Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33119 del 16/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 3942 del ruolo generale dell’anno 2018 proposto da:

Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Docks Nord s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Cad Bianculli s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Cad D&C Spedizioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Armella Sara e Milli Marina, elettivamente domiciliate in Roma, via Marianna Dionigi, n. 29, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– controricorrenti –

e contro

SACI di Dott. C.e.E.M. & c. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al controricorso, dagli Avv.ti Margiotta Gennaro e Porcelli Giovanni, elettivamente domiciliata in Roma, via Malcesine, n. 30, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– controricorrente –

e contro

Fallimento ***** s.r.l., in liquidazione, in persona del curatore, rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. Livio Pier Paolo, presso il cui studio in Roma, via Gallio, n. 10, è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2757/7/2017, depositata il giorno 21 giugno 2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 luglio 2019 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

RILEVATO

Che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato a Docks Nord s.r.l., Cad Bianculli s.r.l., Cad D&C Spedizioni s.r.l., SACI di Dott. C.e.E.M. & c. s.a.s., ***** s.r.l., avvisi di accertamento in relazione a una sere di operazioni di importazione eseguite negli anni 2013 e 2014, riguardanti prodotti di calze e intimo realizzati a Hong Kong riproducenti loghi e marchi registrati, nonchè i conseguenti avvisi di irrogazione delle sanzioni; le pretese erano fondate sulla circostanza che le importazioni non erano state sottoposte al dazio dei diritti di licenza che la importatrice ***** s.r.l. si era impegnata a versare alla licenziante; avverso i suddetti atti impositivi le società contribuenti avevano proposto separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Como che li aveva rigettati; avverso la pronuncia del giudice di primo grado le società contribuenti avevano proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: dall’analisi dei contratti si evinceva che i licenzianti non imponevano i produttori terzi alla licenziataria, nè ne indirizzavano la scelta, nè imponevano l’utilizzo di determinati materiali o particolari componenti, sicchè l’unico controllo che i licenzianti potevano esercitare era quello della imposizione della necessaria qualità della merce prodotta e commercializzata nonchè del rispetto da parte dei fabbricanti di determinate condizioni di lavoro, ma non anche quello gestionale; sussisteva, quindi, una autonomia tra il rapporto licenziante-licenziataria e quello tra licenziataria-produttore, sicchè il pagamento dei diritti di licenza non costituiva condizione della vendita;

avverso la pronuncia del giudice del gravame ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a tre motivi di censura, cui hanno resistito le società contribuenti con controricorso;

Docks Nord s.r.l., Cad Bianculli s.r.l. e Cad D&C Spedizioni s.r.l. hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di tassatività dei motivi, ai sensi dell’art. 360, c.p.c., proposto dalla difesa di Docks Nord s.r.l., Cad Bianculli s.r.l. e Cad D&C Spedizioni s.r.l., in base alla considerazione che l’Agenzia tenderebbe ad ottenere la rivalutazione del merito, peraltro in senso analogo prospettata dalla difesa del fallimento ***** s.r.l., in liquidazione;

in realtà, la ricorrente non ha contestato la ricostruzione in fatto operata in sentenza, ma l’identificazione delle nozioni giuridiche, che delineano la portata precettiva delle disposizioni unionali applicate, soprattutto gli artt. 157-160 D.A.C.;

ed invero, l’inquadramento dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema legale corrispondente si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può, di conseguenza, formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità, sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. civ., 5 dicembre 2017, n. 29111);

da disattendere è anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dalle medesime difese, per mancata indicazione delle ragioni sulle quali si fondano le ritenute violazioni di legge ovvero per non avere indicato sotto quale profilo il giudice del gravame avrebbe violato le previsioni normative di riferimento, avendo parte ricorrente chiaramente prospettato la violazione delle regole interne ed unionali che sottendono alla pretesa fatta valere dall’amministrazione doganale, in particolare alla sussunzione della fattispecie, secondo le diverse clausole contrattuali, alle previsioni normative di riferimento, nella prospettiva della necessaria verifica della circostanza che il pagamento del diritto di licenza costituisse condizione della vendita delle merce importata nonchè della verifica della sussistenza di un controllo, anche se indiretto, del licenziante; va, parimenti, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla difesa del fallimento ***** s.r.l., in liquidazione, basata sulla circostanza che il ricorso sarebbe il risultato di un assemblaggio del processo verbale di constatazione e dell’intera sentenza di primo e secondo grado, tenuto conto del fatto che il ricorso contiene chiaramente l’esposizione delle ragioni della pretesa dell’amministrazione doganale, le ragioni di contestazione delle parti e la diversa prospettazione difensiva dell’amministrazione doganale, nonchè l’illustrazione della vicenda processuale, in modo da consentire a questa Corte di apprezzare e valutare le diverse questioni sottese ai motivi di ricorso proposti;

ciò precisato, ai fini della definizione del presente giudizio si ritiene di dovere preliminarmente esaminare il secondo motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., degli artt. 29 e 32 del Regolamento CEE n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992 (Codice doganale comunitario), degli artt. 143,157 e 160 del Regolamento Cee n. 2454/93 della Commissione del 2 luglio 1993 (Regolamento di attuazione del Codice), nonchè degli artt. 1362, c.c., e dei principi di ermeneutica contrattuale e del loro combinato disposto”, sostenendo che dalle clausole contrattuali contenute nei contratti stipulati tra il licenziante e la licenziataria il giudice del gravame avrebbe dovuto desumere un controllo diretto sul produttore della merce;

il motivo è fondato;

va precisato che l’art. 29 Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, nell’istituire il Codice doganale comunitario, determina le modalità di calcolo del valore in dogana che, di regola, è il valore di transazione (CgUE 21 gennaio 2016, Stretinskis, causa C-430/14, p. 15) e deve riflettere il valore economico reale della merce importata, considerandone tutti i fattori economicamente rilevanti (CgUE 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu). I successivi artt. 30 e 31 forniscono via via criteri sussidiari nel caso in cui il valore in dogana non possa essere determinato in base alla normativa predetta;

anche i diritti di licenza incidono sulla determinazione del valore doganale della merce qualora siano incorporati nella merce e, infatti, ai sensi dell’art. 32 p. 1 “Per determinare il valore in dogana ai sensi dell’art. 29 si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate (…) c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare”;

il Reg. Ce n. 2454/1993, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario, precisa la summenzionata regola, stabilendo all’art. 157, p. 2 che “(…) quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’art. 29 Cod. doganale si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e – costituisce una condizione di vendita delle merci in causa”;

la rettifica prevista dall’art. 32 Cod. doganale, paragrafo 1, lett. c), si applica, di conseguenza, laddove ricorrano tre condizioni concorrenti: 1) che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; 2) che essi si riferiscano alle merci da valutare; 3) che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare;

con riferimento al caso in cui il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti incorporanti marchi commerciali, il regolamento di attuazione all’art. 159 specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare soltanto se: il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione; le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza; l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore. Nel caso, poi, in cui l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il successivo art. 160 prescrive che “(…) le condizioni previste dall’art. 157, p. 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento”;

il fulcro centrale della decisione del giudice del gravame risiede nella circostanza che non sussisterebbe, nella fattispecie, un rapporto tra la licenziante ed il terzo produttore e, quindi, sulla ritenuta assoluta autonomia di rapporti, con conseguente esclusione di un controllo, anche se indiretto, tra la prima ed il secondo;

al riguardo, è opportuno richiamare la sentenza resa dalla Corte di Giustizia nella causa C-173/15, nell’ambito del procedimento GE Healthcare GmbH contro Hauptzollamt Dusseldorf, scaturito da controlli doganali per importazioni da stati non dell’Unione, in relazione ad operazioni nello stesso gruppo di società, con la quale la Corte di Giustizia rammenta il significato dell’interpretazione offerta dal Comitato del codice doganale fonte interpretativa di cui dover tener conto (CgUE 6 febbraio 2014, Humeau Beaupreau, C2/13, p. 51);

il Comitato ha chiarito, al punto 12 del commento n. 3 (sezione del valore in dogana) relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che “(i)I problema da risolvere è (…) verificare se il venditore (sia) disposto a vendere le merci senza che siano pagati un corrispettivo o un diritto di licenza. La condizione può essere esplicita o implicita. Nella maggior parte dei casi viene specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate sia subordinata o (meno) al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è essenziale che questo sia così specificato”;

pertanto, è sufficiente, per la Corte di giustizia, che “nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” (CgUE 9 marzo 2017, C173/15, p. 60 e conclusioni dell’Avvocato Generale p. 51);

nel caso in esame, peraltro, ricorrono i presupposti di applicazione di entrambe le discipline particolari contemplate dagli artt. 159 e 160 regolamento n. 2454/93: da un lato, i diritti di licenza si riferiscono come visto anche ai marchi di fabbrica; dall’altro, la loro corresponsione spetta ad un soggetto diverso dal venditore, restando irrilevante il fatto che tale soggetto non sia qualificato come terzo;

è infatti sufficiente per l’identificazione delle “condizioni di vendita”, com’è specificato nel p. 67 della sentenza della Corte di Giustizia da ultimo citata, che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da “una persona legata al venditore”;

dirimente, ai fini della presente fattispecie, è dunque verificare la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore e la licenziante, titolare del diritto di licenza e la sua forza: occorre, cioè, come ha chiarito la Corte di giustizia, “verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente” (CgUE causa C-173/15, punto 68);

a tal proposito, l’ali. 23 delle D.A.C. all’art. 143, paragrafo 1, lett. e) prevede che “si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda”;

il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perchè è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perchè ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato: quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene;

utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32 Cod. doganale, paragrafo 1, lett. c), con riconosciuto valore di soft law; queste indicazioni, ha precisato la Corte di giustizia in causa C-173/15, p. 45: “sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sè considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice”;

in particolare, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante;

ciò precisato, va quindi evidenziato che il giudice del gravame ha omesso di valutare, alla luce dei principi sopra indicati, il contneuto specifico e complessivo delle clausole dell’accordo di licenza stipulato dalla importatrice con la licenziante, valorizzate dalla ricorrente con specifico richiamo a quanto riportato nel processo verbale di costatazione, e quindi di accertare se la situazione fattuale, secondo gli specifici impegni assunti dalle parti, rientrassero o meno nell’ambito configurato dagli indicatori sopra indicati, anche al solo fine di accertare un controllo indiretto del licenziante sul produttore, in particolare quelle clausole in cui si prevede: il diritto di fabbricare o far fabbricare e di distribuire i prodotti oggetto della licenza medesima deve essere esercitato in conformità ai campioni approvati dalla licenziante, ed ogni successiva modifica espressamente autorizzata; il diritto della licenziante di accedere presso lo stabilimento dei terzi ovvero presso i luoghi di distribuzione o vendita; il diritto della licenziante di controllare i registri e i documenti contabili del produttore; l’obbligo di cessazione, gravante anche per il produttore, della produzione in caso di cessazione dell’efficacia del contratto; l’obbligo della licenziataria di comunicare preventivamente il produttore;

va in questo contesto evidenziato che, in conformità alle regole di esperienza proprie del rapporto di licenza, questo è connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali, in linea con l’art. 8 della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile;

a tali principi non risulta che il giudice del gravame si sia conformato, non avendo tenuto conto, ai fini della correttamente applicazione delle disciplina normativa di riferimento interna e unionale, del complesso delle clausole contrattuali concernenti i diritti e gli obblighi specifici derivanti dal contratto di licenza;

non rileva, per completezza, la considerazione espressa in memoria dalle controricorrenti Docks Nord s.r.l., Cad Bianculli s.r.l. e Cad D&C Spedizioni s.r.l., in ordine alla circostanza relativa alla soppressione del richiamato commento n. 11 Taxud/800/2002 rev. 2007 del Comitato del Codice doganale, superato dalla Commissione Europea con l’emanazione del “Compendium of Customs Valuation texts – edition 2018;

in realtà, il documento citato è stato sostituito dal Taxud/B4/2016, che fornisce linee orientative più sintetiche (ma non meno lineari) e si correla al dettato del nuovo codice doganale (Reg. 952/2013/UE

– CDU) e al corrispondente Reg. di esecuzione (Reg. 2015/2447/UE

– RE), i quali, sulla specifica questione, prevedono una disciplina più ampia sul concetto di “condizione di vendita” e sulla rilevanza del “controllo”;

in proposito, si osserva che l’art. 70 Cod. doganale, vigente, pone, al comma 1, la regola generale che il valore in dogana è quello di transazione, ossia “il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci”, mentre il comma successivo dispone che questo “è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate”;

con riguardo alla questione in esame, il successivo art. 71 individua tra gli elementi da includere nel valore di transazione “c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare”;

il Reg. di esecuzione (n. 2015 del 2447), art. 136, precisa, poi, che “I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante” (comma 4), giudicando irrilevante il paese in cui è stabilito il destinatario del pagamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza (comma 5);

può, dunque, concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sè sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita;

sicchè, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale;

in tal senso si esprime il Taxud/B4/2016: “il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi”;

la norma, del resto, come precisato anche nel citato documento TAXUD del 2016, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002;

quanto alla nozione di “controllo”, va rilevato che la stessa conserva importanza, venendo presa in considerazione dal Reg. (UE) n. 2015 del 2447, art. 127, secondo la quale, ai fini della determinazione del valore in dogana, “si ritiene che una parte controlli l’altra quando la prima è in grado, di diritto o di fatto, di imporre orientamenti alla seconda”;

una siffatta locuzione è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato;

è, dunque, evidente che il documento Taxud/800/2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perchè riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis, sia perchè la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perchè anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate;

l’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del primo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116, c.p.c., e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4);

è parimenti assorbito il terzo motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 303, commi 1 e 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, per avere il giudice del gravame annullato gli atti di irrogazione delle sanzioni, in conseguenza dell’annullamento della pretesa impositiva;

in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo ed il terzo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale che dovrà applicare i principi sopra indicati ed esaminare le ulteriori questioni riproposte in questa sede dalle parti e provvedere anche alla liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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