LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20877/2018 R.G. proposto da:
C.M., E IREN ACQUA TIGULLIO S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentate e difesi dall’avv. Alessandro Morini e dall’avv. Alessandra Micali, con domicilio eletto in Roma, alla Via Ugo Balzani n. 6;
– ricorrenti –
contro
CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA, in persona del Sindaco metropolitano p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Valentina Manzone e dall’avv. Gabriele Pafundi, con domicilio eletto in Roma, Viale Giulio cesare n. 14.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 546/2017, depositata in data 27.4.2017.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 10.12.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 238/2013, il Tribunale di Chiavari ha respinto l’opposizione proposta da C.M. e dall’Idrotigullio s.p.a. (ora Iren Acqua Tigullio s.p.a.), avverso le ordinanze ingiunzioni nn. 52/A e 53/A, emesse in data 13.9.2012, con cui la Provincia di Genova ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 3777,00, contestando l’inosservanza delle prescrizioni di cui al punto 2, lettera c) del P.D. 1351/2005 che, con riferimento agli impianti di *****, siti nel Comune di Cicagna, imponeva ai ricorrenti la presentazione di un progetto di adeguamento degli impianti stessi, entro un anno dal rilascio dell’autorizzazione allo scarico.
La sentenza è stata confermata in appello.
Il Giudice distrettuale ha dichiarato inammissibile il motivo di appello concernente la nullità della notifica delle ordinanze, rilevando che l’impugnazione non confutava le argomentazioni del Tribunale secondo cui detta notifica aveva raggiunto lo scopo, avendo i destinatari potuto estrinsecare in toto le proprie difese.
Riguardo alla eccepita carenza di legittimazione passiva, ha ritenuto che la Idro Tigullio s.p.a. dovesse rispondere della violazione, benchè la società fosse controllata da Iren Acqua e Gas s.p.a. ed agisse nella veste di mero gestore operativo vincolato alle direttive del Gestore d’ambito, osservando che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, sanziona l’autore materiale della condotta vietata, non essendosi in presenza di un illecito proprio.
Quanto al fatto che la Provincia avesse prescritto la redazione del progetto di adeguamento, non contemplato nel piano d’ambito, la Corte di merito ha evidenziato che, ai sensi della L.R. n. 43 del 1995, competeva alla Provincia il rilascio delle autorizzazioni e che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 45, le attribuiva il potere di impartire prescrizioni volte a garantire che gli scarichi fossero effettuati in conformità alle previsioni, per cui del tutto legittimamente l’ente, rilevato che l’impianto era sottodimensionato in relazione al numero di utenti, aveva richiesto la progettazione degli interventi di adeguamento, affermando inoltre che tale scelta non poteva sindacarsi per violazione del principio di ragionevolezza, essendo espressione di un potere discrezionale, non potendo l’atto essere disapplicato per ragioni di merito.
La cassazione della sentenza è chiesta da C.M. e dalla Iren Acqua s.p.a. con ricorso in cinque motivi, illustrati con memoria. La Città Metropolita di Genova, subentrata alla Provincia di Genova, ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Dopo aver premesso che l’incompetenza della Provincia ad accertare la violazione è profilo deducibile in ogni grado di giudizio, configurandosi un difetto assoluto di attribuzione degli organi accertatori e la nullità radicale – rilevabile d’ufficio – dell’ordinanza ingiunzione, i ricorrenti evidenziano che il D.Lgs. n. 152 del 1995, art. 56, nel punto in cui faceva salva la possibilità che, con espressa disposizione di legge regionale, la competenza all’irrogazione delle sanzioni in materia di acque fosse conferita ad autorità diverse dalle Regioni e delle Province autonome, non è stato riprodotto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, essendo venuta meno la possibilità di delegare tali funzioni alle Province.
Tale preclusione troverebbe conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che:
a) con decisione n. 133/2012, in tema di conferimento agli enti locali delle funzioni in materia di ambiente, tutela del suolo ed energia, ha ritenuto l’illegittimità di qualsivoglia legge regionale che disciplini la materia, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato;
b) con sentenza n. 234/2010, ha ritenuto che la disciplina statale contempli un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni;
c) con sentenza n. 187/2011, ha ritenuto che lo Stato abbia competenza normativa esclusiva in materia di adeguamento degli scarichi di acque reflue non ancora a norma.
A parere dei ricorrenti occorreva inoltre considerare che la L.R. Liguria n. 43 del 1995, art. 135, era stata adottata, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, in attuazione della Legge Delega n. 36 del 1934, successivamente abrogata dal testo unico, per cui la norma interpretativa di cui alla L.R. n. 41 del 2014, non poteva comportare la reviviscenza della disposizione abrogata. Infine, la potestà sanzionatoria attribuita della Provincia non poteva legittimarsi in virtù della stretta connessione con il conferimento, sempre in favore della Provincia, del potere di rilascio delle autorizzazioni allo scarico, non essendo delegabili le funzioni amministrative primarie in tema di acque.
Il motivo è inammissibile ed è comunque infondato anche nel merito. Deve premettersi che il vizio di incompetenza assoluta, che è causa di nullità del provvedimento, rilevabile d’ufficio dal giudice, “ricorre soltanto se l’atto emesso concerne una materia del tutto estranea alla sfera degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo emittente appartiene” (Cass. 28108/2018; Cass. 12555/2012), ossia se “il provvedimento adottato da un certo organo riguardi una materia del tutto estranea all’ambito degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo stesso appartiene”, mentre si ha incompetenza relativa nel rapporto tra organi od enti nelle cui attribuzioni rientri, sia pure a fini ed in casi diversi, una determinata materia (Cass. 4924/1992; Cass. 8987/1990; Cass. 6308/1990). Posto invece che, nel caso di specie, l’autorità che ha emesso il provvedimento (la Provincia di Genova) non solo era l’ente deputato al rilascio delle autorizzazioni in materia di scarichi idrici ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, ma, per ciò che concerne la Regione Liguria, era preposto anche alla tutela delle acque (cfr., L.R. n. 43 del 1995, art. 3), sarebbe stato in concreto configurabile al più un vizio di incompetenza relativa che, non determinando la nullità assoluta delle ordinanze, non era rilevabile d’ufficio ma doveva esser dedotto con l’atto di opposizione (Cass. 23383/2018; Cass. 28108/2018; Cass. 27909/2018).
1.1. Fermo tale preliminare rilievo, per mera completezza di trattazione si osserva nel merito quanto segue.
Il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, comma 1, nella sua formulazione originaria, disponeva testualmente, che “fatte salve le altre disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689, in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 54, commi 8 e 9, per le quali è competente il comune, salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.
La norma è stata successivamente modificata dalla L. n. 258 del 2000, art. 22, facendo salve, quanto all’attribuzione della potestà sanzionatoria, anche “le diverse disposizioni delle regioni o delle province autonome”.
Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, sopprimendo tale inciso, ha adottato una formulazione sostanzialmente analoga al testo originario del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, prevedendo che “in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 18 e segg., la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.
Occorre dunque ricordare che, con riferimento al testo originario del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56 (anteriore alle modifiche di cui alla L. 258/2000), questa Corte ha già stabilito che la norma non ha comportato l’abrogazione delle precedenti previsioni della legge regionale prevedenti l’attribuzione – in capo alle Province – delle funzioni di accertamento e di applicazione delle sanzioni in tema di scarichi.
L’art. 56, non esprime – difatti – un “principio fondamentale” della legislazione dello Stato, tale da spiegare, in caso di sopravvenuta adozione di leggi statali modificative di detti principi fondamentali, l’efficacia abrogativa delle leggi regionali preesistenti incompatibili prevista dalla L. n. 62 del 1953, art. 10, non essendo diretto a realizzare in tale ambito – un interesse “unitario” cui dare piena attuazione su tutto il territorio nazionale, con effetti di vincolo assoluto e generalizzato all’esplicazione della potestà legislativa delle Regioni (Cass. 24 febbraio 2004, n. 3620), o tale da impedire che, nelle singole legislazioni regionali, possano intervenire “altre pubbliche autorità”, di competenza territoriale più circoscritta, diverse da quelle previste e regolate nell’ordinamento generale (Cass. 3176/2004; Cass. 8511/2005).
A tali principi deve darsi continuità anche nel vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, non potendo ritenersi – alla luce del tenore testuale della disposizione e della ravvisata continuità di disciplina rispetto alla formula originaria del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56 – che la soppressione del riferimento alle diverse disposizioni della legge regionale (o delle province autonome) abbia introdotto un più penetrante vincolo al legislatore regionale, sì da impedire la delega delle potestà sanzionatorie in materia di scarichi.
La norma ha – anzi – espressamente preservato “le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”, rendendo del tutto legittima una diversa regolazione mediante legge regionale, in mancanza di una riserva in favore di quella statuale.
1.2. Deve inoltre porsi in rilievo che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, comma 11, ha espressamente fatto salvi gli effetti degli atti e dei provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175 (tra cui il D.Lgs. n. 152 del 1999), fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del suddetto decreto, conseguendone che nessuna illegittimità potrebbe comunque ravvisarsi nei provvedimenti adottati dalla Provincia di Genova in base alla disciplina regionale anteriore all’adozione, da parte della Regione Liguria, della L. n. 41 del 2014, tanto più quest’ultima ha riconfermato, con riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, il disposto del L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), che già attribuiva alle Province il potere di accertamento e di irrogazione delle sanzioni.
1.3. Nessun divieto di delega mediante legge regionale può farsi discendere dal disposto dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s).
Il testo novellato dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s) – che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva sulla ” tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali ” – configura una competenza sovente connessa ed intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti.
La tutela dell’ambiente – inteso come valore costituzionalmente protetto – delinea, infatti, una di competenza trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, che devono esplicarsi nel rispetto degli standard di tutela uniformi stabiliti sull’intero territorio nazionale da parte dello Stato.
Il limite dell’intervento legislativo regionale in materia è – quindi costituito dal rispetto dei principi regolatori stabiliti dal legislatore statale in tema di soglie minime di tutela dell’ambiente (cfr. Corte Cost. 246/2006; Corte Cost. 378/2007; Corte Cost. 244/2012).
Come chiarito dalla Corte costituzionale, non sussiste – dunque – la violazione dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), nè dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2 – allorquando la Regione deleghi alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto detta delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto dall’art. 118 Cost. e dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 3, secondo il quale ciascuna regione determina, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali (Corte Cost. 380/2007).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 e art. 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendo che i verbali di accertamento per le violazioni riscontrate presso l’impianto di ***** erano stati notificati non già al C., ma all’ing. B. quale referente per la gestione solo del primo di tali impianti, benchè questi non fosse il referente di nessuno di essi e non fosse legittimato a ricevere la notifica in luogo dei ricorrenti.
Si assume che l’amministrazione avrebbe dovuto procedere alla contestazione immediata o comunque indicare le ragioni per le quali la contestazione era stata differita. Inoltre la censura, sollevata, in proposito, in appello non poteva dichiararsi inammissibile per carenza di argomentazioni specificamente volte a confutare la decisione di primo grado, poichè il tribunale non aveva affatto ritenuto nulla la notifica, avendo anzi dichiarato che i verbali erano stati inviati ad un referente della Idrotigullio.
Il motivo è infondato.
La censura non supera il rilievo di inammissibilità della doglianza ritenuto dalla Corte di merito, atteso che nessuna deduzione era volta inficiare in appello il principio richiamato dal tribunale (come si rileva dalla motivazione trascritta in ricorso, pag. 21), che, sul presupposto che i verbali erano stati consegnati ad un referente della Idrotigullio, ha sostenuto che ogni vizio era sanato dal raggiungimento dello scopo, rilevando che gli incolpati erano giunti a conoscenza delle contestazioni e avevano potuto esercitare pienamente i diritti di difesa senza incorrere in alcun pregiudizio.
Era quindi necessario che in ogni caso, i motivi di gravame enunciassero le ragioni di dissenso e si contrapponessero – sul piano argomentativo – al ragionamento decisorio del tribunale, non potendo supplire la generica contestazione della qualità rivestita dal B..
Per altro verso, occorre ribadire che – salvo che in materia di sanzioni stradali – la mancata contestazione immediata della violazione (che, nello specifico, appare – peraltro – deduzione nuova, non trattata nella sentenza d’appello e di cui il ricorso non indica dove e quando sia stata proposta), non costituisce causa di estinzione dell’obbligazione di pagamento della sanzione e non invalida la pretesa punitiva dell’autorità amministrativa, quando si sia comunque proceduto, nel termine prescritto, alla notificazione del verbale di accertamento della violazione (Cass. 27508/2009; Cass. 19664/2005).
2. Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 e art. 133, comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte di merito abbia erroneamente respinto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, trascurando che la ricorrente, quale società controllata dalla Iren acqua gas s.p.a., non aveva autonomia decisionale circa la gestione degli impianti;
a seguito della riorganizzazione del servizio idrico integrato, la programmazione degli investimenti era stata affidata all’Autorità di ambito, tenuta ad elaborare il relativo piano e i programmi di intervento;
la Conferenza dei sindaci del territorio, con Delib. n. 4 del 2003 e Delib. n. 5 del 2003, aveva salvaguardato le gestioni facenti capo alla AMGA (oggi Iren gas e acqua spa) e che, con successive Delib. n. 8 del 2003 e Delib. n. 16 del 2003, era stata riservata a detta società la gestione transitoria del servizio relativamente all’ambito territoriale ottimale ed il coordinamento delle gestioni salvaguardate;
che, per individuare le singole competenze dei gestori, occorreva tener conto della Convenzione del 16.4.2004 e della successiva convenzione aggiuntiva del 5.10.2009, il cui art. 3, comma 2, aveva prorogato l’art. 4, comma 1, della convenzione del 16.4.2004, che aveva conferito al gestore operativo la responsabilità per il buon funzionamento dei servizi e all’AMGA i compiti di manutenzione degli impianti e delle reti e la progettazione e realizzazione degli interventi di miglioramento del servizio sulla base delle decisioni assunte dall’Autorità d’ambito, secondo le priorità stabilite dal programma di interventi;
che l’assenza di autonomia decisionale e la circostanza che la ricorrente non fosse a conoscenza delle condizioni di funzionalità degli impianti – come riconosciuto con il provvedimento della Conferenza dei Sindaci del 13.6.2003 – impedivano di configurare a sua carico una responsabilità – anche solo concorrente – per le violazioni contestate, mancando l’elemento soggettivo della colpa;
che non era lecito disattendere i contenuti della convenzione nè trascurare che l’obbligo di richiedere l’autorizzazione allo scarico competeva al gestore d’ambito, ai sensi del D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 124, comma 2;
che, in ogni caso, non era stata contestata una responsabilità concorrente ai singoli enti interessati, il che rendeva illegittimo il provvedimento impugnato.
Il motivo è infondato.
Come evidenziato dalla sentenza gravata, è decisivo rilevare che l’ipotesi regolata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, è perfettamente assimilabile alla previgente disposizione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 2, che già puniva “chiunque avesse effettuato scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie… senza l’autorizzazione”.
Entrambe le previsioni non configurano illeciti propri, la cui consumazione presupponga una particolare qualità del soggetto attivo e quindi il responsabile della violazione non si identifica solo con il titolare dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto (che apra nuove vie di scarico), restando assoggettato alla sanzione qualsiasi soggetto che gestisca o comunque detenga di fatto la condotta di scarico non autorizzata (Cass. n. 3176/2006).
Ciò rendeva irrilevante il contenuto delle convenzioni richiamate in ricorso, posto che il riparto di competenze fissato in seno alla Conferenza dei Sindaci e poi trasfuso nelle predette convenzioni non consentiva di escludere la responsabilità del gestore operativo per l’effettuazione degli scarichi non autorizzati ed effettuati senza l’ottemperanza alle prescrizioni impartite dalla Provincia.
3. Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 45, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza escluso, con motivazione illogica e assolutamente carente, l’illegittimità della autorizzazione nella parte in cui prescriveva la redazione del progetto di adeguamento degli impianti, trascurando che nessun intervento era stato programmato nel piano d’ambito fino al 31.12.2008 e che – quindi – la Provincia non aveva alcuna competenza a richiedere, quale condizione dell’autorizzazione allo scarico, l’elaborazione del progetto.
Si assume inoltre che la Idrotigullio si era adoperata per il miglioramento ed il potenziamento del servizio, ma che ciò nonostante la Provincia aveva illegittimamente accollato a questi ultimi la responsabilità per lo scarico.
Il quinto motivo denuncia – letteralmente – la violazione dei principi sottesi al D.Lgs. n. 152 del 1999, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che l’autorizzazione, nell’imporre la mera progettazione degli interventi di adeguamento degli impianti (in luogo della loro concreta realizzazione), violava il principio di ragionevolezza, imponendo prescrizioni inidonee a garantire il buon funzionamento del servizio, che invece i ricorrenti avevano costantemente assicurato, effettuando la pulitura delle vasche con cadenza trimestrale, anzichè due volte all’anno, come previsto dall’autorizzazione.
Si deduce inoltre che il progetto di adeguamento era stato predisposto, il che escludeva la responsabilità dei ricorrenti per l’effettuazione dello scarico.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La sentenza ha correttamente respinto l’eccezione di illegittimità dell’autorizzazione per difetto di presupposto (a causa dell’assenza – nel piano d’ambito – della previsione di interventi di adeguamento degli impianti), rilevando che rientrava nella competenza della Provincia sia il rilascio dell’autorizzazione, che l’imposizione di prescrizioni atte a rimuovere la situazione di sottodimensionamento degli impianti e che, nello specifico, era stata imposta la sola progettazione degli interventi, non anche la loro realizzazione (rientrante nella competenza di altre autorità), in funzione sollecitatoria e preparatoria delle eventuali successive misure dirette ad ovviare – con il concorso degli altri enti preposti, nell’ambito delle rispettive attribuzioni – alle carenze strutturali e funzionali rilevate. Il contenuto della prescrizione imposta dalla Provincia, proprio in quanto circoscritto alla sola progettazione, non eccedeva dall’ambito delle competenze conferite dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 45, nè palesava profili di irragionevolezza suscettibili di condurre alla disapplicazione delle prescrizioni dell’autorizzazione, rientrando nelle valutazioni discrezionali dell’amministrazione la scelta delle disposizioni più opportune da impartire ai gestori.
Nel giudizio di opposizione avverso ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria amministrativa, il giudice può – difatti sindacare e disapplicare il provvedimento presupposto, integrativo della norma la cui violazione è stata posta a fondamento della sanzione, ma tale sindacato, anche sotto il profilo dell’eccesso di potere, deve restare circoscritto alla legittimità e, pertanto, può implicare un controllo sulla rispondenza delle finalità perseguite dall’amministrazione con quelle indicate dalla legge ma non, come nel caso in esame, un controllo attinente al merito riguardante l’idoneità delle scelte dell’amministrazione a realizzare gli scopi perseguiti (Cass. 22894/2007; Cass. 23978/2007; Cass. 1742/2013).
La circostanza che la ricorrente non abbia predisposto la progettazione e non abbia fatto il possibile per ottemperare alle prescrizioni ricevute, investe – per contro – questioni di fatto, il cui apprezzamento è riservato al giudice di merito ed è censurabile solo per vizi di motivazione.
Il ricorso è quindi respinto con aggravio di spese secondo soccombenza.
Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2300,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.
Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020