Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.10878 del 08/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7971/2019 proposto da:

K.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Alberico II 4 presso lo studio dell’avvocato Angelelli Mario Antonio che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pasqualino Gaetano Mario;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 257/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 07/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2020 da Dott. SOLAINI LUCA;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Palermo ha respinto il gravame proposto da K.L., cittadino del *****, avverso l’ordinanza del tribunale di Palermo che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito che a seguito della rielezione nel 2011 del Presidente J., il padre, che era seguace del partito di opposizione (*****), era stato arrestato ed egli era stato costretto a fuggire dal *****, per non subire il medesimo trattamento a causa della partecipazione alle riunioni organizzative di quella formazione politica.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controdeduzioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione delle norme di diritto, inerenti la disciplina sullo status di rifugiato e sul diritto di asilo, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, degli artt. 167 e 215 c.p.c., dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost., perchè la Corte d’appello aveva omesso di valutare adeguatamente le minacce e le intimidazioni che il ricorrente ha dichiarato di aver subito per motivi politici, alla luce dell’inadeguatezza del sistema giudiziario del suo paese per assicurargli la necessaria tutela, con violazione del principio della collaborazione istruttoria; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, dell’art. 3 CEDU, degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 10 Cost., comma 3 e dell’art. 32 Cost., perchè la Corte d’appello non aveva valutato che in caso di rimpatrio, il ricorrente sarebbe stato soggetto a trattamenti inumani e degradanti, per la forte instabilità presente all’interno del paese di origine, soprattutto considerando la presenza del proprio nominativo e quello dei propri familiari all’interno delle liste di quei cittadini che fanno parte del partito dell'***** e che hanno votato contro il presidente oggi uscente; (iii) sotto un terzo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dell’art. 6, par. 4 della direttiva comunitaria n. 115/08, della L. n. 881 del 1977, art. 11 degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 10 Cost., comma 3 art. 32 Cost., per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, nonostante la situazione di vulnerabilità sussistente e il livello d’integrazione raggiunto, alla luce della mancata valutazione comparativa tra le condizioni soggettive del ricorrente e la regressione delle condizioni personali e sociali in caso di rimpatrio. Il primo motivo è inammissibile, in quanto propone censure di merito alla valutazione dei fatti della Corte d’appello, sulla cui base la stessa ha ritenuto non attendibile il ricorrente, in quanto dal dicembre 2016 il ***** è retto non più dal Presidente J., ma dal presidente A.B., il quale è sostenuto dal partito dell'*****, di cui l’appellante ha asserito che il padre facesse parte.

Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, mira a contestare, in termini di mero dissenso, la valutazione della Corte d’appello, secondo cui il rientro in patria del ricorrente esclude il timore che il medesimo possa essere vittima di ulteriori persecuzioni per ragioni di credo politico anche perchè, in passato, erano state messe in atto non ai suoi danni, ma in pregiudizio del padre che era sostenitore del partito dell’attuale presidente.

Il terzo motivo è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dalla Corte d’appello che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 2.100,00,oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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