Il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi.
Per converso, il preuso che non importi notorietà di esso, o che importi notorietà puramente locale, non esclude la novità del marchio successivo. Tuttavia, il preuso locale di un marchio non registrato conferisce al titolare il diritto di continuare ad utilizzarlo per lo stesso genere di prodotti nell'ambito dell'uso fattone, senza che il preutente stesso abbia il diritto di vietare a colui che successivamente registri il marchio di farne anch'egli uso nella zona di diffusione locale.
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18283/2015 proposto da:
Jack Daniel’s Properties Inc., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Salaria n. 259, presso lo Studio Legale Bonelli Erede e Pappalardo, rappresentata e difesa dall’avvocato Guglielmetti Giovanni, giusta procura speciale autenticata al Consolato Generale d’Italia di San Francisco (California – U.S.A.) il 17.2.15 – reg. n. 427/15;
– ricorrente –
contro
P.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Cola di Rienzo n. 180, presso lo studio dell’avvocato Giannini Stefano, che lo rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Gremigni Luca, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
C.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.G. Belli n. 60, presso lo studio dell’avvocato Colantoni Luciana, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Vecchi Francesca, Vecchi Ugo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Fallimento ***** s.r.l.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1343/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 18/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/10/2019 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. La Jack Daniel’s Properties, Inc., con sede in *****, produttrice ed esportatrice di whisky e titolare del marchio JACK DANIEL’S, depositato in Italia sin dal 1979, per i prodotti ricompresi nella classe 33 (bevande alcoliche), dall’anno 1990 estendeva la tutela del predetto marchio ad ulteriori classi merceologiche, tra le quali la 25 (prodotti di abbigliamento), depositando, a tal fine diversi marchi nazionali e comunitari.
Agli inizi del 2002, la Jack Daniel’s veniva a conoscenza del fatto che C.F. aveva registrato a suo nome, senza alcuna autorizzazione, il marchio JACK DANIEL’S per prodotti delle classi 18 e 25 (borse ed altri prodotti in cuoio, prodotti di abbigliamento). Tale registrazione, scaduta il 24 settembre 2000, non era stata più depositata dal C.. E tuttavia, la società produttrice veniva a scoprire, successivamente, che nel negozio di abbigliamento Jack Daniel Store di P.R., sito in *****, venivano detenuti e commercializzati capi di abbigliamento recanti il marchio JACK DANIEL’S, al medesimo forniti dalla ***** s.r.l., con sede in *****, della quale risultava amministratore C.F..
1.1. Con ricorso del 28 giugno 2005, la Jack Daniel’s Properties, Inc. chiedeva, quindi, che venisse disposta, nei confronti della ***** s.r.l. e di P.R., la descrizione dei prodotti recanti il marchio Jack Daniel’s dagli stessi detenuti e commercializzati. La descrizione, eseguita in data 25 luglio 2005, presso i locali della predetta società e del negozio Jack Daniel Store di P.R., rivelava l’esistenza di notevoli quantitativi di capi di abbigliamento, etichette, cartellini, buste in cellophane ed altri materiali, tutti recanti il marchio JACK DANIEL’S.
1.2. Con atto di citazione notificato il 27 luglio 2005, la Jack Daniel’s Properties, Inc. conveniva, quindi, in giudizio, dinanzi al Tribunale di Firenze, la ***** s.r.l. e P.R., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della contraffazione dei marchi JACK DANIEL’S, con conseguente emissione delle misure sanzionatorie di legge. Nel giudizio interveniva volontariamente C.F., ad adiuvandum le difese svolte dalla *****. Il Tribunale adito, con sentenza n. 32/2010, rigettava la domanda della società attrice, compensando le spese del giudizio.
2. Con sentenza n. 1343/2014, depositata il 18 agosto 2014, la Corte d’appello di Firenze, rigettava il gravame proposto dalla Jack Daniel’s Properties, Inc. La Corte territoriale – condividendo il percorso argomentativo del giudice di prime cure – riteneva che sussistesse a favore di C.F. un diritto di preuso, risalente al 1986, e dunque ad epoca precedente il primo deposito, da parte della società statunitense, del marchio JACK DANIEL’S nel settore dell’abbigliamento, risalente al 2 luglio 1990, e che tale diritto avrebbe potuto essere legittimamente proseguito dal preutente, ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 12.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso la Jack Daniel’s Properties, Inc. nei confronti del Fallimento della ***** s.r.l., dichiarato nelle more del giudizio di appello, di C.F. e di P.R., affidato a sei motivi. I resistenti C. e P. hanno replicato con controricorso. Il fallimento intimato non ha svolto attività difensiva.
4. Le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis. 1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, la Jack Daniel’s Properties, Inc. denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., art. 112 c.p.c., e/o del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 12 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
1.1. La ricorrente – muovendo dal rilievo secondo cui il giudice di primo grado avrebbe accertato la mancanza di notorietà del preuso del marchio JACK DANIEL’S da parte di C.F., fin dal 1986, ossia da epoca precedente il primo deposito, da parte della società statunitense, del marchio JACK DANIEL’S nel settore dell’abbigliamento, risalente al 2 luglio 1990 – censura la sentenza di appello nella parte in cui, rigettando il primo motivo di gravame proposto dalla Jack Daniel’s, avrebbe violato il giudicato interno su detta mancanza di notorietà del preuso, atteso che gli appellati C. e P. non avrebbero in alcun modo impugnato, con ricorso incidentale, siffatta statuizione.
1.2. La Corte territoriale sarebbe, incorsa, altresì, nella violazione dell’art. 112 c.p.c., essendosi pronunciata oltre le domande delle parti, atteso che nessuna di esse “aveva domandato alla Corte di accertare che il preuso accertato in primo grado avesse una qualsivoglia notorietà”. Se il giudice di secondo grado avesse, invece, correttamente applicato l’accertamento operato dal Tribunale, avrebbe dovuto accogliere il primo motivo di appello proposto dalla Jack Daniel’s, negando – in riforma, sul punto, del decisum del primo giudice – il riconoscimento del diritto al preuso in assenza di notorietà.
1.3. Ove volesse, peraltro, leggersi la pronuncia di appello nel senso di avere dato rilevanza – seguendo l’impostazione del Tribunale – ad un preuso privo di notorietà, “allora la Corte d’appello sarebbe incorsa in una palese violazione dell’art. 12 c.p.i.”, non potendo il preuso, privo di una qualsiasi notorietà, ricevere tutela ai sensi della norma succitata.
1.4. Il motivo è infondato.
1.4.1. Va rilevato che, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. a) (nel testo previgente, lett. b) del D.Lgs. n. 30 del 2005), “Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che alla data del deposito della domanda: a) siano identici o simili ad un segno già noto come marchio o segno distintivo di prodotti o servizi fabbricati, messi in commercio o prestati da altri per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza tra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. (…).
L’uso precedente del segno, quando non importi notorietà di esso, o importi notorietà puramente locale, non toglie la novità ma il terzo preutente ha diritto di continuare nell’uso del marchio, anche ai fini della pubblicità, nei limiti della diffusione locale, nonostante la registrazione del marchio stesso. L’uso precedente del segno da parte del richiedente o del suo dante causa non è di ostacolo alla registrazione”.
1.4.2. Orbene, dal tenore letterale della norma si evince che il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo in tal caso a mancare (fatte salve specifiche, e limitate ipotesi, previste dalla legge) il carattere della novità, che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione (Cass., 02/11/2015, n. 22350; Cass., 01/02/2018, n. 2499; Cass., 31/05/2019, n. 14925).
Per converso, il preuso che non importi notorietà di esso, o che importi una notorietà puramente locale, non esclude, ai sensi della disposizione succitata, la novità del marchio successivo e, quindi, la possibilità che il medesimo costituisca oggetto di registrazione. E tuttavia, quando si verifichi la seconda delle evenienze menzionate dalla norma del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12 il preuso locale di un marchio non registrato conferisce al titolare del segno il diritto di continuare ad utilizzarlo, per lo stesso genere di prodotto, nell’ambito dell’uso fattone, senza tuttavia che il preutente abbia anche il diritto di vietare a colui che successivamente registri il marchio di farne anch’egli uso nella zona di diffusione locale. In siffatta ipotesi, invero, viene a configurarsi una sorta di regime di “duopolio”, atto a consentire, nell’ambito locale, la coesistenza del marchio preusato e di quello successivamente registrato (Cass., 27/03/1998, n. 3236; Cass., 28/02/2006, n. 4405).
1.4.3. Tanto premesso in via di principio, deve ritenersi che, nel caso concreto, sia il Tribunale che la Corte d’appello abbiano fatto corretta applicazione dei principi suesposti, non incorrendo, in particolare, quest’ultima, nelle violazioni di legge denunciate dalla ricorrente.
1.4.3.1. Il punto della decisione di primo grado, oggetto del primo motivo di appello della Jack Daniel’s, e riportato nella sentenza di appello e negli atti di parte del presente giudizio, è, invero, del seguente tenore: “In sostanza risulta essersi trattato di una commercializzazione che si è attuata soprattutto nell’ambito della vendita ambulante e solo limitatamente nell’ambito di taluni negozi e che certamente, in assenza di qualsiasi attività pubblicitaria, non ha conferito notorietà al marchio in questione. Può quindi essere escluso pertanto che il preuso dedotto dalle parti convenute infici la validità dei marchi di parte attrice; resta però il fatto che il preuso dedotto risulta provato e che pertanto lo stesso può essere legittimamente proseguito ai sensi dell’art. 12 c.p.i.”.
1.4.3.2. La Corte d’appello ne ha tratto – correttamente – la conclusione che il primo giudice avesse chiaramente inteso escludere che il preuso del marchio JACK DANIEL’S da parte di C.F., per la mancanza di una notorietà nazionale (“commercializzazione che si è attuata soprattutto nell’ambito della vendita ambulante e solo limitatamente nell’ambito di taluni negozi”) “possa inficiare la validità dei marchi dei quali è titolare l’attrice (Jack Daniel’s statunitense), cosa che invece avverrebbe ove la notorietà del segno avesse oltrepassato l’ambito locale”. In altri termini, la mancanza di notorietà accertata dal primo giudice – a giudizio della Corte territoriale – è riferibile al solo difetto di notorietà nazionale, poichè altrimenti, la tutela del preuso non avrebbe potuto essere riconosciuta ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1, ossia mediante prosecuzione dell’utilizzo del marchio, nei limiti della diffusione locale, ma consentendo anche al titolare del marchio successivamente registrato di utilizzare lo stesso nel medesimo ambito. La notorietà nazionale del preuso avrebbe, per vero, comportato il difetto di novità e, quindi, l’invalidità del marchio JACK DANIEL’S successivamente registrato, ed il diritto all’uso esclusivo dello stesso da parte del preutente C.F.. Dal momento che il preuso era rimasto noto solo a livello locale, si erano venute, invece, a verificare, nella specie, le condizioni per l’attuazione di quel regime di “duopolio”, del quale è menzione nelle succitate decisioni di questa Corte.
1.4.3.3. Non avrebbe potuto essere accordata, dunque, ad avviso del giudice di appello, tale tutela del preuso, se lo stesso non avesse rivestito quanto meno il carattere di una notorietà limitata all’ambito locale, giacchè l’assenza totale di notorietà del preuso mentre non avrebbe certamente escluso la novità e, quindi, la validità della successiva registrazione del marchio – non avrebbe potuto, per contro, consentire quella “continuazione” dell’utilizzazione locale, “anche ai fini della pubblicità”, che, a tenore del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1 e stando all’indirizzo di legittimità succitato, presuppone comunque una, sia pure limitata, notorietà del preuso.
1.4.4. Alla stregua dei rilievi che precedono, va, pertanto, escluso che la pronuncia di appello si sia posta in violazione del giudicato interno o che sia incorsa nel vizio di ultrapetizione, atteso che entrambe le pronunce, di primo e di secondo grado, hanno escluso la sussistenza di una notorietà nazionale del preuso del marchio in contestazione da parte di C.F., affermando l’esistenza di una notorietà in ambito esclusivamente locale. Nè tanto meno, per le ragioni suesposte, può ravvisarci nell’impugnata sentenza, la dedotta violazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1.
1.5. Il mezzo in esame va, pertanto, rigettato.
2. Con il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, la Jack Daniel’s Properties, Inc. denuncia la violazione degli artt. 115 e 132 cod. proc. civ., nonchè l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
2.1. Deduce la ricorrente che, con il secondo motivo di appello, la medesima aveva censurato la decisione di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto comprovato un preuso del marchio JACK DANIEL’S da parte di C.F., direttamente o tramite imprese ad esso riferibili, per il periodo precedente il deposito di detto marchio da parte della società statunitense, risalente al 2 luglio 1990. Quest’ultima aveva, infatti, rilevato in giudizio che i documenti prodotti dalla controparte, a sostegno di tale preuso, erano “palesemente alterati, essendo evidente che il segno JACK DANIEL’S era stato aggiunto su di essi in un secondo momento, in molti casi in maniera maldestra con una grafia diversa”. E tale alterazione non era stata contestata dalle altre parti del giudizio di appello, con l’effetto di precludere ogni accertamento sul punto, ai sensi dell’art. 115 c.p.c..
Nondimeno, la Corte territoriale ha accertato la sussistenza del preuso, anche sulla scorta dei documenti prodotti, senza fermarsi alla non contestazione della loro alterazione, ed adducendo, come esempi, solo due documenti (una fattura ed una bolla di consegna) relativi a clienti esteri e, quindi, inidonei a dimostrare l’asserito preuso sul territorio nazionale.
2.2. In tal modo operando, il giudice di secondo grado avrebbe, altresì, omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituiti dalla inidoneità sia dei documenti alterati, che di quelli non alterati, a comprovare il suddetto preuso, nonchè dal rilievo, da parte dell’appellante, dell’inattendibilità di tali documenti.
2.3. La Corte territoriale sarebbe, inoltre, incorsa in un’ulteriore omissione di considerazione di fatti decisivi per il giudizio, laddove pur avendo osservato che “le prove devono essere valutate nel loro complesso” – ha, invece, considerato le deposizioni testimoniali sufficienti a dimostrare il preuso del marchio in discussione da parte del C., “anche a prescindere dai ricordati documenti”. La Corte avrebbe, peraltro, valutato le prove per testi senza il dovuto rigore tenuto conto della gravità delle conseguenze derivanti dalla prova di un preuso – ed in assenza del supporto di dati documentali certi, attendibili e completi, atteso che il riscontro documentale copriva solo due anni (1986 e 1989) dei cinque dell’affermato preuso (da11986 al 1990).
2.4. Avrebbe, dipoi, errato il giudice di secondo grado nel ritenere che le risultanze delle prove testimoniali abbiano consentito di considerare infondato l’assunto dell’appellante, secondo la quale il preuso sarebbe stato interrotto per alcuni anni, non essendo stati prodotti documenti per gli anni 1988 e 1990, e non essendo stata fornita prova alcuna dell’uso del marchio JACK DANIEL’S da parte del C. e del P. fino al 2005, data di inizio del giudizio di merito nei loro confronti, a prescindere da una sola deposizione testimoniale, peraltro resa dalla cognata di C.F., teste, pertanto, inattendibile.
2.5. In considerazione dei rilievi suesposti, la motivazione della sentenza di appello sarebbe, pertanto, una motivazione solo “apparente”, derivandone la nullità della decisione impugnata, ai sensi dell’art. 132 c.p.c..
2.6. I motivi soni inammissibili sotto diversi profili.
2.6.1. Per quanto concerne, infatti, il principio di non contestazione, va osservato che l’onere di contestazione riguarda esclusivamente le allegazioni delle parti e non anche le prove assunte, la cui valutazione opera in un momento successivo alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all’apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. (Cass., 01/02/2019, n. 3126). Nel caso di specie, per contro, la non contestazione riguarderebbe un elemento della prova documentale, ossia la pretesa inattendibilità di alcuni dei documenti, in quanto asseritamente alterati e contraffatti, prodotti in giudizio dal C. e dal P., a riprova del preuso del marchio JACK DANIEL’S. Per cui il principio in parola non può, certamente, trovare applicazione.
2.6.2. Per quanto concerne, poi, la natura di tali documenti, in quanto relativi a clienti esteri, il valore probatorio degli stessi e delle deposizioni testimoniali assunte, va rilevato che la prova del preuso, ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1, ben può essere data anche a mezzo della prova testimoniale, il cui valore dovrà essere apprezzato dal giudice di merito in comparazione alle complessive risultanze processuali ed in uno agli eventuali riscontri documentali offerti dalla parte (Cass., 13/07/2018, n. 18725).
A tale principio si è attenuta, nella specie, la Corte d’appello, avendo correttamente ritenuto di procedere ad una valutazione globale delle prove, “nel loro complesso”, attribuendo una parziale rilevanza ai documenti prodotti ed una maggiore valenza probatoria alle deposizioni dei testi escussì, le cui deposizioni sono state sottoposte al vaglio di attendibilità, e siffatta motivata valutazione non è censurabile in questa sede.
L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, invero, apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito. Quest’ultimo, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra, invero, altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass., 31/07/2017, n. 19011; Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/07/2017, n. 16467).
2.6.3. E tali principi, vanno certamente ribaditi anche in relazione alla questione della pretesa interruzione della continuità dell’uso, dedotta dalla Jack Daniel’s, avendo la Corte d’appello ritenuto, per converso, comprovata la continuità dell’uso, sulla base di accertamenti di fatto condotti sulla base delle risultanze delle prove testimoniali, nonchè della presunzione desunta dall’avvenuta registrazione del marchio JACK DANIEL’S, da parte del C., in data 24 settembre 1990.
2.6.4. Per tutte le considerazioni suesposte, non può, pertanto, ritenersi che l’impugnata sentenza – come dedotto dalla ricorrente sia affetta da nullità per carenza assoluta di motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., laddove le censure proposte involgono questioni di merito inammissibili in questa sede.
2.7. I motivi in esame devono, di conseguenza, essere disattesi.
3. Con il sesto motivo di ricorso, la Jack Daniel’s Properties, Inc. denuncia la violazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
3.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto nuova – e perciò preclusa in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. – la domanda della Jack Daniel’s di accertamento dei limiti del preuso e della conseguente contraffazione per gli usi eccendenti tali limiti. Si tratterebbe, per contro, non già di una domanda nuova, bensì di una mera riduzione della domanda originaria, che sarebbe stata limitata, in appello, alla sola contraffazione riferibile agli usi eccedenti i limiti del preuso.
3.2. Il mezzo è infondato.
3.2.1. Costituisce, invero, domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello, quella che, alterando anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introduca una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, inserendo nel processo un nuovo tema di indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio (Cass., 27/09/2018, n. 23415; Cass., 11/04/2013, n. 8842).
3.2.2. Nel caso di specie, il Tribunale – come dianzi detto – a fronte di una domanda di accertamento della contraffazione tout court del marchio in questione, aveva, invero, accertato – su espressa eccezione dei convenuti (ricorso, p. 10) – che vi era stato un preuso del marchio JACK DANIEL’S in ambito locale, senza circoscriverlo con esattezza, in assenza di una specifica domanda al riguardo da parte della società attrice, ma disponendo che tale preuso, nei limiti nei quali era stato esercitato, poteva essere proseguito, in conformità a quanto previsto dalla norma del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12 (“nei limiti della diffusione locale”).
La Corte d’appello ha, quindi, ritenuto che la domanda di accertamento della contraffazione con riferimento alla natura ed alla specie dei capi di abbigliamento venduti, ai clienti ed alle zone di diffusione, diverse da quelle cui si riferiva il preuso, costituisse domanda nuova ex art. 345 c.p.c..
3.2.3. Siffatta statuizione è da reputarsi corretta, atteso che la domanda introdotta dalla Jack Daniel’s in appello – ancorando la contraffazione all’eccesso dell’uso rispetto al preuso autorizzabile, in quanto ristretto in ambito locale – men che concretarsi in una mera riduzione quantitativa del petitum, si è piuttosto tradotta in una modificazione della causa petendi, rispetto alla contraffazione tout court, con conseguente necessità di operare nuovi accertamenti in fatto relativi all’estensione territoriale dell’uso, alla clientela ed alla specie di prodotti commercializzati, con introduzione, quindi, di un nuovo tema di indagine nel giudizio di appello. Tale nuova domanda avrebbe dovuto, per contro, essere proposta dalla odierna ricorrente in primo grado, a fronte dell’eccezione di preuso da parte dei convenuti, con le memorie previste, all’uopo, dall’art. 183 c.p.c., e non per la prima volta nel giudizio di appello.
3.3. La doglianza deve essere, pertanto, disattesa.
4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore dei controricorrenti, alle spese del presente giudizio, che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019
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