LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26384-2018 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
D.V.M.G., + ALTRI OMESSI, domiciliati in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentati e difesi dagli avvocati FERDINANDO EMILIO ABBATE e MARA MANFREDI giusta procura in calce al ricorso;
– controricorrenti –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 30/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/07/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte d’appello di Roma, con decreto n. 1678 del 30/03/2018, ha parzialmente accolto l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia avverso il decreto del Consigliere delegato con il quale era stata accolta la domanda di equa riparazione promossa dagli odierni controricorrenti in relazione alla irragionevole durata di un procedimento in materia di lavoro conclusosi con sentenza della Corte di Cassazione n. 6169/2016.
Il provvedimento impugnato, dopo avere rigettato il motivo di opposizione che invocava l’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini per il termine decadenziale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, ritenendo che la soluzione suggerita dalla difesa erariale era contrastata dalla costante giurisprudenza di legittimità, accoglieva il secondo motivo di opposizione, ritenendo che al periodo di durata ragionevole del processo andavano aggiunti anche i mesi decorsi tra la data del deposito del ricorso in appello e la notificazione agli appellati, procedendo pertanto alla riduzione dell’importo liquidato a favore di ogni ricorrente, fissato quindi nella somma di Euro 800,00 pro capite.
Avverso tale decreto il Ministero della Giustizia propone ricorso affidato a quattro motivi.
Gli intimati resistono con controricorso.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, sostenendosi che erroneamente sarebbe stata reputata applicabile al termine de quo la sospensione feriale dei termini di cui alla L. n. 742 del 1969, occorrendo però tenere conto degli effetti della novella del 2012 la quale ha previsto che, una volta rigettata la domanda di equo indennizzo, ancorchè per motivi di rito, la stessa non sia più proponibile, sebbene non risulti ancora maturato il termine semestrale, il che dovrebbe portare ad assimilare il termine de quo a quelli a carattere sostanziale.
Il secondo motivo denuncia la violazione della medesima norma assumendosi che oggi sarebbe venuto meno il carattere necessitato del procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001, posto che il diritto all’indennizzo può essere riconosciuto anche mediante il ricorso al procedimento di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010.
Il terzo motivo denuncia del pari la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, nella parte in cui si ritiene al termine de quo applicabile la sospensione feriale dei termini, occorrendo tenere conto della modifica di cui all’art. 327 c.p.c., con la conseguente riduzione a sei mesi del termine per impugnare. Si deduce che paradossalmente potrebbe verificarsi che al termine endoprocessuale lungo di cui alla norma ora richiamata potrebbe non risultare applicabile la sospensione feriale dei termini che invece sarebbe invocabile per il termine decadenziale per la proposizione della domanda di equo indennizzo.
Il quarto motivo infine lamenta, sempre in relazione alla medesima norma, l’erronea applicazione della sospensione feriale dei termini sostenendosi la necessità di una sua interpretazione adeguatrice, in ragione della peculiare struttura che il legislatore ha dato al procedimento, conformandolo alle regole del procedimento monitorio, connotato da speditezza che si pone come incompatibile con la proroga dei termini in periodo feriale.
Ciò chiarito, i motivi de quibus, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1, in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto investita dai motivi di ricorso in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte (così Cass. n. 4675/2018; Cass. n. 5052/2018; Cass. n. 22512/2018), senza che l’esame dei motivi offra elementi per mutare orientamento.
Va, infatti, richiamato il condiviso principio per cui “poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo” (Cass. n. 5423 del 2016; Cass. n. 10595 del 2016; Cass. n. 26423/2016).
Le argomentazioni sviluppate dal ricorrente, in parte sono fondate su considerazioni di politica legislativa che esulano chiaramente dalle conclusioni imposte dal tenore letterale della norma, come ad esempio laddove si ricava dalla dimidiazione dei termini per impugnare la pretesa che debba ridursi surrettiziamente anche il termine de quo, impedendo l’operatività della sospensione feriale dei termini, richiamandosi, in altra parte del ricorso incidentale, la ricorrenza di situazioni del tutto eventuali, e riferibili a termini aventi finalità e natura evidentemente diverse, laddove si fa riferimento alla possibilità che al termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. possa in concreto non risultare applicabile la sospensione feriale, che invece potrebbe riscontrarsi per il termine di proposizione della domanda di equo indennizzo.
Ancora va osservato che l’eventuale speditezza che a seguito della riforma connota la riforma il procedimento in esame, con la sua strutturazione sulla falsariga del procedimento monitorio, mira ad assicurare la sollecita definizione una volta introdotto, ma non può costituire argomento di per sè idoneo ad escludere l’applicazione della sospensione feriale in relazione al diverso termine posto a monte dell’introduzione del procedimento medesimo.
D’altronde, anche in relazione a procedimenti comunque connotati per l’intento del legislatore di favorire una sollecita istruzione e definizione, come ad esempio il procedimento sommario di cui all’art. 702 bis c.p.c., non si è mai dubitato della necessità di dover fare applicazione della sospensione feriale, laddove la controversia trattata con tali modalità processuale esuli da quelle per le quali il legislatore abbia espressamente previsto l’inoperatività della detta sospensione. La previsione, poi, che l’esercizio dell’azione indennitaria nel termine di legge abbia assunto ancor di più carattere decadenziale, avendo il legislatore previsto che anche il rigetto per motivi di rito ne precluda la riproposizione, non costituisce argomento che depone a favore della natura sostanziale del termine, trattandosi di conseguenza che appare rimessa essenzialmente alla discrezionale scelta del legislatore, senza direttamente incidere sul tema sostenuto nel motivo di ricorso, e che trova un richiamo anche nella disciplina di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c., non essendosi mai dubitato che i termini previsti per le impugnazioni conservino natura processuale, sebbene la declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione ne precluda la ripresentazione, pur non essendo ancora maturati i termini previsti dalla legge.
Quanto infine alla possibilità di far ricorso alla procedura di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, la connotazione di tale procedura come chiaramente strumentale all’esercizio dell’azione giudiziale, costituisce un argomento decisivo per escludere che sia venuto meno il carattere necessitato della procedura giurisdizionale, essendo peraltro tale carattere solo uno degli argomenti che depongono per la natura processuale del termine di cui all’art. 4 citato.
Per l’effetto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione ai difensori antistatari.
Tuttavia risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione agli avvocati Mara Manfredi e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene anticipatari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019