LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30482/2018 proposto da:
G.G., elettivamente domiciliato in Venafro, via Nicandro Iosso 6, presso lo studio dell’avvocato Gianluca Gianmatteo del Foro di Isernia;
– ricorrente –
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il 11/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 31/10/2019 da Dott. LIBERATI GIOVANNI.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Campobasso ha respinto la domanda del ricorrente, nato *****, di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Salerno, sezione di Campobasso.
Il Tribunale, disattesa l’eccezione di nullità del provvedimento di rigetto a causa della sua mancata traduzione in lingua nota al richiedente asilo, ha ritenuto che quanto narrato dal ricorrente, circa la necessità di allontanarsi dal paese di origine a causa delle minacce di morte ricevute dai componenti della associazione segreta (denominata *****) alla quale aveva aderito, minacce dovute al suo rifiuto di commettere dei crimini, non fosse credibile, a causa della genericità del racconto, privo di dettagli e riferimenti spazio – temporali, e anche della scarsa plausibilità di quanto narrato, nonchè delle ragioni che avrebbero impedito al ricorrente di rivolgersi alle forze di polizia nigeriane, escludendo di conseguenza la sussistenza di verosimili motivi di persecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, idonei a consentire il riconoscimento dello status di rifugiato.
Il Tribunale ha poi escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, a causa della genericità della deduzione della gravità della situazione politico – economica della Nigeria, così come della mancanza dell’esercizio delle libertà democratiche, essendo necessario che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche obiettive della situazione dello Stato di provenienza, siano tali da far ritenere la sussistenza di un pericolo per l’incolumità della persona, sottolineando che nello Stato di provenienza del ricorrente (Edo State) non vi era una situazione allarmante e la specifica situazione soggettiva del ricorrente non lo rendeva esposto ad alcuno specifico rischio, tenendo conto del fatto che l’organizzazione terroristica ***** operava nel nord est del paese (in particolare negli Stati di *****, per i quali l’UNHCR aveva dato indicazioni di non rimpatrio).
Ha infine escluso la protezione umanitaria, non essendo stati allegati o provati elementi che facciano ritenere particolarmente vulnerabile il richiedente in caso di rimpatrio, nè essendo state prospettate evenienze da cui desumere la sussistenza di esigenze umanitarie.
Stante la manifesta infondatezza del ricorso è stata revocata l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.
2. Il ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, con riferimento alla esclusione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto nella zona sud della Nigeria, le operazioni di polizia sono caratterizzate da continue e pesanti violazioni dei diritti umani, anche nello Edo State da cui proviene il ricorrente, come affermato in varie decisioni di merito, con la conseguente erroneità della interpretazione del Tribunale di Campobasso della nozione di danno grave.
2.2. In secondo luogo lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per l’erronea esclusione da parte del Tribunale della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, per non essere stato adeguatamente considerato lo stato di vulnerabilità del ricorrente, fuggito appena diciottenne dal paese di origine, a causa delle intimidazioni provenienti dalla associazione *****, e oggetto di persecuzioni e vessazioni anche in Libia, dove aveva subito ulteriori soprusi; ha lamentato anche l’omessa considerazione del percorso di integrazione seguito in Italia, in quanto si era iscritto a un corso di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana.
2.3. Infine, con il terzo motivo, ha lamentato la mancanza, l’apparenza e la contraddittorietà della motivazione in ordine all’esame di circostanze decisive, tra cui le minacce e i soprusi subiti in ***** e durante la permanenza in Libia, che non erano stati affatto considerati, mentre avrebbero potuto costituire idoneo presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria.
3. Il Ministero dell’Interno non si è costituito.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Osserva il Collegio che i motivi proposti sono manifestamente infondati perchè si risolvono in generiche deduzioni di fatto volte a sollecitare un inammissibile riesame del merito della vicenda.
5. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riferimento al diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria, è inammissibile a causa della sua genericità, in quanto il ricorrente si è limitato al riguardo a lamentare l’erroneità della affermazione del Tribunale circa l’insussistenza nello Edo State da cui egli proviene di una situazione di conflittualità e violenza tale da costituire una situazione di danno grave, prospettando genericamente l’esistenza di una tale situazione, sulla base di quanto ritenuto in altre decisioni di merito, richiamate genericamente, cosicchè la doglianza risulta volta, in modo generico, a censurare un accertamento di fatto, circa l’insussistenza di una siffatta situazione, di cui è stata fornita giustificazione con motivazione sufficiente.
Va ricordato che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, identifica il danno grave nelle ipotesi a) di condanna a morte o esecuzione della pena di morte, b) di tortura o altra forma di pena o trattamento umano o degradante ai danni del richiedente nel Paese d’origine, c) di minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale secondo cui non sussistono i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato (Cass., Sez. 1, n. 11103/2019, Rv. 653465-01 con ampi riferimenti alla giurisprudenza Eurounitaria).
Nel caso in esame il Tribunale ha ritenuto che, sulla base delle ricerche condotte, non vi sia, nella regione di origine del ricorrente (Edo State), una situazione di pericolo tale da costituire una minaccia grave e individuale alla vita, evidenziando come l’Edo State non sia segnalato per l’esistenza di conflitti in corso, sottolineando come l’organizzazione terroristica ***** sia operante nel nord est del paese (in particolare negli stati di *****): tali considerazioni, idonee a giustificare il diniego della forma di protezione richiesta, sono stati censurate in modo generico e sul piano delle valutazioni di merito, solo attraverso il richiamo a decisioni di giudici di merito che hanno affermato la sussistenza di tale situazione di pericolo anche nello Edo State, con la conseguente inammissibilità della doglianza, sia a causa della sua genericità e del suo contenuto assertivo, sia per essere volta a conseguire la rivisitazione di un accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito.
6. Il secondo motivo, relativo al diniego della protezione umanitaria, è manifestamente infondato.
Va ricordato che la protezione umanitaria, prevista in generale dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, richiesta al questore o all’autorità giudiziaria, in entrambi i casi al di fuori del sistema della protezione internazionale, è un istituto di salvaguardia introdotto dalla L. n. 40 del 1998 e poi trasfuso nel predetto D.Lgs.. La successiva entrata in vigore della protezione sussidiaria ad opera del D.Lgs. n. 251 del 2007, in parte ne ha assorbito l’ambito operativo, ma l’istituto mantiene una sua autonomia come misura atipica di protezione umanitaria, il cui fondamento risiede nel principio di non refoulement del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, per ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle già oggetto del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Il D.L. n. 113 del 2018, ha eliminato la clausola inerente ai presupposti per il rilascio della protezione umanitaria, salvo che ricorrano i motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, altresì espungendo, ovunque necessario, le parole “umanitaria” e “protezione umanitaria”. Le uniche ipotesi eccezionalmente riconoscibili ai fini della tutela sono a) il permesso di soggiorno in casi speciali, per motivi di protezione sociale dell’art. 18, per le vittime di violenza domestica di cui all’art. 18-bis ed il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 quater; b) il permesso di soggiorno per cure mediche di cui all’art. 19, comma 2, lett. d-bis; c) il permesso di soggiorno per protezione speciale, rilasciato dal questore nei limiti del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e 1.1.; il permesso di soggiorno per contingente ed eccezionale calamità naturale di cui all’art. 20-bis; il permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile di cui all’art. 42-bis, quest’ultimo di durata biennale. Secondo la giurisprudenza, si tratta di un catalogo aperto di ipotesi ricomprendenti i seri motivi umanitari, gli obblighi costituzionali e gli obblighi internazionali. In particolare, secondo Cass., Sez. 1, n. 4455/2018, Rv. 647298, sono ricomprese in tale tipo di tutela la salute, l’instabilità politica e sociale nel Paese d’origine, la povertà e l’integrazione sociale. L’inserimento sociale nel Paese, tuttavia, non è da solo sufficiente per giustificare il rilascio del permesso umanitario, essendo necessaria un’effettiva valutazione comparativa della situazione oggettiva del Paese d’origine e soggettiva del richiedente, alla luce delle peculiarità della vicenda personale.
Ciò premesso in via generale, osserva il Collegio che il decreto di rigetto risulta idoneamente motivato giacchè la situazione dello Edo State, prospettata anche in relazione a tale censura, non è tale, come evidenziato, da impedire il rimpatrio; d’altra parte, non sono stati allegati elementi sufficienti a ritenere compromesso o leso il diritto alla salute nè sono ravvisabili condizioni di vulnerabilità, a seguito della comparazione del sistema del Paese d’origine con quello ospitante. Infine, il Tribunale ha accertato non ricorrere il requisito dell’integrazione sul territorio dello Stato, mancando un vincolo familiare e stabile attività lavorativa (non essendo sufficiente al riguardo la sola frequentazione di un corso di lingua italiana).
7. Il terzo motivo, relativo alla omessa considerazione delle dichiarazioni del ricorrente in ordine aì maltrattamenti dallo stesso subiti in Libia, è anch’esso inammissibile a causa della sua genericità, non essendo volto a individuare l’esistenza di situazioni tali da consentire di ravvisare i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, come sopra richiamati.
Benchè il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisca una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 13096 del 15/05/2019 (Rv. 653885-01), nel caso in esame il ricorrente si è limitato, del tutto genericamente, ad affermare di aver subito violenze e minacce durante il suo soggiorno in Libia, senza altro aggiungere, con la conseguente genericità della censura, dalla quale non è dato di rilevare la condizione di vulnerabilità necessaria per il riconoscimento di detta forma di protezione internazionale.
8. Sussistono, infine, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020