LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3594/2018 proposto da:
D.H., in proprio e quale amministratore di ***** s.r.l., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. L. Lagrange n. 1, presso lo studio dell’avvocato Sperti Riccardo, rappresentato e difeso dall’avvocato Paris Ignazio, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate – Riscossione, subentrante di Equitalia Servizi di Riscossione S.p.a., incorporante Equitalia Nord S.p.a., Equitalia Centro S.p.a. ed Equitalia Sud S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Flaminia n. 135, presso lo studio dell’avvocato Giammaria Pierluigi, rappresentata e difesa dagli avvocati Cimetti Maurizio, Parente Giuseppe, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Fallimento ***** S.r.l., in persona del curatore Dott. G.R., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Liegi n. 34, presso lo studio dell’avvocato Della Bella Michele, rappresentato e difeso dall’avvocato Pellegrini Alberto, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2758/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 27/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2020 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO, che ha chiesto il rigetto del ricorso, con le conseguenze di legge.
FATTI DI CAUSA
1. – D.H., in proprio ed in veste di amministratore di ***** S.r.l., ricorre per tre mezzi, illustrati da memoria, nei confronti del Fallimento ***** S.r.l., nonchè di Equitalia Servizi di Riscossioni S.p.A., contro la sentenza del 27 dicembre 2017 con cui la Corte d’appello di Torino ha respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
Ha osservato la Corte territoriale che:
-) nonostante l’assenza della documentazione prodotta in fase prefallimentare dalla creditrice istante, il reclamo risultava infondato sulla base della documentazione allegata dal Fallimento costituito;
-) gli estratti di ruolo comprovavano il credito della creditrice procedente, risultando dalla sentenza impugnata l’effettuazione della notificazione di tutti i ruoli, avvisi e cartelle, senza alcuna specifica contestazione in sede di reclamo;
-) non risultavano proposti contenziosi aventi ad oggetto il menzionato credito, che, per conseguenza, neppure poteva essere considerato litigioso;
-) a fronte del credito fatto valere da Equitalia, ammontante per sola sorte capitale ad oltre 3.000.000 di Euro, non risultava che la società debitrice avesse attività utili al pagamento del dovuto, anche ipotizzando una eventuale rateazione, peraltro in concreto mai richiesta;
-) dalla relazione del curatore di cui alla L. Fall., art. 33 risultava che i beni rinvenuti erano soltanto mobili e di modesta entità, mentre i crediti erano di difficile recupero, e la società non aveva dipendenti dal 2016;
-) ***** S.r.l. si trovava pertanto in stato di insolvenza già al momento della presentazione dell’istanza di fallimento, attesa l’impossibilità di far fronte al debito erariale anche in un’ottica liquidatoria.
2. – Fallimento ***** S.r.l. ed Agenzia delle Entrate-Riscossione, succeduta ad Equitalia Servizi di Riscossioni S.p.A., resistono con distinti controricorsi.
Il Fallimento ha depositato memoria.
3. – Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo mezzo è rubricato: “Violazione e/o erronea applicazione delle norme di diritto in tema di produzioni documentali con conseguente nullità della sentenza impugnata. Violazione del diritto di difesa”, censurando la sentenza impugnata per aver fondato la propria decisione sulla relazione del curatore, peraltro tardivamente depositata e, comunque, formata successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Il secondo mezzo è rubricato: “Errata rappresentazione della situazione debitoria e patrimoniale della società. Carenza dei presupposti di cui alla L. Fall., art. 5 con violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto la sussistenza dello stato di insolvenza.
Il terzo mezzo è rubricato: “Errata applicazione delle norme in tema di liquidazione del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002”.
2. – Il ricorso è inammissibile.
2.1. – E’ inammissibile il primo motivo sia per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, dal momento che esso non indica le norme di diritto su cui il motivo stesso si fonda, sia per violazione dell’art. 366 c.p.p., n. 6, dal momento che esso si fonda sulla relazione del curatore, che sarebbe stata depositata tardivamente, ma nè indica quale fosse l’esatto contenuto di detta relazione, senza peraltro localizzarla (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475), nè individua gli atti e/o documenti da cui risulterebbe la tardività del menzionato deposito.
Ciò esime dall’osservare che il motivo è altresì inammissibile perchè si fonda sul richiamo ad un principio, quello secondo cui nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento hanno un rilievo esclusivamente i fatti esistenti al momento della stessa e non i fatti sopravvenuti (i ricorrenti richiamano Cass. 11 febbraio 2011, n. 3479 e Cass. 28 giugno 2017, n. 161801, che non ha nulla a che vedere con il contenuto della sentenza impugnata, dal momento che la relazione del curatore, cui i ricorrenti hanno inteso far riferimento, non è un fatto sopravvenuto alla dichiarazione di fallimento, bensì un atto, che il curatore deve redigere, concernente le cause e le circostanze del fallimento, di guisa che detta relazione ben può essere utilizzata per i fini dello scrutinio della sussistenza dello stato di insolvenza, nella misura in cui faccia riferimento alla situazione cristallizzatasi al momento della dichiarazione di fallimento). E cioè, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento l’accertamento dello stato di insolvenza va compiuto con riferimento alla data della dichiarazione di fallimento, ma può fondarsi anche su fatti diversi da quelli in base ai quali il fallimento è stato dichiarato, purchè si tratti di fatti anteriori alla pronuncia, anche se conosciuti successivamente in sede di gravame e desunti da circostanze non contestate dello stato passivo (Cass. 27 maggio 2015, n. 10952; Cass. 30 settembre 2019, n. 24424): ragionamento, quello che precede, certo suscettibile di essere esteso alla relazione di cui si è detto.
A conferma dell’inammissibilità, d’altronde, sta peraltro l’ulteriore considerazione che la sentenza impugnata non si fonda affatto, in esclusiva, sulla relazione in questione, ma sull’esistenza incontestata dei ruoli tali da comprovare il credito della creditrice procedente, con l’ulteriore conseguenza che anche per questo aspetto la censura prescinde dalla ratio decidendi realmente adottata dal giudice di merito.
2.2. – Anche il secondo motivo è inammissibile.
Esso risulta spiegato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 il quale prevede l’omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso.
Ma di un simile fatto, decisivo e controverso, non v’è, nella formulazione del motivo, alcuna traccia: al contrario il ricorso consiste in una sollecitazione alla rivalutazione della sussistenza dello stato di insolvenza sull’assunto che la sentenza impugnata non avrebbe preso posizione in ordine alla eccepita mancanza di notifica delle cartelle (cosa non corrispondente al vero, peraltro, giacchè a pagina 5 della decisione impugnata si legge che “la pretesa “irritualità” delle notificazioni, prospettata in termini totalmente generici dai reclamanti ancora in questa sede, si scontra con la produzione, da parte di Equitalia S.p.A., delle notificazioni relative a tutti i “ruoli, avvisi e cartelle”, di cui ha dato espresso conto il Tribunale nella sentenza impugnata senza alcuna specifica contestazione in sede di reclamo”), nè sull’ipotesi di una possibile soluzione caratterizzata del credito erariale (cosa non corrispondente al vero, peraltro, giacchè a pagina 7 della decisione impugnata si afferma che non risulta “che la società debitrice abbia attività in concreto utili per far fronte al dovuto, anche ipotizzando un’eventuale rateizzazione, in concreto mai richiesta, che data l’entità del dovuto comporterebbe cospicui esborsi continuativi”).
Bisogna aggiungere che nel corpo del motivo si fa riferimento ad un aspetto totalmente diverso, ossia al fatto che un’unica azione esecutiva intrapresa dal creditore per conseguire un pagamento non dimostrerebbe lo stato di insolvenza: ma in questo caso l’osservazione è ancora una volta priva di correlazione con la ratio decidendi adottata dalla Corte d’appello, la quale ha considerato l’entità delle attività disponibili e ne ha tratto la conclusione che la società debitrice non avrebbe potuto far fronte alle proprie obbligazioni neppure in un ottica liquidatoria.
2.3. – Il terzo motivo è inammissibile in applicazione del principio secondo cui: “La declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in ragione dell’integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, non ha natura di condanna – non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa – bensì la funzione di agevolare l’accertamento amministrativo; pertanto, tale dichiarazione non preclude la contestazione nelle competenti sedi da parte dell’amministrazione ovvero del privato, ma non può formare oggetto di impugnazione” (Cass. 13 novembre 2019, n. 29424; Cass. 11 giugno 2018, n. 15166).
3. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate, quanto ad ognuno di essi, in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020