LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
O.S., elettivamente domiciliato in Roma, via Vigliena 9, presso lo studio dell’avv. Alessandro Malara, rappresentato e difeso nel presente giudizio, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Ilaria Di Punzio che dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo alla p.e.c.
avv.ilariadipunzio-pec.it;
– ricorrente –
nei confronti di:
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege dall’avvocatura generale dello Stato (ags.rm.mail.cert.avvocaturastato.it, fax 06/96524000) e domiciliato presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi 12;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 9628/2018 del Tribunale di Roma, emesso il 6.4.2018 e depositato l’11.7.2018, n. R.G. 75496/2017;
sentita la relazione in camera di consiglio del Pres. Dott. Bisogni Giacinto Bisogni.
RILEVATO
che:
1. Il sig. O.S., cittadino nigeriano, nato il 5.6.1996, proponeva domanda di riconoscimento della protezione internazionale o in subordine della protezione umanitaria alla competente Commissione territoriale di Roma esponendo di essersi trovato causalmente presente, mentre era fermo a una stazione per il rifornimento di carburante adiacente a una banca, all’uccisione di un ragazzo da parte della polizia che aveva sparato sul giovane per il solo fatto che ostruiva con la sua auto l’accesso alla banca di un furgone portavalori. Ne era seguita una sorta di rivolta contro la polizia nel corso della quale era stato ucciso un poliziotto e assaltata la banca. Era intervenuto l’esercito e aveva identificato i presenti. Nei giorni seguenti era stato convocato dalla polizia ma egli aveva preferito non andare temendo di subire un ingiusto processo per omicidio. Aveva deciso invece di lasciare la Nigeria.
2. La Commissione territoriale ha respinto il ricorso ritenendo non credibile tale vicenda non documentata sia quanto all’episodio relativo all’uccisione del giovane e del poliziotto che a una, peraltro negata, azione penale nei suoi confronti.
3. Il Tribunale di Roma, con decreto n. 9628/18, ha respinto la successiva proposizione del ricorso avverso il diniego pronunciato dalla Commissione rilevando l’inesistenza di un rischio concreto per il ricorrente nel caso di rientro in patria. 4.Ricorre per cassazione e deposita memoria difensiva il sig. O.S. e deduce: a) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, artt. 2, 3, 5, 6 e 14 in relazione all’art. 2, comma 1, lett. e) della Convenzione di Ginevra, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; b) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3 e art. 5, comma 6 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5; c) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 anche in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in correlazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
5. Con il primo motivo si lamenta la mancata considerazione della impossibilità per il ricorrente di rivolgersi alle autorità statali del proprio paese per ottenere protezione relativamente alla vicenda narrata.
6. Con il secondo motivo si lamenta la mancata considerazione della situazione di fragilità del ricorrente e la sua impossibilità di documentare l’accaduto storico desumibile comunque da quello che accade abitualmente in Nigeria in una situazione di violenza diffusa e di assenza di uno stato di diritto.
7. Con il terzo motivo il ricorrente afferma che ingiustamente gli è stata negata sia la protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 che quella umanitaria per il solo motivo che egli ha lasciato il proprio paese per cercare in Italia migliori condizioni di vita.
8.Propone controricorso il Ministero dell’Interno.
RITENUTO
che:
9. Il ricorso, i cui motivi devono essere esaminati congiuntamente è infondato perchè, in primo luogo non risulta censurata la motivazione del decreto impugnato su cui si fonda la domanda di protezione, mancata produzione che non può affatto ritenersi preclusa a causa dell’espatrio dato che la gravità dell’accaduto narrato, se reale, non può non aver trovato un’eco sulla stampa nigeriana e sui media. In secondo luogo è lo stesso ricorrente a negare l’esistenza di qualsiasi procedimento giudiziario a suo carico e ad affermare che egli si è voluto sottrarre a una convocazione dell’autorità di polizia senza che in concreto fosse stato perpetrato un abuso di potere nei suoi confronti da parte delle autorità giudiziarie o di polizia. Nessuna condizione di persecuzione personale, di esposizione a rischio rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e di vulnerabilità soggettiva è stata dedotta quindi dal ricorrente secondo la non censurabile valutazione del giudice del merito al riguardo. Nè il ricorrente ha dedotto in questo giudizio argomentazioni in diritto che possano giustificare le lamentate violazioni e false applicazioni di legge. Non si comprende chi sarebbe il soggetto portatore della persecuzione nei confronti del richiedente asilo dato che la narrazione non consiste affatto in una deduzione di atti persecutori da parte di soggetti non statali e d’altra parte non vi è alcuna prospettazione di comportamenti abusivi da parte dello Stato basati su una discriminazione soggettiva del richiedente asilo. Tale non può di certo considerarsi una convocazione da parte della polizia che ben poteva avere lo scopo di acquisire informazioni sull’accaduto da parte di un testimone presente ai fatti. Nemmeno il rischio di subire una condanna alla pena capitale ovvero una carcerazione caratterizzata da trattamenti disumani può essere quanto meno prospettata concretamente nel racconto del sig. O. alla luce della giurisprudenza in materia di protezione sussidiaria che richiede l’allegazione di un rischio specifico e correlato alla situazione soggettiva del richiedente. Nè infine il solo fatto di aver assistito alla grave vicenda narrata può di per sè ritenersi integrativo di una condizione di vulnerabilità in mancanza di qualsiasi comportamento abusivo e violativo dei diritti umani del richiedente asilo sicchè correttamente è stato ritenuto che la mera aspirazione a una condizione migliore in Italia e la condizione di precaria integrazione lavorativa non può giustificare la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Infine va rilevato che nel ricorso per cassazione si fa per la prima volta, e quindi inammissibilmente, un ampio riferimento alle condizioni generali della sicurezza in Nigeria. Per altro verso l’esistenza di condizioni di inefficienza o corruzione dell’apparato giudiziario e di polizia nel paese di origine non è di per sè condizione sufficiente per il riconoscimento di nessuna delle forme di protezione previste in favore dei cittadini stranieri nel nostro ordinamento se non è correlata a un concreto rischio di lesione dell’integrità personale o dei diritti fondamentali del richiedente asilo. Un rischio che è stato escluso con motivazione congrua dai giudici del merito.
10.Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la presa d’atto in dispositivo della applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020