LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 32033/2018 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico 38 presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2721/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 27/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/11/2019 da Dott. RITA RUSSO.
RILEVATO
CHE:
1.- M.A. chiede la protezione internazionale raccontando di essere fuggito dal ***** perchè impossibilitato a restituire un prestito e di essere stato picchiato da persone che lavoravano con lui. La Commissione territoriale nega la protezione e il Tribunale rigetta il ricorso avverso la suddetta decisione. Il richiedente asilo propone appello e la Corte d’appello di Perugia, con sentenza del 27 giugno 2018, rigetta l’appello ritenendo che la vicenda debba essere inquadrata nell’ambito dei rapporti familiari e della giustizia ordinaria, ed escludendo il rischio di danno grave derivante da violenza indiscriminata in situazione di conflitto.
2.- Propone ricorso per cassazione M.A., affidandosi a quattro motivi. Non si costituisce il Ministero.
RITENUTO
CHE:
3.- Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e cioè la condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti in *****. Lamenta il ricorrente che la Corte omette di valutare fonti informative sulla situazione del paese.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso o erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e in particolare si lamenta che la Corte non ha considerato che la fuga è dovuta alla persecuzione privata nella consapevolezza della impossibilità protezione dallo Stato, perchè il creditore era una persona molto influente.
I motivi sono da esaminare congiuntamente atteso che in entrambi i casi si lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e sono inammissibili.
La domanda del ricorrente è stata già respinta in primo grado e quindi si verte in un ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5. Di conseguenza, come da giurisprudenza costante di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 10897/2018 Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014). Il ricorrente non ha riportato le ragioni poste a base della decisione di primo grado e di conseguenza i motivi sono inammissibili.
4.- Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, l’omesso esame di fonti normative nonchè l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost. Il ricorrente illustra la situazione del ***** quale descritta dal rapporto di Amnesty International 2017, e deduce che alla luce di queste informazioni non è necessario il riscontro individualizzante sul rischio, dovendosi riconoscere almeno la protezione sussidiaria.
Il motivo è inammissibile per la genericità della censura.
Il rischio di danno grave da violenza indiscriminata (art. art. 14, lett. c cit.) rileva ai fini della protezione sussidiaria in quanto vi sia un conflitto armato (CGUE, 30 gennaio 2014 Diakitè, C-285/12) e si può prescindere dal riscontro individualizzante solo nei termini rigorosi decritti dalla CGUE nella sentenza Elgafaji (17 febbraio 2009, C-465/07). Il ricorrente espone invece genericamente condizioni di instabilità politica, di repressione del dissenso, di attacchi terroristici mirati contro attivisti laici, minoranze religiose e esponenti *****, di ingiusta detenzione e trattamenti carcerari inumani. Si tratta di criticità rilevanti ma ben diverse dalla nozione di conflitto armato nei termini richiamati dalla sentenza Diakitè; queste condizioni non generano un livello di violenza tale da comportare un rischio di danno grave per la sola presenza del soggetto nel paese, trattandosi di situazioni di rischio che riguardano gruppi di soggetti determinati. Il ricorrente muove quindi censure generiche e non pertinenti e le stesse COI citate, e delle quali secondo la sua prospettazione – la Corte di merito non avrebbe tenuto conto, sono prive del necessario requisito della pertinenza, cioè non sono mirate a gettare luce sui fatti già dedotti dal ricorrente (Cass. n. 11302/2019 Cass. 29056/2019; v. anche Cass. 16411/2019).
5.- Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per la mancata concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..
Il motivo è inammissibile.
La parte lamenta in termini generici che non sia stata esaminata la sua condizione di vulnerabilità sotto il profilo della tutela del diritto alla salute e alla alimentazione, omettendo di valutare le condizioni economico sociali del paese di origine, comparandole con quelle proprie del nostro paese. Secondo il ricorrente la prova dell’inadeguatezza delle condizioni di vita del paese di origine sarebbe in re ipsa, altrimenti il soggetto non avrebbe affrontato un viaggio così lungo e rischioso.
La Corte di merito ha rigettato la richiesta, osservando che tale misura non può accordarsi solo in considerazione della nazionalità del soggetto, in carenza di particolari situazioni soggettive qualificabili come esigenze umanitarie. Si tratta di una corretta applicazione del principio enunciato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che impone una valutazione individuale della condizione del richiedente, da valutare nel contesto delle condizioni di vita del paese di origine e di quelle conseguite in Italia (Cass. n. 13079/2019). Il giudice d’appello ha escluso la ricorrenza di condizioni soggettive di vulnerabilità apprezzabili ai fini della protezione umanitaria, nè dette condizioni sono state enunciate in ricorso, ove si fa riferimento al diritto alla salute ma non si deduce che il richiedente abbia una patologia (in ipotesi non adeguatamente curabile nel paese di origine) e alle condizioni di povertà del *****, ma non si illustra la loro incidenza sulla condizione personale del richiedente. La comparazione tra le condizione di benessere del nostro paese e quelle di povertà o mancanza di assistenza in altro paese non può farsi in astratto, ma deve essere sempre rapportata alla specifica situazione del richiedente verificando la effettiva incidenza delle carenze sistemiche rilevate sulla situazione individuale (si veda ad es. anche CGUE sent. del 19.3.2019, nelle cause C-163/17 e C-297/17) La direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, e il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 impongono l’esame della domanda su base individuale ed è onere del richiedente asilo allegare e circostanziare tutti i fatti rilevanti che lo riguardano e di rendere un racconto per quanto possibile completo e specifico, poichè il dovere di cooperazione del giudice non si estende alla ricerca dei fatti storici, intesi come vicende personali che hanno interessato il richiedente asilo (v. Cass. n. 29056/2019; n. 18229/2019; Cass. n. 28862/2018, Cass. n. 16925/2018).
Non si può quindi prescindere, anche nella richiesta di protezione umanitaria, dall’enunciazione in concreto di una condizione personale di vulnerabilità o di una delle condizioni che comportano il divieto di respingimento D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19 di cui non può essere prova solo la decisione di affrontare un lungo viaggio, che è determinata da valutazioni del tutto soggettive, più o meno razionali, che se non esplicitate non consentono il controllo sul rischio paventato, e persino, in ipotesi, da ragioni che non configurano emergenze umanitarie. Il giudizio di fatto reso dal giudice di merito, sull’insussistenza di una condizione soggettiva di vulnerabilità non è soggetto a rivalutazione, salvo che non sia stato reso in violazione delle regole procedimentali di esame della domanda, e di fatto non è neppure censurato, perchè la parte sposta l’attenzione sulle condizioni generali del suo paese d’origine, senza dare rilievo specifico alle proprie.
Il ricorso è quindi da dichiarare inammissibile.
Nulla sulle spese in difetto di costituzione del Ministero.
Il richiedente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato e pertanto non è tenuto è tenuto al versamento del contributo unificato, stante la prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 11 e 131 e, di conseguenza, neppure dell’ulteriore importo di cui all’art. 13, comma 1- quater decreto citato (cfr. Cass. 7368/2017; Cass. n. 32319/2018), se ed in quanto l’ammissione non risulti revocata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.
Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater se ed in quanto l’ammissione non risulti revocata.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020