LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –
Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22949/2018 proposto da:
E.U., elettivamente domiciliato presso l’avv. Andrea Maestri che lo rappres. e difende, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.
presso l’Avvocatura generale dello Stato che lo rappres. e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di Bologna, depositato il 10/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/10/2019 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.
RILEVATO
CHE:
Con decreto del 10.7.18, il Tribunale di Bologna rigettò il ricorso proposto da E.U., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria, osservando che: le dichiarazioni del ricorrente non erano credibili e coerenti, avendo il ricorrente descritto genericamente le vicende che lo avevano spinto all’espatrio, specie in ordine agli asseriti conflitti etnici, ed essendo emerse contraddizioni tra quanto dichiarato innanzi alla Commissione e quanto invece dichiarato in giudizio; non era stata prodotta documentazione relativa alla sua situazione familiare e personale; era da escludere, in particolare, il riconoscimento della protezione sussidiaria in quanto dalle fonti esaminate non si desumeva che nello stato della Nigeria, da cui proveniva il ricorrente, vi fosse una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato; era parimenti da non riconoscere la protezione umanitaria, non sussistendone i presupposti in ordine alle situazioni di seria e grave vulnerabilità, non rilevando a tal fine l’attività di formazione lavorativa a tempo determinato svolta in Italia dallo stesso ricorrente.
Lo U. ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria. Resiste il Ministero con controricorso.
RITENUTO
CHE:
Con il primo motivo è denunziata violazione dell’art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14,17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 12, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, per non aver il Tribunale, in ordine alla protezione sussidiaria, ritenuto la sussistenza di una minaccia grave alla sua vita derivante da una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto interno, non avendo considerato quanto emerge dal sito di Amnesty International.
Con il secondo motivo è denunziata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 33 Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati, per non aver il Tribunale esaminato la questione del transito in Libia ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
Con il terzo motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, non avendo il Tribunale considerato l’integrazione sociale del ricorrente in Italia ai fini del riconoscimento del permesso umanitario. Il primo motivo è inammissibile.
La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, invero, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) (Cass., n. 3340/2019), escludendosi, in mancanza, la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti. In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona.
E’ stato altresì osservato che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine (Cass. n. 16925/2018; Cass., n. 28862/2018).
Nel caso concreto, la Corte d’appello ha diffusamente ed adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali la narrazione dell’istante non è credibile, caratterizzata da incoerenze e contraddizioni ben evidenziate, e ha esaminato vari recenti report (EASO) dai quali si evince che nella regione di provenienza del ricorrente non ricorreva una situazione di violenza indiscriminata.
Il secondo motivo è inammissibile. Secondo l’orientamento di questa Corte, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass., n. 31676/18).
Nel caso concreto, il ricorrente non ha allegato alcuna connessione tra il transito in Libia e il contenuto della domanda.
Il terzo motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente allegato specifiche situazioni integranti i presupposti della protezione umanitaria, avendo genericamente lamentato un’omessa verifica, da parte del Tribunale, della situazione personale di vulnerabilità. Al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economicò (Cass., n. 3681/19; n. 27336/18).
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2100,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019