LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30144-2018 proposto da:
S.W., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO BOSCO;
(Ammesso p.s.s. Delib. 27 settembre 2018 Cons. Ord. Avv. Milano);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1523/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 23 marzo 2018, la Corte di appello di Milano respinse il gravame di S.W., nativo del Gambia, contro l’ordinanza ex art. art. 702-ter c.p.c. del 30 marzo 2016, resa dal tribunale di quella stessa città, reiettiva del ricorso da lui proposto avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per la Protezione Internazionale di Milano che gli negò il diritto allo status di rifugiato, o alla protezione sussidiaria, o, in estremo subordine, alla protezione umanitaria.
1.1. In sintesi, quella corte, confermando la decisione del giudice di prime cure, ritenne che i motivi addotti dall’appellante a sostegno della sua richiesta non ne consentivano l’accoglimento.
2. Avverso la descritta sentenza S.W. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) violazione di legge, nella parte in cui la decisione impugnata, dopo aver giudicato inattendibili le dichiarazioni dell’appellante non aveva adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria;
Il) violazione di legge, per non essersi considerato che la minaccia di essere ucciso “possa provenire anche da soggetti non statuali, nel caso in cui le autorità, i partiti o le organizzazioni non possano o non vogliano fornire protezione”, come avvenuto nella specie. In parte qua, si ascrive alla decisione impugnata anche l’omesso esame di un fatto decisivo per la decisione della controversia;
III) contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, dopo aver indicato i presupposti della invocata protezione, li ha ritenuti insussistenti in ordine a quanto già denunciato dal ricorrente con il secondo motivo.
2. Il primo motivo non merita accoglimento.
2.1. Posto, invero, che la corte milanese, con una motivazione coerente e priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti, è giunta alla conclusione in termini di inattendibilità delle dichiarazioni dell’odierno ricorrente, va rilevato che l’accertamento circa la credibilità soggettiva del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto, demandato al giudice del merito, e che la relativa positiva valutazione costituisce una premessa indispensabile perchè quel giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (cfr. Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018; Cass. n. 3849 del 2019; Cass. n. 15794 del 2019), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente (ma non è questo il caso, come chiaramente emerge dalla motivazione della corte distrettuale) dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 871 del 2017; Cass. n. 3849 del 2019). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).
3. Parimenti infondati sono il secondo ed il terzo motivo, suscettibili di esame congiunto.
3.1. E’ noto, infatti, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa – come sostanzialmente denunciato nella specie – è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass., SU., n. 10313 del 2006; in senso conforme: Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013) di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3.2. Quanto, poi, ai vizi motivazionali prospettati, da valutarsi alla stregua della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 23 marzo 2018), essi, lungi dall’indicare un preciso fatto storico, oggetto di discussione tra le parti e decisivo, il cui esame sarebbe stato omesso, sono sostanzialmente volti a rimarcare insufficienze e/o contraddittorietà motivazionali nell’apprezzamento dei fatti.
3.2.1. Al riguardo, va, però, rilevato che la suddetta formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ha ridotto il sindacato di legittimità sulla motivazione al “minimo costituzionale” nel senso già chiarito da questa Corte (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014), qui neppure dedotto, laddove, nel resto, le critiche di cui ai motivi de quibus si risolvono nel tentativo, da parte del ricorrente, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata, una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).
3.3. Merita, infine, di essere ricordato che l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce ragione sufficiente per negare sia la protezione sussidiaria che quella umanitaria (cfr. Cass. n. 16925 del 2018).
4. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019