Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.10244 del 29/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1603/2013 R.G. proposto da HORUS DI S.M. & C. SNC, in liquidazione, in persona dei liquidatori S.M.C. e S.L., rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Molinelli, elettivamente domiciliata in Roma, via Palestro, n. 56, presso lo studio dell’avv. Alessandro Fatica.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, sezione n. 7, n. 38/07/12, pronunciata il 14/03/2012, depositata il 28/03/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 febbraio 2020 dal Consigliere Riccardo Guida;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per l’accoglimento;

udito l’avv. Alessandro Fatica, per delega orale dell’avv. Andrea Molinelli;

udito l’avv. Giulio Bacosi per l’Avvocatura generale dello Stato.

FATTI DI CAUSA

Horus di S.M. & C. Snc, in liquidazione, impugnò, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ancona, l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRAP, IVA, per l’annualità 2001, maggiori redditi non dichiarati, ricostruiti dall’ufficio con metodo induttivo.

Il giudice di primo grado (con sentenza n. 233/01/2007), in parziale accoglimento del ricorso, rettificò i maggiori ricavi non dichiarati determinandone l’ammontare in base all’elenco dei valori e degli sconti indicati dalla società nella comunicazione al Comune di ***** per la vendita straordinaria della merce in giacenza, conseguente alla cessione dell’azienda (laboratorio artigiano di pietre preziose e di commercio al dettaglio di articoli di gioielleria).

Tale decisione è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale, la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, nel contraddittorio della contribuente, ha accolto l’appello dell’ufficio, rilevando che: diversamente da quanto affermato dal primo giudice, l’inventario delle rimanenze finali redatto dalla società e vistato dalla Polizia municipale non dimostrava l’effettività della vendita straordinaria della merce a prezzi scontati, ed era privo di rilevanza, sul piano fiscale, in presenza degli elementi di segno opposto su cui poggiava l’atto impositivo, rappresentati dall’omessa dichiarazione dei redditi per l’anno 2001, dall’indicazione, nella situazione patrimoniale al 6/04/2001, della giacenza delle merci – non rinvenute dai verbalizzanti in occasione dell’accesso presso i locali della società – per un importo (Euro 132.729,53), pari alle rimanenze finali al 31/12/2000; dall’assenza di documentazione comprovante la vendita delle dette rimanenze e, ancora, dall’assenza di spiegazioni, da parte della contribuente, circa la destinazione della merce, in uno con l’ammissione, da parte dei soci, che non si era proceduto alla liquidazione a causa dei dissidi interni all’ente collettivo.

La società ricorre con due motivi; l’Agenzia resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso (“1. Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere fatto alcun cenno alla circostanza, riconosciuta dal giudice di primo grado, secondo cui l’ufficio aveva applicato due volte l’IVA sulla merce venduta ed aveva applicato un’indebita percentuale di ricarico.

1.1. Il motivo è infondato.

Non è ravvisabile una carenza nel percorso argomentativo della sentenza impugnata che, in sostanza, disattendendo la tesi difensiva della società, secondo cui vi sarebbe stata una vendita straordinaria delle giacenze (il che, preme evidenziarlo, fa venire meno anche il fondamento della censura per la quale l’ufficio avrebbe computato due volte l’IVA), ha riconosciuto la legittimità sia della ricostruzione induttiva dei ricavi derivanti dalla vendita delle giacenze di magazzino compiuta dall’ufficio, sia della percentuale di ricarico applicata, desunta dai ricavi medi (81,42%), dell’ultimo quadriennio, ai quali la sentenza fa esplicito riferimento nella parte narrativa.

2. Con il secondo motivo (“Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e contraddittoria motivazione su tale punto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere dato maggiore credito alle presunzioni dell’Agenzia rispetto all’inventario della merce attestato dalla Polizia municipale di *****, dotato di fede privilegiata.

Sotto altro profilo, si fa valere l’errore di diritto della sentenza impugnata che ha avallato la percentuale di ricarico (81,42%) determinata dall’ufficio, sulla base della media delle percentuali di ricarico degli anni precedenti, senza tenere conto che: la società, nel 2001, era stata posta in liquidazione; durante l’epilogo della vita dell’impresa, i beni sono posti in vendita a prezzi di realizzo e non a prezzi di mercato, e, quindi, con percentuali di ricarico notevolmente inferiori.

2.1. Il motivo, nella sua complessa articolazione, è infondato.

La ricorrente non ha focalizzato con precisione la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, diversamente da quanto prospetta la società, ha affermato che l’inventario delle giacenze consegnato alla Polizia municipale era inconferente rispetto al tema del decidere, consistente nella ricostruzione induttiva, in assenza di dichiarazione dei redditi, dei ricavi derivanti dalla cessione della merce, quale attività priva della documentazione di riscontro.

Da altro punto di vista, si rileva che, sotto l’egida del vizio di motivazione e dell’errore di diritto, si mira, in modo non consentito, a prospettare a questa Corte – alla quale è demandato esclusivamente il controllo di legalità della decisione – una versione della vicenda fiscale diversa da quella fatta propria dal giudice d’appello.

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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