Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.33171 del 16/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32559/2018 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in Ravenna, alla Via Meucci n. 7, presso lo studio dell’Avv. Andrea Maestri, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****, Prefettura Ufficio Territoriale Del Governo Provincia Di Rimini;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di RIMINI, depositata il 15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2019 dal Consigliere Dott. Irene SCORDAMAGLIA.

FATTI DI CAUSA

1. Il Giudice di Pace di Rimini, con l’ordinanza del 10 ottobre 2018, ha respinto il ricorso in opposizione presentato da O.E., cittadino nigeriano, avverso il decreto di espulsione dal territorio nazionale, con accompagnamento alla frontiera, emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Rimini in data 31 maggio 2018.

2. Per la cassazione della detta ordinanza ricorre, con il ministero del difensore, lo straniero espulso e deduce tre motivi.

2.1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 19 per non essere stato concesso all’espulso un termine per la partenza volontaria, non essendone legittimo il diniego solo in ragione dell’inottemperanza a precedente invito ad allontanarsi dal territorio nazionale.

2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento della causa ostativa all’espulsione rappresentata dalle persecuzioni in atto in Nigeria nei confronti di quanti professano il cristianesimo, religione, questa, nella quale si riconosce il ricorrente.

2.3. Il terzo motivo denuncia il mancato esame di un fatto decisivo, costituito dall’annullamento del decreto di espulsione impugnato con ordinanza del Giudice di pace di Ravenna n. 33 del 2017 del 5 giugno 2017, in ragione della particolare vulnerabilità del ricorrente.

3. Il resistente Ministero dell’interno si è costituita in giudizio, ma non ha articolato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere respinto.

1. Il primo motivo è infondato.

1.1. Vige in materia il principio di diritto secondo il quale non può essere dichiarata l’illegittimità del provvedimento di espulsione amministrativa nei confronti del cittadino straniero fondata su un pregresso rifiuto di stato di soggiorno, solo perchè esso non contenga un termine per la partenza volontaria, così come previsto dalla direttiva 115/2008/CE, in quanto tale mancanza può incidere sulla misura coercitiva adottata per eseguire l’espulsione, ma non sulla validità del provvedimento espulsivo (Sez. 6 – 1, n. 15185 del 11/09/2012, Rv. 624028 01): si è, al riguardo, spiegato che nessuna incidenza sulla legittimità del decreto di espulsione adottato dal Prefetto possono produrre le regole sull’esecuzione dell’espulsione dettate dall’art. 13, comma 5, nel testo modificato dal D.L. n. 89 del 2011, convertito nella L. n. 129 del 2011, atteso che eventuali difformità attinenti all’esecuzione rilevano in sede di sindacato della convalida dell’accompagnamento e/o del trattenimento non legittimi ma non in ordine al paramento alla stregua del quale deve essere valutata la legittimità del provvedimento espulsivo, desumibile esclusivamente dalle condizioni di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 (Sez. 6 – 1, n. 10243 del 20/06/2012, Rv. 623264 – 01).

1.2. Va, quindi, riconosciuta la correttezza in diritto dell’ordinanza impugnata, che ha, tra l’altro, dato ampiamente conto di come il ricorrente fosse stato già destinatario di un decreto di espulsione adottato dal Prefetto di Ravenna, con pedissequo ordine del Questore di Ravenna di allontanarsi dal territorio nazionale entro 7 giorni cui non aveva ottemperato, e di come questi fosse privo di un titolo di soggiorno sul territorio dello Stato non essendogli stato rinnovato il permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

2. Il secondo motivo è inammissibile.

Le doglianze sviluppate in punto di esistenza di ragioni di persecuzione determinate dal credo religioso professato dal ricorrente sono sviluppate del tutto genericamente e, comunque, non aggrediscono la specifica ratio decidendi – l’assenza di prova delle circostanze di fatto invocate a fondamento dell’allegata persecuzione religiosa – della statuizione di rigetto del corrispondente motivo di opposizione.

3. Il terzo motivo è inammissibile.

Il rilievo di omesso esame della decisione di annullamento, pronunciata dal Giudice di pace di Ravenna in data 5 giugno 20017, di pregresso decreto di espulsione è parimenti articolato in maniera assolutamente generica, non avendo il ricorrente specificamente indicato nè le cadenze fattuali mediante le quali la detta pronuncia – riferita, peraltro, verisimilmente al decreto di espulsione adottato dal Prefetto di Ravenna nei confronti dello stesso O.E. – era stata introdotta nel contraddittorio tra le parti, nè le ragioni della decisività della stessa ai fini della delibazione da compiersi sul decreto di espulsione adottato dal Prefetto di Rimini.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla è dovuto a titolo di spese, non avendo l’Amministrazione costituita articolato difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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