LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31117/2018 proposto da:
S.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Della Giuliana, 32, presso lo studio dell’avvocato Antonio Gregorace che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Prefettura Di Milano, Questura Della Provincia Di Milano;
– intimato –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di MILANO, depositata il 03/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/10/2019 dal Consigliere Dottoressa Irene SCORDAMAGLIA.
FATTI DI CAUSA
1. S.S., cittadino *****, ha proposto opposizione ai decreti di espulsione emessi nei suoi confronti dal Prefetto di Milano il 10 gennaio 2018 e 7 marzo 2018, lamentando la loro omessa traduzione nella sua lingua madre, l’idioma mandinka, e la nullità o l’inesistenza dei provvedimenti notificatigli, perchè privi della certificazione di conformità all’originale.
2. Il Giudice di Pace di Milano, adito con il ricorso in opposizione, l’ha respinto, rilevando, tra l’altro, che il verbale di notifica del decreto di espulsione, riportante sinteticamente il provvedimento emesso dal Prefetto, veniva tradotto in inglese, quale lingua “veicolare” indicata dal ricorrente, e che il fatto stesso che il ricorrente avesse tempestivamente promosso l’opposizione, con motivata ed articolata difesa, stava a dimostrare che egli aveva pienamente compreso il contenuto del decreto, così da far ragionevolmente ritenere che la traduzione in inglese avesse raggiunto lo scopo perseguito dalla norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7. Rilevava, altresì, che non erano configurabili la nullità o l’inesistenza dei decreti di espulsione per non essere stata apposta sulle copie notificate all’interessato l’attestazione di conformità agli originali, visto che il provvedimento di espulsione viene redatto in duplice copia ed ognuna di esse è firmata in originale dal Prefetto delegato, di modo che allo straniero è consegnata un esemplare in originale del decreto stesso.
3. Ricorre per cassazione S.S., con il ministero del difensore, deducendo:
– con il primo motivo, falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 e art. 24 Cost., in ragione della mancata traduzione dei decreti di espulsione nella sua lingua madre, tale omissione determinando la nullità del decreto di espulsione, non altrimenti sanabile;
– con il secondo motivo, falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, in ragione della mancata attestazione sulla copia del decreto di espulsione notificatagli della conformità all’originale, da ciò derivando la nullità o l’inesistenza del decreto di espulsione.
3. L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere respinto.
1. Il primo motivo è infondato.
1.1. Nella materia de qua vige il principio secondo il quale la mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua propria del destinatario determina la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, con conseguente nullità non sanabile del provvedimento, anche in presenza dell’attestazione di indisponibilità del traduttore, qualora la stessa non sia sufficientemente motivata (Sez. 6-1, n. 22607 del 05/11/2015, Rv. 637667; Sez. 6-1, n. 14733 del 14/07/2015, Rv. 635877).
1.2. La disposizione poc’anzi menzionata prevede che il decreto di espulsione e ogni altro provvedimento concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione “sono comunicati all’interessato unitamente (…) ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta ovvero, ove non sia possibile, in lingua inglese, francese o spagnola” ed è stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che grava sull’amministrazione l’onere di provare l’eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue c.d. “veicolari” da parte del destinatario del provvedimento di espulsione, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l’atto in una di dette lingue, con la precisazione, tuttavia, che è compito del giudice di merito accertare in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto, a tal fine valutando gli elementi probatori del processo, tra i quali assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall’interessato nel c.d. “foglio-notizie”, nel quale egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale il provvedimento sia stato tradotto (Sez. 6-1, n. 11887 del 15/05/2018, Rv. 648654), ovvero l’attestazione, contenuta nella relata di notificazione del decreto, della dichiarazione dello straniero di conoscere la lingua italiana, che costituisce prova della relativa circostanza, atteso il carattere fidefacente della relata quanto all’effettività della dichiarazione (Sez. 6-1, n. 18123 del 21/07/2017, Rv. 645055-01): donde, quella della conoscenza da parte dello straniero di una lingua veicolare ovvero della lingua italiana, è circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 1 -, n. 2953 del 31/01/2019, Rv. 652623).
1.3. Alla stregua dei richiamati principi, l’ordinanza impugnata, laddove ha evidenziato come il verbale di notifica al S. del decreto di espulsione, riportante sinteticamente il provvedimento emesso dal Prefetto, in conformità a quanto previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, comma 6 (“Ai fini della comunicazione allo straniero dei provvedimenti concernenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, gli atti sono tradotti, anche sinteticamente, in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero, quando ciò non sia possibile, nelle lingue francese, inglese o spagnola, con preferenza per quella indicata dall’interessato”), fosse stato tradotto in inglese, quale lingua veicolare indicata dallo stesso ricorrente, ed ha argomentato nel senso che il fatto stesso che il ricorrente avesse tempestivamente promosso l’opposizione, con motivata ed articolata difesa, stesse a dimostrare che egli aveva pienamente compreso il contenuto del decreto, così da far ragionevolmente ritenere che la traduzione in inglese avesse raggiunto lo scopo perseguito dalla norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, non si presta a censura alcuna.
Le indicate circostanze, dalle quali il giudice di merito ha desunto il convincimento che lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione conoscesse la lingua inglese, che, tra l’altro è quella ufficiale del Gambia, confluiscono in un apprezzamento di fatto censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, nella specie neppure evocato nel ricorso.
2. Inammissibile è il secondo motivo, con il quale è denunciata violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, per assenza di conformità all’originale delle copie dei decreti di espulsione consegnati allo straniero.
La censura non è idonea a scalfire la motivazione che correda la decisione sul punto, con la quale il Giudice di Pace ha evidenziato che allo straniero è sempre notificato uno dei due esemplari in originale del decreto di espulsione, entrambi sottoscritti dal delegato del Prefetto, in quanto non correlata alla specifica ratio decidendi.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato senza statuizioni sulle spese, non essendosi l’Amministrazione intimata costituita in giudizio. Non vi è luogo a provvedere sulla liquidazione dei compensi a spese dello Stato richiesta dal difensore del ricorrente in forza del principio di diritto secondo il quale, in tema di patrocinio a spese dello Stato, nella disciplina di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, la competenza sulla liquidazione dei compensi al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto Decreto, come modificato dalla L. n. 25 del 2005, art. 3, al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione (Sez. 6-5, n. 13806 del 31/05/2018, Rv. 648695-01; Sez. 3, n. 11028 del 13/05/2009, Rv. 608343-01).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla è dovuto a titolo di spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019