LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Lui – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 25733 del ruolo generale dell’anno 2012, proposto da:
Cor.Mag. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’avv.to Gianfrancesco Vecchio, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Alessandro Riccioni, in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 49;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore;
– resistente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 46/29/12 depositata in data 20 marzo 2012, non notificata.
Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto procuratore generale Dott.ssa Luisa De Renzis, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.
RILEVATO
Che:
-con sentenza n. 46/29/12 depositata in data 20 marzo 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da Cor.Mag. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 509/51/10 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società contribuente avverso l’avviso di accertamento n. ***** con il quale l’Agenzia delle entrate, previo p.v.c. dei funzionari dell’Ufficio di Roma 3, aveva ripreso a tassazione, ai fini Ires e Irap, costi indebitamente dedotti, nonchè l’Iva indebitamente detratta in relazione ad un acquisto “fittizio” di un complesso immobiliare, nel 2004, da una società (BC Immobiliare) che avrebbe subito dopo la vendita trasferito la propria sede legale all’estero e omesso di versare le imposte;
– la CTR, in punto di diritto, per quarto di interesse, ha osservato che:1) quanto alla contestata mancata allegazione all’avviso di accertamento del p.v.c. e degli atti allegati al p.v.c., alla prima pagina del processo verbale lo stesso risultava essere stato redatto alla presenza del legale rappresentante della società; 2) i documenti allegati al p.v.c. erano stati descritti in quest’ultimo, un esemplare del quale era stato consegnato alla società contribuente; 3) nel p.v.c. il legale rappresentante della società cessionaria non aveva contestato le irregolarità rilevate dall’Ufficio circa l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e del bilancio da parte della società venditrice; 4) i verificatori avevano ritenuto che la cessione del complesso immobiliare, descritta nel p.v., fosse stata posta in essere con finalità elusiva, essendosi la società venditrice trasferita all’estero e risultando totalmente inadempiente nei confronti dell’Erario; 5) nell’appello, tra l’altro, risultavano proposti nuovi motivi da ritenersi inammissibili ai sensi del D.lgs. n. 546 del 1992, art. 57; 6) la contribuente non aveva fornito, neanche in grado di appello, la prova documentale contraria circa la legittimità dell’operazione non essendo sufficiente a tal fine, la sola esibizione dei mezzi di pagamento;
– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui resiste, con “atto di costituzione” l’Agenzia delle entrate;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
Che:
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c. del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per avere la CTR- sull’erroneo presupposto che l’unico motivo di impugnazione fosse la mancata allegazione all’atto di accertamento del relativo p.v.c. e dei suoi allegati – omesso di pronunciarsi ritenendoli inammissibili ex art. 57 cit.- sui motivi di censura riproposti dalla contribuente nell’atto di appello (vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata e errata interpretazione dei fatti e delle norme da parte della CTP);
-il motivo è infondato per erroneo presupposto interpretativo, avendo la CTR- nonostante l’asserita proposizione di nuovi motivi in appello come tali inammissibili ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 -preso in considerazione, dopo averle esposte nella parte in fatto, sia la censura di assunto vizio di ultrapetizione (per avere la CTP fondato la decisione di rigetto sulla ipotesi non prospettata nell’avviso di “vendita fittizia”) sia quella di errata interpretazione dei fatti (per non potere nè il trasferimento della sede all’estero della società cedente nè la contestata evasione di imposte da parte di quest’ultima incidere sulla effettività dell’operazione economica immobiliare, come si evinceva dalla documentazione prodotta attestante il pagamento del prezzo inclusa Iva); in particolare, il giudice di appello, nel ritenere legittimo l’accertamento dei funzionari tributari circa la indebita deduzione di costi e detrazione di Iva da parte della società contribuente in relazione alla cessione di un complesso immobiliare avvenuta “con finalità elusiva” da una società (BC Immobiliare) che successivamente alla vendita si era trasferita all’estero e non aveva pagato le imposte, ha, in sostanza, rigettato i motivi di appello sostenendo la tesi della non effettività dell’operazione immobiliare in questione riguardo alla quale ha considerato irrilevante la esibizione dei soli mezzi di pagamento e non fornita dalla contribuente altra prova contraria neanche in sede di gravame;
-con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la motivazione insufficiente circa fatti controversi e decisivi per il giudizio per avere la CTR- nell’ipotesi in cui non si ritenessero sussistenti le violazioni di legge dedotte con il primo motivo- argomentato in modo insufficiente in ordine ai motivi di censura proposti dalla contribuente nei gradi di merito (vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata e errata interpretazione dei fatti e delle norme da parte della CTP);
– il motivo è inammissibile;
– premesso che “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (ex multis, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018), nella specie, la ricorrente pur denunciando, apparentemente, una insufficiente motivazione della sentenza impugnata- in punto di asserita mancata argomentazione in ordine ai motivi di appello chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative; e, invero, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata- da leggersi unitamente alla parte in fatto della stessa – il giudice di appello, con una valutazione di merito – non sindacabile in sede di legittimità- ha affermato, da un lato, che, come accertato dai funzionari tributari, “la cessione del complesso immobiliare, descritto nel verbale, era stata posta con finalità elusiva”- ciò in quanto, secondo la tesi dell’Ufficio, riportata nella parte in fatto della pronuncia, la società cedente BC Immobiliare aveva trasferito la sede all’estero subito dopo la vendita ed era risultata totalmente inadempiente nei confronti dell’Erario – e dall’altro, che la società contribuente non aveva fornito neanche in grado di appello idonea prova contrarie documentale, non essendo a tale fine valevole la sola esibizione dei mezzi di pagamento, utilizzati normalmente fittiziamente; pertanto, la doglianza si risolve in una difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex plurimis Cass. n. 3077 del 2019; n. 24198 del 2018; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 27162 del 2009; Cass. n. 6064 del 2008); pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass.n. 30372/18; Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014); in particolare, questa Corte ha precisata che “al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali, e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali, intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, implicitamente, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione, adottata” (Cass., n. 11645 del 2012; n. 8767 del 2011; Cass., n. 14598 del 2003; Cass., n. 12220 del 1998);
-con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 e art. 58, comma 2, per avere la CTR omesso di prendere in considerazione- ritenendola inammissibile per deposito tardivo- la documentazione prodotta dalla contribuente in allegato alla memoria depositata in sede di gravame, in data 22.11.2011, nel rispetto del termine di venti giorni liberi prima dell’udienza di discussione;
– il motivo è inammissibile;
– in disparte il non avere la contribuente riportato in ricorso, in difetto del principio di autosufficienza, la documentazione il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di appello, e ciò in violazione del principio di questa Corte secondo cui “il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743 del 2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/1)), nella specie, il motivo non coglie il decisum, avendo la CTR – lungi dal dichiarare la documentazione prodotta in sede di gravame inammissibile per deposito tardivo – valutato la medesima ritenendola inidonea a concretare prova contraria, precisando a insufficienza, a tal fine, della esibizione dei soli mezzi di pagamento;
– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la motivazione insufficiente circa fatti controversi e decisivi per il giudizio per avere la CTR- nell’ipotesi in cui non si ritenessero sussistenti le violazioni di legge dedotte con il terzo motivo- affermato apoditticamente, a fronte della cospicua documentazione depositata dalla contribuente, che la società non aveva fornito alcuna prova documentale idonea a confutare la tesi dell’Ufficio e a dimostrare la propria tesi difensiva;
– il motivo è inammissibile in quanto – come il secondo – tende ad una inammissibile rivisitazione di valutazioni di merito già espresse dal giudice di appello che ha, nella specie, espressamente ritenuto non fornita dalla società contribuente idonea prova contraria documentale neppure in sede di gravame;
– con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, artt. 23 e 53 Cost..” per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ancorchè non sorretto da adeguata motivazione in ordine ai “presupposti di fatto e alle ragioni di diritto”, avendo l’Ufficio omesso di indicare la norma tributaria la cui violazione avrebbe concretato un “comportamento fraudolento diretto al conseguimento di rilevanti vantaggi fiscali” in capo alla società contribuente;
– il motivo è infondato, in quanto, in disparte a non avere la ricorrente riportato in ricorso l’avviso di accertamento in questione in difetto del principio di autosufficienza, questa Corte ha già chiarito che “In tema di imposte sui redditi, la mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, della norma asseritamente violata non è, di per sè, causa di nullità dell’atto per inosservanza dell’obbligo di motivazione, ove lo stesso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo” (Cass.,., sez. 5, Sentenza n. 9499 del 12/04/2017); la CTR non si è conformata al suddetto principio di diritto nel ritenere necessaria, ai fini della sufficienza motivazionale dell’atto impositivo, l’indicazione della norma tributaria violata;
– con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, del D.L. n. 16 del 2012, art. 8 comma 1, convertito dalla L. n. 44 del 2012,, per avere la CTR omesso di annullare l’avviso di accertamento quantomeno con riferimento alle riprese ai fini Ires e Irap, prevedendo l’art. 8 cit., comma 1, in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette, salvo il diretto utilizzo dei beni o prestazioni di servizio per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo;
– il motivo è inammissibile per novità della questione dedotta e per violazione del principio di autosufficienza, evidenziandosi, sotto il primo profilo, che dal contenuto dela sentenza impugnata non emerge essere stata eccepita dai contribuenti, in sede di gravame, la deducibilità dei costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, ai fini)(res e IRAP, in forza della novella di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito dalla L. n. 44 del 2012, e, sotto il secondo profilo, che è onere della parte ricorrente, al fine di evitare e una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di quella questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del 201:3, n. 17253 del 2009);
– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
– nulla sulle spese essendo rimasta intimata l’Agenzia delle entrate;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020