Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.10879 del 08/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9153/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Della Giuliana, 101 presso lo studio dell’avvocato Denicolai Roberto che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cascione Antonella, Stornello Francesco;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1901/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 11/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2020 da Dott. SOLAINI LUCA;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Catania ha respinto il gravame proposto da S.A., cittadino senegalese, avverso l’ordinanza del tribunale di Catania che r confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito di essere fuggito dal Senegal per questioni personali e familiari; in particolare, egli aveva conosciuto il padre solo da adulto, in quanto i genitori si erano separati sin da quando la madre era in gravidanza e dopo aver conosciuto il padre, e averci convissuto per quattro giorni, aveva iniziato ad avere contrasti con lui, in quanto questi insisteva perchè si convertisse alla religione *****. Poichè egli si era rifiutato, il padre lo aveva ripetutamente picchiato e minacciato di morte e per tale ragione il S. era scappato.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione di legge, in particolare, per violazione del combinato disposto degli artt. 10, 16 e 46 della direttiva 2013/32/06 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, lett. g) e h) e dell’art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 e 35, commi 10 e 13 in riferimento all’art. 10 Cost., art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in quanto la Corte d’appello aveva disatteso l’istanza di audizione del richiedente senza darne conto, e non aveva in alcun modo esaminato e valutato le circostanze e la documentazione offerta a fondamento della sopravvenuta integrazione; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del combinato disposto dagli artt. 10, 16 e 46 della citata Direttiva, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, lett. e) g) e h) e dell’art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27 e art. 35, commi 10 e 13 in riferimento agli artt. 10, 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 21, artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in quanto erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che la condotta del padre del ricorrente non potesse essere qualificata quale atto di persecuzione ed aveva anche ritenuto – ma senza approfondimento – che il ricorrente avrebbe potuto rivolgersi alle autorità del suo paese; (iii) sotto un terzo profilo, per violazione del combinato disposto dagli artt. 10, 16 e 46 della predetta Direttiva, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, lett. e) g) e h) e dell’art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 e art. 35, commi 10 e 13, in riferimento agli artt. 10, 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, artt. 6 e 13 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in quanto, erroneamente, la Corte d’appello, ha ritenuto chef seppur non rientranti tra gli atti persecutori, le violenze subite da parte del padre, ben avrebbero potuto essere qualificate, al pari di ogni altra violenza domestica nell’ambito dei trattamenti inumani e degradanti; (iv) sotto il quarto profilo per violazione combinato disposto dagli artt. 10, 16 e 46 della citata Direttiva, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, lett. e) g) e h) e art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 e art. 35, commi 10 e 13, in riferimento agli artt. 2,10, 24 Cost. e artt. 6, 8 e 13 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, lett. c) ter e art. 28, lett. d) perchè la Corte d’appello non aveva valorizzato adeguatamente il livello d’integrazione raggiunta nel tessuto economico e sociale nazionale.

Il primo motivo è inammissibile, perchè non si confronta con la ratio decidendi basata sulla non credibilità del richiedente, mentre è volta solo a proporre una diversa valutazione del materiale istruttorio.

Il secondo motivo è inammissibile, perchè solleva censure di merito all’accertamento e alla valutazione dei fatti proposti dal ricorrente, in termini di mero dissenso, proponendo semplicemente una loro diversa valutazione.

Il terzo motivo è inammissibile, perchè solleva censure alla valutazione dei fatti da parte della Corte distrettuale, la quale ha basato l’accertamento su fonti informative aggiornate che escludono rischi di morte, di tortura o di gravi danni in caso di rientro del richiedente in *****.

Il quarto motivo è infondato, in quanto, la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dalla Corte d’appello, che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione, e che la giovane età al momento dell’ingresso in Italia, nè lo svolgimento di attività lavorativa valgono ad integrare i parametri dell’eccezionalità e della meritevolezza richiesti dalla legge per la concessione di tale forma di protezione.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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