Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.34525 del 27/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TRISCARDI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5121-2015 proposto da:

BIOAGRI PICCOLA SOCIETA’ COOPERATIVA ARL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIBURTINA 352, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SELLARO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI BRUNO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

e da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

BIOAGRI PICCOLA SOCIETA’ COOPERATIVA ARL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1786/2014 della COMM.TRIB.REG. di CATANZARO, depositata il 06/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/11/2019 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 256/4/2013, depositata in data 11.3.2013, la Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza rigettò il ricorso proposto dalla Società Bioagri Piccola Società Cooperativa a r.l. contro l’avviso di accertamento relativo ad IVA ed IRAP per l’anno 2004 e consequenziale iscrizione a ruolo, con cui la Agenzia delle Entrate, in considerazione della mancata risposta da parte della contribuente al questionario con richiesta di documenti, inviato dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, aveva proceduto alla determinazione del reddito di impresa induttivamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 2, prescindendo dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, ritenendo che la mancata risposta al questionario autorizzasse la tipologia di accertamento eseguito, stante la inutilizzabilità nel giudizio dei documenti non prodotti ai fini dell’accertamento fiscale, mancando la prova della impossibilità della loro produzione.

Investita dall’appello della contribuente che aveva dedotto di non avere ricevuto gli avvertimenti in ordine alla decadenza in cui sarebbe incorsa in caso di mancata ottemperanza all’invito a depositare i documenti e che doveva essere in ogni caso consentita alla contribuente la possibilità di dimostrare, attraverso idonea documentazione, anche nel giudizio, che il maggior reddito determinato sinteticamente non era esistente, non essendovi neppure la prova che l’invito fosse stato realmente notificato, la Commissione Tributaria Regionale della Calabria, con sentenza n. 1786/4/2014, depositata il 6 ottobre 2014, accolse parzialmente l’appello annullando in parte gli atti impugnati e compensando le spese del giudizio.

La Commissione Tributaria Regionale ritenne che il giudice non fosse vincolato dalle eccezioni sollevate nella fase procedimentale, disponendo invece delle più ampie facoltà, incluso il ricorso alle presunzioni semplici, anche nel caso in cui il contribuente non aveva risposto all’invito ad esibire di documenti, con la conseguenza che la sentenza di primo grado era errata laddove, in violazione del principio di tassatività delle ipotesi di nullità, aveva fatto discendere dalla mancata adesione all’invito la sanzione processuale della inutilizzabilità della prova a discarico. Valutata quindi la prova a discarico e, considerato che l’Ufficio non la aveva contrastata con le controdeduzioni, ritenne “equo” ridurre l’entità dell’accertamento del 50%.

Contro la sentenza di appello, non notificata, propone ricorso la contribuente con atto notificato in data 24 febbraio 2015, per ottenere la cassazione della sentenza, affidandolo a due motivi.

Resiste la Agenzia delle Entrate con controricorso e ricorso incidentale per la parte di soccombenza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce “errores in iudicando ex art. 360 c.p.c., commI 2 e 5”, per non avere la sentenza di appello riconosciuto integralmente le ragioni della ricorrente, mentre invece le argomentazioni proposte in appello avrebbero dovuto portare alla totale riforma della sentenza di primo grado, tenendo conto delle risultanze contenute nella documentazione prodotta ed in applicazione del principio per cui la applicazione del metodo analitico deve essere la regola generale mentre il metodo sintetico deve essere applicato solo in via alternativa.

2. Con il secondo motivo si duole di “omessa valutazione e motivazione di un fatto e di un motivo di impugnazione in grado di appello ex art. 360 c.p.c., comma 5”, per avere la sentenza di appello “omesso qualsivoglia statuizione sulla eccezione di nullità dell’accertamento in virtù della mancata prova dell’avviso di legge dovuto al contribuente”, nonchè sulla doglianza che “in quella missiva difetta l’avvertimento preteso dagli arresti recenti che rende non operante a carico del contribuente il limite previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32”.

3. Con il controricorso la Agenzia delle Entrate, premesso che nell’invito trasmesso alla parte ricorrente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, era chiaramente indicato quali fossero le conseguenze della mancata risposta e le sanzioni che la stessa norma prevedeva a carico del contribuente, fra cui la inutilizzabilità, a suo favore, dei dati e notizie non addotti e degli atti, documenti, libri e registri non esibiti, sia in fase amministrativa che contenziosa, con conseguente legittimazione alla procedura di accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) -bis, deduce la inammissibilità del ricorso della contribuente poichè non si comprendeva in virtù di quale norma o di quale principio la sentenza impugnata avrebbe dovuto annullare l’atto impugnato. Propone altresì ricorso incidentale per la parte di soccombenza in virtù dei principi affermati dalla Corte di Cassazione per cui la mancata risposta del contribuente al questionario autorizza l’accertamento induttivo ed inibisce la possibilità per il contribuente di utilizzare nel giudizio la documentazione contabile che non ha esibito, anche, se, in ipotesi, per un errore non scusabile, di fatto o di diritto.

4. Partendo dall’esame del ricorso principale, il primo motivo è inammissibile.

4.1. Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (v., per tutte, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19959 del 22/09/2014 Rv. 632466 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11603 del 14/05/2018 Rv. 648533 – 01).

4.2. Nel caso in esame la ricorrente, dopo avere richiamato l’art. 360 c.p.c., commi 2 e 5 (che non hanno alcuna attinenza con le questioni dedotte, così come non sarebbero pertinenti neppure l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 5, qualora la ricorrente avesse voluto richiamare, invece, tali disposizioni, posto che il n. 2 attiene al difetto di competenza ed il n. 5, nel testo applicabile “ratione temporis”, all’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti), si duole sostanzialmente del fatto che il giudice di appello non abbia riconosciuto integralmente le sue ragioni, tenendo conto delle risultanze contenute nella documentazione prodotta ed in applicazione del principio per cui la applicazione del metodo analitico deve essere la regola generale e chiede (pag. 12 del ricorso) la cassazione della sentenza “per violazione e falsa applicazione di norme di diritto” peraltro non indicate. Nessun fatto decisivo, su cui vi sarebbe stata una omissione di pronuncia, viene quindi adombrato, il che comporta la inammissibilità del motivo, non potendosi comprendere quale sia stato il reale vizio dedotto se non quello, generico, di una pretesa ingiustizia della sentenza per ragioni, tuttavia, non esplicitate.

4.3. E’ vero che l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato, ma nel caso in esame, trattandosi di motivi “misti o compositi” che propongono, fra l’altro, anche questioni fattuali, non sono individuabili neppure i vizi effettivamente denunciati, se non quello di una pretesa violazione di legge, svincolata peraltro dal richiamo di qualsiasi norma.

5. Anche il secondo motivo è inammissibile.

5.1. La ricorrente lamenta, pure in tal caso, “ex art. 360 c.p.c., comma 5”, che la sentenza di appello abbia omesso la valutazione di un fatto e di un motivo di impugnazione in grado di appello e che in particolare la sentenza di appello abbia “omesso qualsivoglia statuizione sulla eccezione di nullità dell’accertamento in virtù della mancata prova dell’avviso di legge dovuto al contribuente”, nonchè sulla doglianza che “in quella missiva difetta l’avvertimento preteso dagli arresti recenti che rende non operante a carico del contribuente il limite previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32”.

5.2. Orbene, pur volendo ritenere che la ricorrente abbia inteso richiamare l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, esso, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nel caso in esame ratione temporis, essendo stata la sentenza di appello depositata in data 6.10.2014, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto, da intendersi come fatto naturalistico, sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori, di deduzioni o di argomentazioni non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831 – 01).

5.3. In disparte ciò, considerato che la Agenzia delle Entrate ha contestato che l’invito rivolto con il questionario non contenesse gli avvertimenti delle conseguenze derivanti dalla mancata ottemperanza (pagg. 4 e 5 delle controdeduzioni) indicando il contenuto dell’invito inviato al contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, il contribuente avrebbe avuto l’onere, ai fini della autosufficienza del motivo, di trascrivere o quanto meno allegare il detto invito onde consentire a questa Corte di verificare la correttezza del rilievo, mentre ciò non è avvenuto, il che rende non specifico e come tale inammissibile il motivo di ricorso. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone infatti l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità per il principio di autosufficienza di esso (v., per tutte, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017 Rv. 645637 – 01).

5.4. In ogni caso, poichè la sentenza impugnata, pur avendo dato per presupposto che l’invito fosse stato correttamente notificato e rimasto senza risposta, ha poi ritenuto che la mancata risposta non precludesse l’esame delle prove a discarico che sono state perciò prese in esame e valutate dal giudice di appello, veniva meno l’interesse della parte ricorrente, vittoriosa sotto tale profilo, a contestare la omessa notifica e la incompletezza dell’invito, la cui mancata risposta è stata “neutralizzata” dalla sentenza impugnata, sia pure sotto il profilo della sua irrilevanza ai fini della piena utilizzabilità della prova a discarico; il che avrebbe consentito eventualmente la diversa doglianza sulla percentuale di riduzione dell’importo accertato – non contestata peraltro con tale motivo di ricorso – e non anche in ordine agli effetti della mancata adesione dell’invito, ritenuti irrilevanti dalla sentenza impugnata sulla base del principio (per la verità erroneo poichè è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui “L’omessa o intempestiva risposta dei dati richiesti dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento fiscale comporta, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 4, l’automatica inutilizzabilità, amministrativa e processuale, della documentazione prodotta tardivamente, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita alla sussistenza di tale condotta non essendo richiesto alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte; v., per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 16548 del 22/06/2018 Rv. 649229 – 02) per cui la mancata risposta all’invito non avrebbe impedito l’esame dei documenti nel giudizio, in conformità al criterio applicabile agli accertamenti parametrici, che qui, peraltro, non vengono in considerazione. Ed anche per tale assorbente rilievo il motivo sarebbe quindi inammissibile.

6. Il ricorso incidentale della Agenzia delle Entrate è ugualmente inammissibile poichè non è indicato il vizio dedotto ed, anche volendo ritenere che sia stata dedotta la violazione di legge, si fa riferimento esclusivamente ad un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, senza neppure alcuna indicazione della norma che si ritiene violata.

7. Ferma restando la compensazione delle spese dei due gradi di merito, già disposta dalla sentenza di appello, la reciproca soccombenza giustifica la compensazione anche delle spese del presente giudizio.

8.Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza, ratione temporis, essendo stato proposto il ricorso in data 26.2.2015, dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Non sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1.17, con il quale è stato modificato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, mediante l’inserimento del comma 1-quater, nei confronti del ricorrente incidentale, poichè tale disposizione non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 (Rv. 638714 01)

P.Q.M.

La Corte, rigetta i ricorsi, compensa le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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