Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.10494 del 03/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Giuseppe Umberto L.C. – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29501/2018 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliato in Campobasso, in via Mazzini 112, presso l’avvocato Ennio Cerio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il 30/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/10/2019 da Dott. LIBERATI GIOVANNI.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Campobasso ha respinto la domanda del ricorrente, D.B., nato in *****, di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Salerno, Sezione di Campobasso.

Il Tribunale ha ritenuto poco credibile il suo racconto, di aver dovuto abbandonare il proprio paese a causa del timore di essere avvelenato o ucciso per questioni legate alla eredità paterna, per la genericità dei fatti riferiti, comunque relativi a vicende personali e inidonei a consentire di ravvisare un pericolo di persecuzione in caso di ritorno in patria. Ha quindi escluso il riconoscimento dello status di rifugiato.

Ha poi escluso anche la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, essendo cessati sia la guerra intestina, sia gli atti di violenza civile e di rappresaglia armata verificatisi in ***** dopo le elezioni presidenziali del 2010, in quanto le successive elezioni del 2015 si erano svolte senza gravi e significativi episodi di violenza, come risultante dal rapporto Amnesty International 2014 – 2015, sottolineando che la fragilità politica della ***** emergente dal rapporto 2017 – 2018 di Amnesty International non integra la condizione di conflitto armato o internazionale.

E’ stata, infine, esclusa anche la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo stata prospettata alcuna particolare patologia del ricorrente, nè suoi legami specifici con l’Italia.

Stante la manifesta infondatezza del ricorso è stata revocata l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

2. Il ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo articolato motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’omesso riconoscimento della protezione sussidiaria, in considerazione della grave crisi sociale e politica che aveva investito la *****, caratterizzata dalla presenza di gruppi armati non controllati.

Ha riportato quanto dichiarato innanzi alla Commissione territoriale e le censure rivolte alla decisione negativa da questa adottata, sottolineando l’esistenza di un pericolo per la sua persona in caso di ritorno in *****, derivante dalle controversie esistenti con alcuni cugini che si erano appropriati dei terreni del padre del ricorrente, spettanti a quest’ultimo, e alle violenze dagli stesse poste in essere, essendo stati sospettati di avere ucciso, per ragioni di interesse, un fratello del ricorrente. Ha ribadito la situazione di pericolo esistente in ***** per la presenza di gruppi armati incontrollati, lamentandone l’insufficiente considerazione da parte del Tribunale di Campobasso, nonchè l’errata interpretazione di quanto emergente dal rapporto 2017 – 2018 di Amnesty International citato nel decreto impugnato, l’omessa considerazione di quanto risultante a proposito della ***** dalla interrogazione del sito internet del Ministero degli Affari Esteri, nella sezione denominata “*****”, dai quali si ricavava l’esistenza in tale paese di aspri e violenti conflitti armati ad opera sia di civili sia di militari cosiddetti smobilitati, e anche la mancata valutazione della situazione individuale del ricorrente.

2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la mancata valutazione della situazione personale del ricorrente e della documentazione in atti e anche l’omessa pronuncia sulla domanda di protezione umanitaria, non essendo stato considerato l’inserimento sociale del ricorrente in Italia, in virtù della attività scolastica e del relativo percorso di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana.

3. Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non si è costituito.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Osserva il Collegio che i motivi proposti sono manifestamente infondati, perchè si risolvono in generiche deduzioni di fatto volte a sollecitare un inammissibile riesame del merito della vicenda.

5. Il primo motivo, con cui si lamenta, in relazione al diniego della protezione sussidiaria, l’insufficiente considerazione della situazione della ***** da parte del Tribunale di Campobasso, nonchè l’errata interpretazione di quanto emergente dal rapporto 2017 – 2018 di Amnesty International citato nel decreto impugnato, l’omessa considerazione di quanto risultante a proposito della ***** dalla interrogazione del sito internet del Ministero degli Affari Esteri, nella sezione denominata “*****”, e anche la mancata valutazione della situazione individuale del ricorrente, è inammissibile a causa della sua genericità, consistendo in richiami a decisioni di merito e di legittimità e a rapporti sulla situazione della *****, disgiunto dalla analisi della situazione personale del ricorrente, e manifestamente infondato, essendo volto a censurare valutazioni di merito del Tribunale, in ordine alla insussistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale, motivate in modo sufficiente.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, identifica il danno grave nelle ipotesi a) di condanna a morte o esecuzione della pena di morte, b) di tortura o altra forma di pena o trattamento umano o degradante ai danni del richiedente nel Paese d’origine, c) di minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale secondo cui non sussistono i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato (Cass., Sez. 1, n. 11103/2019, Rv. 653465-01 con ampi riferimenti alla giurisprudenza Eurounitaria).

Nel caso in esame il Tribunale, sia pure con motivazione sintetica, ha ritenuto non fondato, per come rappresentato, il timore della persecuzione personale ed ha osservato che non era stato indicato l’agente persecutore nè erano stati esposti i motivi relativi alla mancanza di protezione nello Stato d’origine; inoltre, ha aggiunto che, sulla base delle ricerche condotte, la ***** non era un paese afflitto da una violenza indiscriminata.

Va aggiunto che le liti tra privati (quale quella prospettata, per altro in modo vago e impreciso, dal ricorrente) sono estranee al sistema di protezione internazionale, come chiarito ex plurimis da Cass., Sez. 6-1, n. 11110/2019, Rv. 653482-01).

6. Il secondo motivo, con cui si lamenta la mancata considerazione della situazione personale del richiedente e della domanda di protezione umanitaria è del tutto generico, a fronte della motivazione, sia pur succinta del Tribunale, non illustrandosi nulla di preciso a proposito della posizione del richiedente.

Va ricordato che la protezione umanitaria, prevista in generale dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, richiesta al questore o all’autorità giudiziaria, in entrambi i casi al di fuori del sistema della protezione internazionale, è un istituto di salvaguardia introdotto dalla L. n. 40 del 1998 e poi trasfuso nel predetto D.Lgs.. La successiva entrata in vigore della protezione sussidiaria ad opera del D.Lgs. n. 251 del 2007, in parte ne ha assorbito l’ambito operativo, ma l’istituto mantiene una sua autonomia come misura atipica di protezione umanitaria, il cui fondamento risiede nel principio di non refoulement del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, per ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle già oggetto del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Il D.L. n. 113 del 2018 ha eliminato la clausola inerente ai presupposti per il rilascio della protezione umanitaria, salvo che ricorrano i motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, altresì espungendo, ovunque necessario, le parole “umanitaria” e “protezione umanitaria”. Le uniche ipotesi eccezionalmente riconoscibili ai fini della tutela sono a) il permesso di soggiorno in casi speciali, per motivi di protezione sociale dell’art. 18, per le vittime di violenza domestica di cui all’art. 18-bis ed il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 quater; b) il permesso di soggiorno per cure mediche di cui all’art. 19, comma 2, lett. d-bis; c) il permesso di soggiorno per protezione speciale, rilasciato dal questore nei limiti del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e 1.1.; il permesso di soggiorno per contingente ed eccezionale calamità naturale di cui all’art. 20-bis; il permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile di cui all’art. 42-bis, quest’ultimo di durata biennale. Secondo la giurisprudenza, si tratta di un catalogo aperto di ipotesi ricomprendenti i seri motivi umanitari, gli obblighi costituzionali e gli obblighi internazionali. In particolare, secondo Cass., Sez. 1, n. 4455/2018, Rv. 647298, sono ricomprese in tale tipo di tutela la salute, l’instabilità politica e sociale nel Paese d’origine, la povertà e l’integrazione sociale. L’inserimento sociale nel Paese, tuttavia, non è da solo sufficiente per giustificare il rilascio del permesso umanitario, essendo necessaria un’effettiva valutazione comparativa della situazione oggettiva del Paese d’origine e soggettiva del richiedente, alla luce delle peculiarità della vicenda personale.

Nel caso in esame il decreto di rigetto risulta idoneamente motivato giacchè la situazione esistente i ***** non è tale, per natura, gravità e durata, da impedire il rimpatrio; d’altra parte, non sono stati allegati elementi sufficienti a ritenere compromesso o leso il diritto alla salute nè sono ravvisabili condizioni di vulnerabilità, a seguito della comparazione del sistema del Paese d’origine con quello ospitante. Infine, il Tribunale ha accertato non ricorrere il requisito dell’integrazione sul territorio dello Stato, mancando un vincolo familiare e stabile attività lavorativa, non essendo ricavabile tale requisito dalla sola frequentazione di un corso di lingua italiana.

7. Sussistono, infine, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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