Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.10955 del 09/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21623/2018 R.G. proposto da:

Mc Bolt s.r.l., in persona del L.R. pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.to Tullio Elefante, elett. dom. c/o lo studio in Roma, via Cardinal de Luca, n. 10;

– ricorrente –

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 194/2018 del 13 novembre 2017, depositata l’11 gennaio 2018, non notificata.

1. La Commissione tributaria regionale della Campania, riuniti i giudizi, ha rigettato gli appelli proposti dalla M.C. Bolt Srl (di seguito, la contribuente), avverso le sentenze 26.297/2015, 4793/2016, 8627/2016 emesse dalla Commissione provinciale di Napoli, che aveva, a sua volta, rigettato i ricorsi della contribuente avverso l’avviso di rettifica di accertamento dazi e i provvedimenti di irrogazione sanzioni, relativamente a importazioni di elementi di fissaggio in ferro o acciaio, indicati come provenienti dalla Thailandia, ma accertati essere invece di origine cinese, essendo stati trasbordati in Thailandia senza subire ulteriori lavorazioni, al fine di eludere il dazio doganale imposto dalla unione Europea per le merci provenienti dalla Cina.

2. Con gli atti impugnati, come detto, l’Ufficio delle dogane aveva proceduto alla riscossione dei dazi antidumping ed alla applicazione di sanzioni.

3. Il giudice d’appello, scrutinando i motivi di gravame, affermava che: – il regolamento di esecuzione UE n. 278/2016, con cui erano stati abrogati i dazi antidumping sulle importazioni dalla Cina dei materiali oggetto di importazione, non aveva valore retroattivo ed era improprio il riferimento al principio del “favor rei”, che aveva valenza penalistica; era inapplicabile alla fattispecie, concernente gli avvisi di rettifica in materia doganale, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, operando in tale ambito lo “ius speciale” di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11; – l’accertamento era congruamente motivato con richiamo agli atti ispettivi Olaf, che avevano descritto il meccanismo fraudolento messo in atto mediante il trasbordo dei prodotti cinesi verso altri Stati e l’irregolarità dei certificati di origine, ottenuti mediante false dichiarazioni rese alle autorità locali dai soggetti esportatori; – le indagini avevano accertato che le imprese esportatrici non avevano la capacità di produrre la merce importata e che questa non aveva subito trasformazioni sostanziali; – la contribuente non poteva invocare l’esimente della buona fede, in mancanza di un errore delle autorità competenti nella riscossione dei dazi (si richiamano sentenze della Corte Europea e della Corte); – la contribuente, quale soggetto importatore, aveva l’obbligo di vigilare sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore e di agire con la diligenza qualificata.

4. La sentenza è stata impugnata dalla contribuente sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle dogane resiste con controricorso.

1. Con il primo motivo, la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del Regolamento di esecuzione UE n. 278/2016 e del principio del “favor rei” di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In primo luogo, osserva, che la efficacia retroattiva del Reg. n. 278 del 2016 si desumeva dalla previsione di irripetibilità dei dazi già pagati, atteso che “se l’abrogazione fosse stata prevista solo per le nuove contestazioni, non vi sarebbe stata alcuna necessità di stabilire la non rimborsabilità delle somme già pagate sulla base di procedimenti in corso”. Di poi, ritiene che il principio del “favor rei” avrebbe dovuto trovare applicazione quanto meno in relazione alle due controversie relative agli avvisi di irrogazione delle sanzioni emessi ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, per le quali questo principio era sancito espressamente dal detto decreto, art. 3, comma 2.

1.1. La censura è infondata per le ragioni che seguono, spettando alla Corte di cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, integrare la motivazione della sentenza impugnata (cfr., ex pluribus Sez. 5, Ordinanza n. 29886 del 13/12/2017, Rv. 646295 – 01).

1.2. Il Regolamento di Esecuzione (Ue) 2016/278 della Commissione del 26 febbraio 2016 ha abrogato “il dazio antidumping definitivo istituito sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese, esteso alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia”.

1.3. Per quanto qui interessa, il regolamento ha rilevato che:

– “(2) Il 28 luglio 2011 l’organo di conciliazione (“DSB”) dell’Organizzazione mondiale del commercio (“OMC”) ha approvato la relazione dell’organo d’appello e la relazione del gruppo di esperti, modificata dalla relazione dell’organo d’appello nella controversia “Comunità Europee – Misure antidumping definitive su determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina” (“le relazioni originali”). In seguito a un riesame per l’attuazione delle relazioni originali, il Consiglio ha adottato il Reg. di esecuzione (UE) n. 924 del 2012, che ha modificato il Reg. (CE) n. 91 del 2009.

– (3) Con il Reg. di esecuzione (UE) 2015/519 la Commissione Europea (“la Commissione”) ha mantenuto, in seguito a un riesame in previsione della scadenza effettuato a norma del Reg. (CE) n. 1225 del 2009 del Consiglio, art. 11, paragrafo 2, le misure modificate dal Reg. di esecuzione (UE) n. 924 del 2012";

– nell’ambito delle consultazioni tra la Cina e l’Unione Europea sull’attuazione delle misure antidumping in contestazione, a fronte della opinione cinese di un contrasto delle relazioni originali con l’accordo GATT, è stato costituito un gruppo di esperti, a norma dell’art. 21.5 del DSU (“gruppo di esperti per la verifica della conformità”);

– il gruppo nella sua relazione ha rilevato che l’U.E. aveva agito in contrasto con “gli artt. 4.1 e 3.1 dell’accordo antidumping per quanto riguarda la definizione dell’industria nazionale e del pregiudizio”.

In conseguenza con il regolamento n. 278/2016 è stata disposta l’abrogazione delle misure controverse con effetto a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, con esclusione del rimborso dei dazi riscossi prima di tale data.

1.4. Ciò, però, non supporta la tesi della illegittimità del Reg. 91 del 2009, sostenuta dalla contribuente. Il Codice antidumping OMC (Accordo relativo all’applicazione dell’art. VI dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994) non ha valore normativo, diversamente dai Regolamenti che sono atti legislativi vincolanti nell’Unione Europea, con la conseguenza che, l’eventuale contrasto tra il codice OMC e un Regolamento, non integra una violazione di legge. Infatti, risulta da una costante giurisprudenza Europea che, tenuto conto della loro natura e della loro economia generale, gli accordi OMC, non figurano, in linea di principio, tra le norme alla luce delle quali può essere verificata la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione (v., segnatamente, sentenze del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio, C-149/96, EU:C:1999:574, punto 47, del 10 marzo 2005, Van Parys, C-377/02, EU:C:2005:121, punto 39, nonchè del 4 febbraio 2016, C & 3 Clark International e Puma, C-659/13 e C-34/14, EU:C:2016:74, punto 85). Le eccezioni riguardano, in primo luogo, l’ipotesi in cui l’Unione abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito di detti accordi e, in secondo luogo, il caso in cui l’atto di diritto dell’Unione in discussione rinvii espressamente a precise disposizioni dei medesimi accordi (v. sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/ Rusal Armenal, C-21/14 P, EU:C:2015:494, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).

1.5. Nel caso in esame, non ricorrendo alcuna delle due eccezioni sopra richiamate, gli accordi OMC non figurano tra le norme alla luce delle quali può essere verificata la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione. Nella causa C-207/17, Rhoto Blaets s.r.l., al punto 46, la Corte di Giustizia ha affermato ” Più in particolare, la Corte ha già avuto modo di precisare che non può essere ammessa neppure la possibilità per un operatore economico di far valere dinanzi al giudice dell’Unione che una normativa di quest’ultima è incompatibile con una decisione del DSB, come, nella fattispecie, la decisione del DSB del 28 luglio 2011. Infatti, le raccomandazioni o le decisioni del DSB che constatano il mancato rispetto delle regole dell’OMC non possono, in via di principio, e indipendentemente dalla portata giuridica ad esse attribuita, essere fondamentalmente distinte dalle norme sostanziali che traducono gli obblighi assunti da un membro nell’ambito dell’OMC. Pertanto, una raccomandazione o una decisione del DSB che constata il mancato rispetto delle regole suddette non può, in via di principio, così come avviene per le norme sostanziali contenute negli accordi OMC, essere invocata dinanzi al giudice dell’Unione al fine di stabilire se una normativa di quest’ultima sia incompatibile con la suddetta raccomandazione o decisione (sentenza del 10 novembre 2011, X e X BV, C-319/10 e C-320/10, non pubblicata, EU:C:2011:720, punto 37 nonchè la giurisprudenza ivi citata)7 concludendo, al punto 56, che dall’esame dei Regolamenti che hanno imposto i dazi “non si può ritenere che la legittimità dei regolamenti controversi possa essere valutata in rapporto all’art. VI del GATT 1994 o in riferimento alla decisione del DSB del 28 luglio 2011”

1.6. D’altra parte, è anche agevole constatare, come ritenuto anche dal giudice di appello, che il Reg. n. 278 del 2016, nel recepire la raccomandazione, non constata una violazione di legge, ma si muove su un piano di opportunità e pro futuro.

1.7. Ne discende la correttezza delle sanzioni applicate.

2. Con il secondo motivo, è denunciata “motivazione omessa su punto decisivo della controversia, in relazione alla illegittimità della pretesa erariale per carenza della c.d. “motivazione rafforzata”, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. In sintesi, si afferma che il giudice di appello aveva omesso di dare risposta all’eccezione della contribuente relativa alla nullità dell’atto impugnato privo di riferimenti alle difese svolte nella fase endoprocedimentale ed ai motivi per cui erano state disattese.

Ritiene questa Corte che il motivo di ricorso non può essere accolto. L’orientamento giurisprudenziale costante è nel senso che -“la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza della denunciata violazione. Sicchè una violazione che non abbia alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico, non può costituire oggetto di motivo di ricorso. Ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 5837/1997; 13373/2008; 6330/2014; 26831/14; 11354/16). Nel caso in esame, la contribuente si limita a denunciare astrattamente che non siano state valutate le sue difese, ma omette di indicare quali fossero e in che modo erano in grado di confutare le ragioni dell’amministrazione.

3. Con il terzo motivo, si eccepisce motivazione apparente su un punto decisivo della controversia, in relazione alla valenza probatoria dell’indagine Olaf nella fattispecie di causa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), atteso il valore indiziario che andava riconosciuto alle indagini Olaf, come si desumeva dall’informativa della Direzione Centrale Dogane; i giudici regionali, si sostiene, non avrebbero considerato che le importazioni oggetto di causa erano avvenute in un arco temporale antecedente di due anni (2011) l’inizio dell’indagine Olaf (2013), ragione per cui era ben possibile che le aziende fornitrici della contribuente inserite in due distinti elenchi – fossero esistenti o in attività; la CTR non aveva enunciato le ragioni per le quali aveva desunto la falsità dei certificati di origine delle merci e l’inesistenza delle società esportatrici.

Con il quarto mezzo, si contesta la nullità della sentenza, la motivazione omessa, e comunque soltanto parvente, in relazione alla valutazione delle prove contrarie offerte dalla contribuente sull’origine thailandese, e non cinese delle merci (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). La sentenza impugnata, si afferma, avrebbe omesso di valutare le prove offerte dalla contribuente per ciascuna bolla doganale sulla regolarità delle fatture, sui mezzi di pagamento e sul tragitto delle merci, dalla fabbrica di produzione thailandese sino al porto italiano di importazione. I giudici regionali non avevano spiegato la ragione per cui avevano disatteso le prove prodotte dalla contribuente per documentare la reale origine della merce e la loro idoneità a vincere la presunzione erariale.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente perchè connesse, sono infondate. Si osserva che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01). -“La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Ciò posto, il Collegio è chiamato a stabilire se le argomentazioni adoperate dalla CTR siano idonee, sul piano logico formale e della correttezza giuridica, a dare contezza dell’iter decisionale. Osserva il Collegio che a sostegno del decisum la CTR ha in primo luogo posto le risultanze delle indagini compiute dagli organismi antifrode comunitari, adeguandosi ai principi espressi in proposito da questa Corte:

– Sez. 5, Ordinanza n. 7993 del 21/03/2019 (Rv. 653057 – 01) “In tema di tributi doganali, la valenza istruttoria degli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF ai sensi del Reg. (CE) n. 1073 del 1999, ora sostituito dal Reg. (CE) n. 883 del 2013, art. 11, deve informarsi ai principi interni in tema di processo verbale di constatazione, in ragione del rinvio operato dalla normativa Eurounitaria a quella nazionale circa le regole di valutazione giudiziale degli atti ispettivi e la loro efficacia probatoria, sicchè il valore probatorio dei predetti accertamenti è differente a seconda della natura dei fatti da essi attestati, potendosi distinguere tre diversi livelli di attendibilità a seconda che i verbali siano assistiti da fede privilegiata, facciano fede fino a prova contraria, oppure costituiscano elementi di prova valutabili in concorso con altri elementi”. Nel caso in esame, ricorre l’ipotesi della fede privilegiata, in quanto è la stessa contribuente a riconoscere (pag. 19) che i funzionari Olaf hanno compiuto una “ispezione materiale dei capannoni nel porto tailandese”;

– Gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’Olaf ai sensi del Reg. n. 1073 del 1999 hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari; spetta al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria (Cass. n. 5892 del 2013);

ha in secondo luogo evidenziato che i verbalizzanti avevano accertato che le imprese non avevano capacità produttiva (aspetto questo su cui la contribuente non si confronta) e la falsità dei certificati di origine.

In queste argomentazioni, non è ravvisabile nessuna carenza nel procedimento logico che ha indotto la CTR, sulla base degli elementi acquisiti, al convincimento espresso, ma esse esprimono solo una difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dalla prima attribuiti agli elementi delibati, cosicchè, il motivo di ricorso, anzichè indicare un omesso esame di fatti decisivi e controversi, in realtà si sostanzia in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultima tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, n. 24148 del 25/10/2013). Va ribadito che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Peraltro, nel contesto in esame, caratterizzato da un trasbordo di merce, come correttamente evidenziato dalla contro ricorrente, prive di rilevanza, e quindi di decisività, sono le circostanze della correttezza formale della documentazione di carico e dei mezzi di pagamento, laddove il dato rilevante è che dalle indagini è stata esclusa l’origine preferenziale della merce.

4. Le spese seguono la soccombenza; sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, in complessivi Euro 4000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quanto previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’udienza del 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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