LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31099/2018 proposto da:
H.M., elettivamente domiciliato in Napoli, alla Piazza Cavour 139, presso lo studio dell’Avvocato Luigi Migliaccio, che lo rappresenta e difende come da procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Utg Prefettura Di Napoli;
– intimato –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di NAPOLI, depositata il 23/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2019 dal Consigliere Dottoressa Irene SCORDAMAGLIA.
FATTI DI CAUSA
1. Il Giudice di pace di Napoli, con ordinanza del 23 marzo 2018, ha respinto il ricorso in opposizione proposto da H. Muhamet, cittadino gambiano, avverso il decreto di espulsione del Prefetto di Napoli del 5 febbraio 2018.
A ragione della decisione ha ricordato come il ricorrente avesse dichiarato di non volere richiedere il termine per la partenza volontaria ed ha escluso di poter delibare in ordine alla sussistenza di condizioni ostative all’espulsione di carattere umanitario (nella specie il timore di persecuzioni determinate dal proprio orientamento sessuale nel Paese di origine, allegato dal ricorrente) in forza del principio di diritto secondo il quale il provvedimento di espulsione dello straniero è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato, sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta, in assenza di cause di giustificazione, del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento ovvero nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego (Sez. U, Sentenza n. 22217 del 16/10/2006, Rv. 591934 – 01).
2. L’illustrato provvedimento è fatto oggetto di ricorso da H.M. con due motivi, che denunciano:
2.1. il primo, la violazione del D.Lgs. n. 241 del 1990, artt. 3 e 6 e art. 10 Cost., sul rilievo che il Giudice di pace, investito di una questione relativa all’esistenza di una condizione ostativa al rimpatrio, nuova rispetto a quelle fatte valere nel giudizio per il riconoscimento della protezione umanitaria, in quanto attinente alla condizione di omossessualità, fonte di persecuzioni o di trattamenti inumani in Gambia, avrebbe dovuto svolgere un accertamento penetrante e concreto, del quale non vi era traccia nella motivazione del decreto di espulsione;
2.2. il secondo, la nullità dell’ordinanza impugnata da omessa pronuncia in ordine al profilo della violazione dell’art. 7 della direttiva CE n. 115/2008, in punto di notifica all’interessato del termine entro il quale far luogo alla partenza volontaria.
3. L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’ordinanza impugnata deve essere cassata per le ragioni che seguono.
1. Il motivo che denuncia la mancata assegnazione all’espulso di un termine entro il quale dar corso alla partenza volontaria è inammissibile perchè generico.
Nel corpo della motivazione del provvedimento il Giudice di pace ha dato atto di come dal foglio notizie, versato in atti dall’Amministrazione resistente, risultasse che lo straniero aveva dichiarato “di comprendere la lingua italiana, di preferire per le notifiche la inglese e di non volere richiedere il termine per la partenza volontaria”. Decisiva evidenza, questa, con la quale il ricorrente non si è affatto confrontato nell’articolazione della censura illustrata.
2. Il motivo che denuncia l’erronea o falsa applicazione della disciplina relativa alle condizioni ostative al rimpatrio, nuove rispetto a quelle fatte valere nel giudizio per il riconoscimento della protezione internazionale, coglie, invece, nel segno.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in caso di diniego di riconoscimento dello “status” di rifugiato, l’opposizione all’espulsione D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19, comma 1, deve fondarsi su ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle che già oggetto del procedimento per il riconoscimento di protezione internazionale, dovendosi valutare la “novità” non solo in senso oggettivo ma anche – ove i fatti o i fattori di rischio siano state appresi “medio tempore” – in senso soggettivo, con la conseguenza che integrano il suddetto requisito non soltanto i fatti cronologicamente sopravvenuti alla decisione di rigetto non impugnata, ma anche quelli ignorati in sede di valutazione della Commissione territoriale perchè non allegati dal richiedente e non accertati officiosamente dall’autorità decidente. Da ciò consegue, oltretutto, che – in sede di opposizione all’espulsione D.Lgs. n. 268 del 1998, ex art. 19, comma 1, – il relativo accertamento è doveroso da parte del giudice di pace perchè tenuto, al pari del giudice della protezione internazionale, all’obbligo di cooperazione istruttoria (Sez. 6 – 1, n. 4230 del 20/02/2013, Rv. 625460 – 01).
In forza del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 il giudice di pace, in sede di opposizione alla misura espulsiva, è, quindi, tenuto ad esaminare e pronunciarsi sul concreto pericolo, prospettato dall’opponente, di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani e/o degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine, in quanto la norma di protezione introduce una misura umanitaria a carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale, qualora tale condizione venga positivamente accertata dal giudice (Sez. 1, n. 3898 del 17/02/2011, Rv. 616927 – 01; in termini Sez. 1-, n. 9762 del 08/04/2019, Rv. 653690 – 01).
3. Poichè il giudice censurato, nell’esaminare la questione della sopravvenuta consapevolezza da parte dello straniero della propria omosessualità, suscettibile di integrare una condizione ostativa al rimpatrio, non si è per nulla attenuto ai principi di diritto richiamati nel punto che precede, verificando officiosamente se nel Paese di origine dell’opponente (il Gambia) sussistano condizioni giuridiche o di fatto discriminatorie in ragione dell’orientamento sessuale professato, il ricorso dev’essere accolto quanto al secondo dei motivi illustrati, con conseguente cassazione dell’ordinanza impugnata e rinvio al Giudice di Pace di Napoli per nuovo esame.
P.Q.M.
In accoglimento del secondo motivo di ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Giudice di Pace di Napoli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019