, la seconda alla verifica della sussistenza dei presupposti sostanziali della pretesa, la CTR ha ritenuto sussistente il potere discrezionale dell’Agenzia di chiedere nuovamente la documentazione contabile, donde, in mancanza dell’esibizione e di giustificazione della stessa, la legittimità dell’accertamento impugnato e l’impossibilità, giusta espresso divieto di legge, alla nuova produzione degli stessi in sede giurisdizionale.

L’Agriservice ricorre per la cassazione di detta sentenza, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 23.12.2014 e depositato l’11.11.2013, articolando due motivi di censura.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

Che:

L’Agriservice denuncia, con il primo motivo di ricorso, violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 4 e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 5 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.: evidenziato che l’Agenzia era incontestatamente venuta già in possesso della documentazione richiesta con i due inviti emessi ai sensi dell’art. 51 cit., deduce che la pretesa di nuova esibizione costituirebbe palese violazione dell’invocato art. 6 Statuto del contribuente, poichè i medesimi documenti nuovamente prodotti in giudizio erano già stati consegnati alla medesima Agenzia in sede di verifica nel maggio 2003; donde l’impossibilità per la CTR di disconoscere il contenuto dei documenti medesimi e di conseguenza ritenere legittimo l’accertamento impugnato.

Con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, a causa della totale carenza di pronuncia circa il primo motivo di appello proposto, sul punto afferente la carenza di motivazione dell’avviso dalla medesima Società avverso la sentenza della CTP di Palermo, motivo della cui proposizione e del cui contenuto dà atto la medesima CTR nell’esposizione sommaria dei fatti di causa.

Il primo motivo è infondato.

Come noto l’art. 6, comma 4 invocato dal ricorrente fa divieto all’Amm.ne Finanziaria di richiedere al contribuente “documenti ed informazioni già in possesso” della medesima o “di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente”. Tale norma, tuttavia, non fa riferimento a qualsivoglia documento pervenuto, per qualsiasi evenienza, nella disponibilità delle Amministrazioni in essa indicate; deve invece essere letto in connessione alla L. n. 241 del 1990, art. 18, commi 2 e 3, menzionato nell’ultima parte del medesimo comma, cioè con esclusivo riferimento soltanto a quelli fin dall’origine o istituzionalmente posseduti dalle medesime, che debbono anzi essere obbligatoriamente acquisiti d’ufficio (Cass. sez. V 27.10.2010 n. 21956; Cass. sez.V 21.01.2015 n. 958); non essendo altrimenti possibile presumere che un documento o un’informazione, incidentalmente fornito dal contribuente ad una qualsiasi Amm.ne pubblica, debba essere da questa adeguatamente conservato a tempo indeterminato, anche al di là delle necessità contingenti che ne hanno determinato l’acquisizione. Sicchè deve concludersi che la richiesta di documenti per loro natura e finalità pertinenti alla sfera di disponibilità del contribuente non ricadono sotto il divieto sancito nella norma invocata.

Deve poi aggiungersi, quanto alla pretesa falsa applicazione del gli D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, che neppure questa può configurarsi nella ipotesi concreta sottoposta all’esame della Corte. Invero la facoltà di richiedere esibizione ed estrazione di copia di documenti prevista nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 3 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 5, nn. 2 e 4 “per l’adempimento dei loro compiti” (e quindi in ogni fase della loro attività e senza limitazione cronologica o funzionale), è distinta da quella prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 2 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 2 e 4, attribuita nel corso di ispezioni, accessi e verifiche, tanto che il n. 1 dell’art. 32 ne fa espresso richiamo e menzione autonoma. Peraltro l’inottemperanza alla richiesta di documenti anche nella fase di accertamento è sanzionata con la impossibilità di farli valere anche in fase contenziosa; impossibilità che, in virtù del sopravvenuto D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 6, comma 3 è condizionata all’esplicito avviso da parte dell’Amm.ne richiedente circa le conseguenze dell’inottemperanza (ma lo era già prima secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte – cfr. Cass. sez.VI-V ord. 26.05.2014 n. 11765; Cass. sez.VI-V 27.12.2016 n. 27069; Cass. sez.V ord. 22.06.2018 n. 16548 – in ossequio alla garanzia del diritto di difesa ex art. 24 Cost.). Poichè l’ammonizione era esplicitata quanto meno nel secondo invito, il cui testo la ricorrente ha integralmente riportato a pag.4 del ricorso, è evidente che si sono verificati tutti i presupposti per l’inutilizzabilità della documentazione richiesta e non consegnata all’Agenzia.

D’altronde non può presumersi impeditiva di una reiterazione della richiesta dei medesimi documenti o informazioni l’avvenuta precedente consegna dei medesimi documenti, certa perchè risultante dal verbale di ispezione dei verificatori: invero non è azzardato immaginare che quelli già acquisiti possano essere andati dispersi da parte dei funzionari che li ricevettero, o risultino danneggiati; eventi questi che, ancorchè colpevoli, non possono impedire all’Ufficio di portare a compimento la propria doverosa attività mediante il discrezionale esercizio della facoltà di esaminare la documentazione ritenuta rilevante.

Peraltro opportunamente l’Agenzia fa rilevare che l’Agriservice non solo non ha ottemperato a ben due inviti successivi all’ispezione, ma ha omesso totalmente di riscontrarli, senza neppure di tentare una qualsivoglia giustificazione della mancata risposta o di segnalare che i documenti erano già stati acquisiti in precedente attività dell’Ufficio; circostanze queste che denotano la volontarietà del rifiuto di mettere la documentazione a disposizione dell’Agenzia e configurano a pieno titolo il presupposto unico dell’inutilizzabilità ex artt. 32 e 51 invocati, e cioè il rifiuto, del quale la mancata esibizione o il mancato invio sono le concrete manifestazioni.

Il secondo motivo deve essere dichiarato inammissibile. Invero, come rilevato dalla stessa ricorrente, la CTR ha dato atto, nell’esposizione dei fatti processuali, dell’avvenuta proposizione di uno specifico motivo di ricorso avverso l’avviso di accertamento per carenza di motivazione, e della sostanziale riproposizione della doglianza nel ricorso in appello; sicchè pronunciandosi sul merito delle questioni sollevate avverso la legittimità dell’avviso medesimo, ha implicitamente esaminato, ritenendola infondata, la censura di omessa motivazione dell’avviso. In tal caso pertanto si versa in una ipotesi di assorbimento in senso improprio del motivo, cioè nella situazione in cui “la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande, con la conseguente conclusione che “l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale), in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento” (da ultimo Cass. sez.I ord. 12.11.2018 n. 28995; ma anche Cass. sez.I 27.12.2013 n. 28663 ed altre). Nella specie è evidente che la CTR, avendo esaminato la censura di merito circa la preclusione probatoria in ordine ai presupposti sostanziali del vantato credito d’imposta, aveva ritenuto implicitamente infondata la denuncia di omessa motivazione dell’atto di accertamento dei maggiori imponibili conseguenti al mancato riconoscimento del credito d’imposta medesimo. Donde l’inammissibilità del motivo, in quanto il mezzo di censura avrebbe dovuto essere non già quello di omessa motivazione della pronuncia d’appello, che in effetti ha implicitamente disatteso la censura sulla questione preliminare, bensì quello di violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della norma che impone l’obbligo di motivazione degli avvisi di accertamento.

Pertanto il ricorso deve essere respinto e la Società ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese processuali in favore dell’Agenzia vittoriosa, secondo la liquidazione in dispositivo. Consegue altresì la dichiarazione dell’obbligo di versamento da parte della medesima società del contributo unificato integrativo, in misura pari a quella già dovuta per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese della presente fase del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.300,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale stesso ex art. 13, comma 1-bis.

Roma, così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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