LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso 11662-2016 proposto da:
COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA CRADARA, rappresentato e difeso dall’avvocato ADRIANA LA ROCCA giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIZZONIA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIANCARLO ZOPPINI, GIUSEPPE RUSSO CORVACE giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4740/2915 la COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 03/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2020 d Consigliere Dott. MAURA CAPRIOLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STANISLAO DE MATTEIS che ha concluso per il rigetto del l’ motivo di ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato GRADARA per delega dell’Avvocato LA ROCCA che si riporta agli atti;
udito per il controricorrente l’Avvocato TRIMARCHI per delega dell’Avvocato PIZZONIA che si riporta agli atti.
Con sentenza nr 4740/2015 la CTR di Milano rigettava l’appello proposto dal Comune di Peschiera Borromeo avverso la sentenza della CTP di Milano con cui erano state ridotte al minimo le sanzioni inflitte alle Poste Italiane s.p.a. in relazione all’omessa dichiarazione di un-area edificabile di -mq 78.512,28. Osservava che la mancanza della dichiarazione era spiegabile non già con la volontà di non pagare il tributo quanto con la ritenuta ma erronea sufficienza della dichiarazione di pertinenza dell’area del capannone contenuta negli atti del catasto.
In questa prospettiva evidenziava l’esistenza dell’elemento soggettivo ed oggettivo della pertinenzialità in quanto, da un lato, non era contestato che l’area fosse destinata al servizio del capannone che ospita un centro di smistamento e,dall’altro, che la mancata presentazione della dichiarazione Ici impedisce di ritenere esistente l’elemento soggettivo della pertinenzialità costituito dalla volontà del proprietario di destinare durevolmente la pertinenza ad ornamento del bene principale.
Avverso tale sentenza il Comune di Peschiera Borromeo propone ricorso per cassazione affidato a 5 motivi cui resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..
Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Sostiene che la riduzione della sanzione al minimo sarebbe stata operata dal Giudice in conseguenza della mancata contestazione da parte del Comune della natura pertinenziale dell’area.
La CTR avrebbe comunque omesso di esaminare il fatto che Poste Italiane s.p.a. ha ripetutamente sfruttato l’edificabilità dell’area in questione ampliando il fabbricato con ciò dimostrando che non è mai intervenuta quella ” oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi ad libitum.
Circostanza questa che ove accertata non avrebbe condotto ad applicare la sanzione nel minimo concludendo per la non pertinenzialità dell’area.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett a), dell’art. 817 c.c. e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Critica infatti la decisione impugnata nella parte in cui ha ridotto la sanzione nella misura minima senza tener conto delle ragioni che era state indicate nell’avviso di accertamento ove si erano valorizzate la gravità della violazione e della condotta e la personalità del trasgressore.
Con il terzo motivo il Comune denuncia l’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine al motivo di appello riguardante la recidiva in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Con il quarto motivo il ricorrente ha denunciato la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, commi 1, 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Lamenta in particolare che la CTR avrebbe dovuto rilevare la sussistenza delle condizioni per l’applicazione della recidiva essendo incontestato che la medesima violazione è stata commessa nei cinque anni.
Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Il ricorrente sostiene che il Giudice di appello avrebbe escluso la recidiva ed avrebbe quindi applicato la sanzione nei minimi valorizzando una presunta incertezza normativa non dedotta dalla contribuente.
Le questioni veicolate attraverso i cinque motivi investono il quantum della sanzione che la parte ricorrente ritiene sia stata non correttamente ridotta sulla base di argomentazioni inidonee a giustificare la rideterminazione della misura afflittiva e la mancata applicazione della recidiva fondata nella prospettazione del ricorrente nell’esistenza di altre violazioni della stessa indole commesse nei cinque anni precedenti.
Per quanto riguarda la recidiva (motivo terzo e quarto) va ricordato che tale figura è disciplinata del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3.
La norma, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva: “La sanzione può essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi degli artt. 13, 16 e 17, o in dipendenza di adesione all’accertamento. Sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentano profili di sostanziale identità”.
Nella specie è incontestato che le medesime violazioni fossero state contestate nei tre anni precedenti e la CTR ha ritenuto sussistere il presupposto per l’applicazione della recidiva nella quantificazione della sanzione ICI, senza verificare se le precedenti violazioni fossero state definitivamente accertate o non fossero state oggetto di impugnazione.
Il D.Lgs. cit, art. 12, detta le disposizioni in materia di concorso di violazioni e continuazione. Al proposito, l’art. 12, comma 2, prevedeva che fosse soggetto al cumulo giuridico delle sanzioni “chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo”. La norma ha rimosso il previgente regime del cumulo materiale disponendo l’applicazione della sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio. A differenza dell’art. 81 cpv. c.p., art. 12, comunque ispirato alla disciplina penalistica, non prevede la ricorrenza del medesimo disegno tipico della continuazione di reati, privilegiando invece il profilo oggettivo della vicenda. L’interruzione della continuazione (art. 12, comma 6), preclude l’applicazione del trattamento sanzionatorio di favore previsto dall’art. 12, comma 1, dal momento in cui l’agente abbia avuto contezza della contestazione relativa alla illiceità del comportamento, ossia quando l’amministrazione si sia attivata per comunicare all’autore le verificate violazioni. Di conseguenza, il soggetto potrà beneficiare del cumulo giuridico per tutte le violazioni antecedenti alla comunicazione, tornando invece operante la separata valutazione per quelle successive.
L’art. 12, comma 5, nel testo vigente ratione temporis prevedeva che “Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.
Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate”
Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3, e art. 12, prevedono la compatibilità tra la “recidiva” in materia tributaria e la continuazione.
In particolare tanto l’art. 7, comma 3, che l’art. 12, comma 5, fanno espressamente riferimento a “violazioni della stessa indole” reiterate nel tempo. L’astratta compatibilità tra i due istituti impone di valutare il fondamento della recidiva e della continuazione nel sistema tributario (tanto più alla luce della modifica, in vigore dal 1.1.2016 sebbene non applicabile a questo giudizio ratione temporis, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3, operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha previsto l’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva).
La questione della compatibilità e la contestuale coniugabilità di diversi valori e riferimenti non è dato pretorio, bensì è voluta dalla legge, la quale dunque ha, per criterio interpretativo dogmatico, ben considerato le differenze di struttura ontologica dei due istituti, ovvero la diversa considerazione dei fatti che essi suppongono.
Il cumulo giuridico rappresenta, infatti, un beneficio che discende dalla sostanziale unitarietà della trasgressione; la recidiva, al contrario, punisce con più rigore chi si ostini a commettere consecutivamente la stessa violazione. A dispetto dell’espressione “stessa indole”, usata con disinvoltura dal legislatore all’art. 7 ed all’art. 12, le prospettive dei due istituti sono completamente diverse e non possono essere sovrapposte in maniera acritica.
Ciò trova, del resto, autorevole conferma nella giurisprudenza della Cassazione penale, in parte già richiamata (Cass. 9148/1996; Cass.49658/2014; Cass.21043/2018), secondo cui il trattamento sanzionatorio più mite è giustificato dal minor disvalore sociale associato al reato continuato.
Non appare dirimente, tuttavia, il riferimento al sistema della recidiva penale il quale presuppone, in coerenza con la presunzione di non colpevolezza, un accertamento giudiziale definitivo della responsabilità. Invece l’azione amministrativa per sua natura si fonda sulla presunzione di legittimità del suo atto e su questa la autoritarietà e la esecutività immediata del suo agire organizzativo. In altri termini, le due recidive, al di là delle assonanze logiche dovute all’operare in entrambe del rilievo del precedente, sono predisposte a tutela di diverso valore e di distinti riferimenti costituzionali. Essendo la esecutività dell’atto amministrativo sussistente fino a che esso non venga dichiarato invalido o revocato, e dunque i suoi effetti permanenti nel mondo del diritto fino a quel momento, ed essendo invece la condanna del giudice penale pienamente efficace nei suoi riflessi sostanziali solo a giudicato intervenuto.
Notevoli difficoltà derivano all’interprete, come si è visto dall’utilizzo dell’espressione “stessa indole” sia in tema di recidiva, sia in tema di violazione ultra annuale.
L’art. 7, comma 3, infatti, presenta un’importante differenza rispetto alle norme previgenti sulla recidiva, rispettivamente contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, comma 2, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 49, comma 2: mentre queste ultime configuravano la recidiva nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, fosse incorso in un’altra violazione della stessa indole, per la quale fosse stata inflitta la pena pecuniaria, la nuova norma sembra prescindere dall’intervento di una contestazione o irrogazione tra la prima violazione e le successive.
Ciò assume rilievo ai fini della compatibilità tra recidiva e cumulo giuridico delle sanzioni: se infatti la recidiva non necessitasse di una precedente irrogazione definitiva di sanzioni, essa non sarebbe mai applicabile unitamente alla continuazione la quale, viceversa, è interrotta dalla punizione delle violazioni pregresse.
Se, pertanto, si individuasse il fondamento della recidiva nella reiterazione di una violazione, contestata ma non definitivamente accertata, la compatibilità tra i due istituti non potrebbe essere ritenuta. Lo escluderebbe l’unificazione dovuta al vincolo della continuazione cui sono soggette violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi. L’incompatibilità tra tali istituti sarebbe determinata dalle loro differenti strutture logiche. Infatti l’unicità delle violazioni della stessa indole si contrappone, in via di principio, alla pluralità di violazioni che fungono da presupposto della recidiva.
Se invece si afferma, come ritiene questo Collegio che la recidiva si fonda sulla sussistenza di un precedente accertamento definitivo la preclusione costituita dall’inserimento nella vicenda della continuazione viene meno: il soggetto può ben aver commesso più violazioni della stessa indole ed è in tal caso possibile tener conto contemporaneamente delle valutazioni operate dal legislatore corrispondenti alla continuazione e alla recidiva.
Il compimento di un’altra violazione incarnante il superamento di quel momento di valore rappresentato dall’accertamento giudiziale della violazione (o dalla definitività della stessa per mancata impugnazione) potrà coniugarsi col disvalore proprio della perpetrazione di una ripetuta condotta di violazioni della stessa indole.
Consegue che, per giustificare la recidiva, nel sistema delineato dal del D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 7, comma 3, e art. 12, comma 5, è necessario, quanto alla azione amministrativa e dunque al rilevo fiscale, che la violazione sia stata definitivamente accertata dal Giudice Tributario, ovvero sia divenuta definitiva per la mancata impugnazione della contestazione della violazione (cfr nello stesso senso Cass. 13742/2019).
E dunque necessario verificare ai fini dell’applicazione della recidiva le violazioni antecedenti quella della cui sanzione si controverte risultano definitivamente accertate dal giudice Tributario o siano divenute definitive per mancata impugnazione della contestazione della violazione.
La sentenza sotto questo profilo va cassata alla CTR della Lombardia che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato decidendo anche sulle spese di questa fase e valutando l’eventuale esistenza delle condizioni per l’applicazione dell’istituto della continuazione con riferimento alle pregresse violazioni di cui si è resa responsabile la contribuente ai sensi della L. n. 472 del 1997, art. 12, commi 5 e 6.
Va a quest’ultimo proposito ricordato che questa Corte ha affermato il principio secondo cui “In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, l’istituto della continuazione, sancito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, secondo cui “quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo”, è applicabile anche all’ICI” (V. Cass. n. 18423/2018; 26077 del 30/12/2015; così Sez. 5, Sentenza n. 3265 del 02/03/2012).
Ogni altro profilo oggetto di contestazione resta assorbito.
P.Q.M.
La Corte accoglie nei limiti di cui in motivazione il terzo e quarto motivo di ricorso principale, assorbiti i rimanenti motivi, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione in relazione ai motivi accolti anche per le spese di questa fase Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020