Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.10160 del 28/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19321/13 R.G. proposto da:

G.A., rappresentato e difeso da se medesimo, con domicilio eletto presso lo studio in Milano, via Capranica, n. 14;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 27/18/13 depositata in data 19 marzo 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio 2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate notificava avviso di accertamento con il quale contestava a G.A. di non avere dichiarato come reddito diverso, nel quadro L del Modello Unico 2004, le somme percepite a titolo di canoni da D.D.R.G., al quale aveva concesso in sublocazione una porzione dell’immobile ad uso professionale, detenuto dal contribuente in forza di contratto di locazione, con conseguente recupero a tassazione di maggior reddito ai fini IRPEF.

Avverso l’atto impositivo proponeva ricorso il contribuente, eccependo, in via preliminare, la decadenza dell’Amministrazione dal potere impositivo in ragione della tardività della notifica e, nel merito, sostenendo che il medesimo reddito era già stato oggetto di precedente accertamento (avviso *****), come reddito di fabbricato; rilevava, altresì, di non avere conseguito maggiori redditi in quanto gli importi percepiti dal sublocatario erano stati riversati al proprietario dell’immobile.

L’Agenzia delle entrate, costituendosi in giudizio, riconosceva che non era dovuta la maggior imposta richiesta con l’avviso ***** e, con successiva memoria, dichiarava di avere provveduto allo sgravio totale delle somme iscritte a ruolo in conseguenza di tale accertamento.

La Commissione provinciale adita rigettava il ricorso con sentenza che veniva impugnata dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale rigettava l’appello.

I giudici regionali rilevavano, in primo luogo, l’infondatezza dell’eccezione di decadenza dal potere impositivo, dato che la notifica dell’atto impositivo si era perfezionata al momento della consegna dell’atto all’ufficio postale per la spedizione, avvenuta in data 29 dicembre 2008, ossia in data antecedente alla scadenza del 31 dicembre 2008; disattendevano pure l’eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, dando atto che l’Ufficio aveva provveduto allo sgravio delle somme iscritte a ruolo in conseguenza del primo accertamento. Affermavano, infine, che il contribuente non aveva prodotto, a supporto della tesi secondo cui le somme in contestazione non costituivano reddito tassabile, copia del modello Unico 2004 dal quale poter verificare se tra i costi deducibili per la determinazione del reddito di lavoro autonomo era stato indicato l’intero canone, come sostenuto dal contribuente, oppure quello al netto della somma corrisposta a titolo di sublocazione e, pertanto, confermavano la sentenza impugnata.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione G.A., affidandosi a sei motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 e dell’art. 116, comma 2, c.p.c., sottolineando che il reddito derivante dal contratto di sublocazione era già noto all’epoca dell’emissione dell’avviso n. ***** e che gli elementi valutati come “nuovi” dall’Ufficio con l’atto impositivo impugnato in questa sede erano tutti previsti da detto contratto, con la conseguenza che l’Amministrazione aveva proceduto all’emissione di un secondo avviso di accertamento in assenza di elementi di novità, in violazione della disposizione normativa richiamata in rubrica.

2. Con il secondo motivo il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost., sottolineando che quanto affermato con il primo motivo in tema di novità dell’elemento sopravvenuto induce a ritenere che l’accertamento integrativo e la decisione impugnata non siano conformi ai principi dettati dalla disposizione normativa richiamata.

3. Le censure sono infondate.

Come questa Corte ha chiarito, la “sopravvenienza di nuovi elementi” richiesti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’emissione di accertamento integrativo non può essere interpretata in modo restrittivo quale sopravvenienza di “nuovi elementi reddituali”, poichè l’emersione di nuova materia imponibile legittima senz’altro l’adozione di un autonomo avviso di accertamento. Piuttosto, l’ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge giustifica l’emissione di un avviso di accertamento integrativo allorquando l’Ufficio, successivamente all’accertamento originario, sia venuto a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, di cui non era a conoscenza al momento dell’emissione dell’originario avviso. Ciò comporta che la preclusione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, impone il divieto di emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della semplice rivalutazione o del maggior approfondimento di dati probaori già noti all’Ufficio o in suo possesso al momento dell’avviso originario (Cass., sez. 5, n. 11421 del 3/6/2015; Cass., sez. 5, n. 576 del 15/1/2016; Cass., sez. 5, n. 26191 del 18/10/2018).

Nel caso in esame, come posto in rilievo dalla Commissione regionale, l’Ufficio ha dapprima emesso l’avviso di accertamento con il quale contestava al contribuente un maggior reddito di fabbricati, sul presupposto, errato, che egli fosse percettore di redditi di locazione non dichiarati e, solo successivamente, all’esito dell’esame della documentazione presentata in sede di richiesta di autotutela dallo stesso G. al fine di ottenere l’annullamento di detto accertamento, ha rilevato che le somme venivano dallo stesso percepite a titolo di canoni di sublocazione ed ha, conseguentemente, proceduto al recupero a tassazione come redditi diversi D.P.R. n. 917 del 1986 ex art. 67.

Poichè, dunque, l’Amministrazione finanziaria, solo in sede di autotutela, è venuta a conoscenza della esistenza del contratto di sublocazione concluso dal contribuente con D.D.R.G., tale circostanza integra sicuramente elemento nuovo sopravvenuto idoneo a giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento integrativo previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, ed esclude, pertanto, anche la presunta violazione dei principi dettati dall’art. 53 Cost.

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 19, assumendo che il comportamento tenuto dall’Amministrazione non è stato improntato ai principi di collaborazione e buona fede, avendo l’Ufficio rifiutato l’annullamento in sede di autotutela del primo avviso di accertamento, e, con il quarto motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, per avere l’Ufficio sottoposto ad imposizione fiscale lo stesso presunto reddito con due diversi avvisi di accertamento.

Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili, poichè vertono su questioni non prospettate dal contribuente con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed irritualmente introdotte soltanto con il ricorso per cassazione.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 4, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Precisa, al riguardo, che nell’atto di appello aveva dedotto di avere inserito in detrazione nel quadro RE del modello unico 2004 (spese relative agli immobili) unicamente la propria quota dell’importo totale del canone di locazione, escludendo quella versata dal sublocatario, facendo presente che l’Ufficio era in possesso di tale modello; l’Ufficio non aveva prodotto il modello unico 2004 in cui era posta la detrazione come spesa relativa all’immobile e la Commissione regionale, anzichè valutare, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., il comportamento tenuto dall’Amministrazione, aveva ritenuto non provata la deduzione difensiva svolta al fine di dimostrare l’assenza di reddito imponibile.

6. Con il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 27, lett. f), e della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 3, e art. 10, comma 1, ribadendo la tardività della notifica a mezzo posta dell’atto impositivo, intervenuta in data 3 gennaio 2009, e la conseguente decadenza dalla potestà impositiva. Assume che la Commissione regionale, respingendo l’eccezione, non ha recepito il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 19854 del 2004, secondo cui la tempestiva proposizione del ricorso avverso l’avviso di accertamento sana con effetto processuale ex tunc la nullità della notifica dell’avviso stesso, ma non determina il venir meno della decadenza – eventualmente verificatasi medio tempore – della Amministrazione dal potere sostanziale di accertamento. Alla luce di tale principio, ad avviso del ricorrente, la tempestività della notificazione dell’avviso di accertamento, che è atto amministrativo, costituisce requisito essenziale di legittimità dello stesso atto, per cui la notifica intervenuta dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 2008 non potrebbe far rivivere un potere sostanziale ormai venuto meno.

7. Il sesto motivo, che va esaminato preliminarmente perchè il suo eventuale accoglimento renderebbe superfluo l’esame del quinto motivo, è infondato.

La questione è stata affrontata e risolta da questa Corte con la sentenza n. 14580 del 6 giugno 2018, che ha enunciato il principio di diritto, secondo cui “In tema di notifica a mezzo posta di atti tributari recettizi (nella specie avviso di accertamento), il principio di scissione soggettiva, come interpretato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002, trova applicazione nella ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si avvalga per la notifica dell’operato di terzi (ufficiale giudiziario o servizio postale) che compiono attività che esulano dalla disponibilità del notificante, poichè nella diversa ipotesi di notifica di atti eseguita direttamente al contribuente (ad es. a mezzo dei messi dell’ufficiale finanziario), eventuali ritardi o omissioni rientrano nella diretta responsabilità dell’Ufficio stesso”.

Premesso che per la notifica degli atti tributari sono applicabili le disposizioni generali di cui agli artt. 137 c.p.c. e ss., fatti salvi gli adattamenti resi necessari dalla peculiarità della materia tributaria, previsti dalle singole leggi di imposta, la pronuncia ha esaminato gli effetti che la sentenza n. 477 del 2002 della Corte Costituzionale – che ha previsto la possibilità di una scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio a mezzo posta – ha spiegato con particolare riguardo alla notificazione degli atti tributari, che hanno natura sostanziale e non processuale (Cass. n. 17044 del 10/7/2013; Cass. n. 12781 del 21/6/2016).

Ha, in particolare, osservato che, in ragione dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, in tema di notificazione di atti impositivi a mezzo posta, “è chiaramente lesivo del diritto di difesa del notificante che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo del compimento di un’attività riferibile “non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi (l’ufficiale giudiziario e l’agente postale)” che resta del tutto estranea alla disponibilità del primo”, risultando evidente che, se l’atto si deve compiere (come nel caso di notifica dell’avviso di accertamento) entro un certo termine decadenziale, il decorso di tale termine pregiudica direttamente il titolare e solo indirettamente la controparte, che è comunque tutelata poichè la legittima formazione del procedimento notificatorio presuppone che la notificazione si perfezioni anche nei confronti del destinatario, non essendo sufficiente l’intervenuto perfezionamento per il notificante.

Di conseguenza, “se l’atto richiesto per l’esercizio del potere è un atto recettizio, la ricezione non rileva, in via generale, ai fini dell’impedimento della decadenza, poichè l’atto è da considerare già esistente e impeditivo della decadenza, mentre la condizione di efficacia della ricezione è del tutto estrinseca alla decadenza per la quale la fissazione del termine concerne unicamente il compimento dell’atto e non certo l’efficacia della dichiarazione, e tanto anche nel rispetto del principio della buona fede”; in altri termini, se dovesse aversi riguardo alla data della ricezione, la posizione dell’onerato risulterebbe sicuramente aggravata, poichè questi dovrebbe sopportare i rischi dei ritardi a lui non direttamente imputabili.

Questa Corte, pertanto, richiamando anche la sentenza n. 12332 del 17 maggio 2017, con la quale le Sezioni Unite hanno ritenuto applicabile il principio della scissione soggettiva della notificazione anche agli atti amministrativi sanzionatori, ha affermato che “La natura recettizia o meno dell’atto da partecipare…non è determinante al fine di escludere la separata considerazione degli effetti della fattispecie partecipativa del contenuto dell’atto”, considerato che “…l’inizio della fattispecie notificatoria fa emergere la permanenza dell’interesse alla realizzazione dell’effetto che con essa si vuole perseguire, impedendo in tal modo eventuali decadenze in cui l’agente notificatore potrebbe incorrere, non rispettando il termine normativamente imposto per l’esercizio del diritto”, e ha dunque concluso che tale principio operi anche per l’Amministrazione finanziaria qualora essa si sia avvalsa, per la notifica, dell’operato di terzi.

Risultando, dunque, accertato dalla Commissione regionale che nel caso in esame la notifica dell’avviso di accertamento è stata eseguita a mezzo del servizio postale e che l’Amministrazione finanziaria ha provveduto alla consegna dell’atto per la spedizione in data 29 dicembre 2008, va esclusa la eccepita decadenza dal potere impositivo.

8. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di interesse.

E’ ben vero che questa Corte ha affermato il principio, secondo cui la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 4 – in forza del quale al contribuente non possono essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, dovendo tali documenti ed informazioni essere acquisiti ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 18, commi 2 e 3 – costituisce espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario e presuppone che la documentazione sia già sicuramente in possesso dell’amministrazione finanziaria, o che, comunque, il contribuente dichiari e provi l’avvenuta trasmissione del documento all’amministrazione medesima (Cass. n. 21956 del 2010; Cass. n. 21209 del 2004; Cass. n. 22775 del 2009; Cass. n. 958 del 21/1/2015; Cass. n. 13822 del 31/5/2018).

Va, tuttavia, rilevato che nel caso di specie la produzione del modello Unico 2004 risulta irrilevante ai fini del decidere. Infatti, il contribuente non poteva detrarre dal reddito da lavoro autonomo l’intero canone di locazione poichè parte dell’immobile non era destinato alla sua attività professionale, ma era stato concesso in sublocazione; conseguentemente, la eventuale indicazione, a titolo di detrazione, nel quadro RE della sola quota delle spese di locazione di competenza del contribuente e non anche di quella gravante sul sublocatario costituisce circostanza ininfluente, essendo pacifico che nel Modello Unico inviato non fosse stato compilato il quadro “L” concernente i proventi derivanti dalla sublocazione di beni immobili.

9. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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