LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10750-2014 proposto da:
V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALCAMO 10, presso lo studio dell’avvocato TULLIO SARAVO, rappresentato e difeso dall’avvocato IGINO MANCINI giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 56/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 05/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2020 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANTSLAO che ha concluso per l’accoglimento del 10 motivo del ricorso, assorbiti i restanti.
FATTI DI CAUSA
1. V.G. proponeva ricorso alla commissione tributaria provinciale di Roma avverso n. 3 avvisi di accertamento Ici, relativi alle annualità 2000-20002, notificati dal Comune di Roma a seguito dell’attribuzione di rendita catastale definitiva con riferimento agli immobili siti nelle stesso Comune in via *****.
Il ricorrente lamentava l’illegittimità dell’operato del Comune di Roma, eccependo che la variazione catastale non gli era stata mai notificata e che pertanto poteva esplicare efficacia solo a partire dall’1/1/2006, anno di notifica degli avvisi di accertamento in questione, con conseguente divieto di ogni applicazione retroattiva.
Si costituiva il Comune di Roma replicando che le rendite in questione erano in atti dal 12.20.1994 e dal 18.06.1997 e quindi a conoscenza del contribuente, chiedeva, pertanto, il rigetto del ricorso.
La Commissione tributaria provinciale di Roma con sentenza n. 266/54/2009 accoglieva il ricorso ritenendo che ai sensi della L. n. 342 del 2000, art. 74, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, gli atti attributivi delle rendite catastali acquistano rilevanza giuridica solo dal momento in cui sono ritualmente notificati.
Avverso detta sentenza proponeva appello l’amministrazione comunale di Roma adducendo la non necessarietà della notifica delle rendite attribuite agli immobili oggetto di accertamento.
Il contribuente non si costituiva in appello.
La CTR, con sentenza n. 6/272013 del 21 gennaio 2013, non notificata, accoglieva l’appello e compensava le spese.
Avverso detta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Il Comune di Roma non si è costituito nel presente giudizio di legittimità. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERAZIONI DI DIRITTO 2. Con il primo motivo motivo del ricorso, il contribuente denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la domanda di appello gli fosse stata ritualmente notificata, benchè non si fosse costituito in giudizio.
3. Con la seconda censura, che reca violazione della L. n. 342 del 2000 ex art. 360 c.p.c., n. 3), si lamenta l’inosservanza della citata legge, art. 74, nonchè della L. n. 504 del 1992, art. 5, norma questa che stabilisce che la rendita acquista valore giuridico a partire dal 10 gennaio 2006 ossia a partire dalla notifica degli avvisi di accertamento impugnati. Argomenta il ricorrente che, a decorrere dall’1.01.2000, si ritengono efficaci gli atti attributivi delle rendite catastali solo a decorrere dalla loro notifica, mentre nella specie, il Comune di Roma aveva richiesto l’ICI per gli anni 2000-2002, di talchè solo da questo momento il contribuente era venuto a conoscenza delle nuove rendite.
4. Con ii terzo mezzo, si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di appello ex art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui si fa riferimento all’applicabilità di rendite catastali afferenti agli anni precedenti al 2000, senza indicare la documentazione concernente detta circostanza.
5. La prima censura è fondata, assorbite le altre.
Dall’esame degli atti processuali risulta che l’appello era stato indirizzato al contribuente, ma l’unica “attestazione” è la ricevuta di ritorno compilata con l’indicazione del destinatario e dell’indirizzo, ma priva di sottoscrizione del V. e dell’incaricato nonchè della descrizione delle operazioni di consegna dell’atto.
La ricevuta priva di sottoscrizione dell’ufficiale postale e del destinatario, non soddisfa i requisiti minimi che potevano far ritenere valida la notifica dell’atto di appello.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, gli elementi costitutivi imprescindibili del procedimento notificatorio vanno individuati, quanto al ricorso per cassazione: a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita: restano, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa. La presenza di detti requisiti, che possono definirsi strutturali, va ritenuta idonea ai fini della riconoscibilità dell’atto come notificazione: essi, cioè, sono sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attività svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge (Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016; Cass. n. 7703/2018).
L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità.
L’inesistenza non è, dunque, in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poichè la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto.
Ne consegue che l’istanza, non valutata dal decidente, con la quale l’appellato chiedeva alla adita Commissione regionale il differimento dell’udienza di trattazione, – domanda che dimostra che il contribuente era venuto a conoscenza dell’atto di appello solo in data 16 gennaio 2012 e, dunque tardivamente – non avrebbe dunque mai potuto, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., sanare l’inesistenza della notificazione dell’atto di appello, giacchè solo le ipotesi di nullità dell’atto sono sanabili per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione tempestiva della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità).
Ciò in quanto, mancando il procedimento notificatorio degli elementi indispensabili, vale a dire la consegna dell’atto, il gravame doveva essere dichiarato inammissibile, non potendosi procedere alla rinnovazione della notificazione con effetto sanante ex tunc (Cass. n. 2142 del 25/01/2019).
Il ricorso va dunque accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dall’amministrazione comunale di Roma.
In considerazione dell’evoluzione del processo di merito, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di lite.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile l’appello proposto dal Comune di Roma;
– compensa le spese del giudizio di merito;
– condanna il Comune di Roma alla refusione delle spese di lite sostenute dal ricorrente che liquida in Euro 510,00, oltre rimborso forfettario ed accessori.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 5 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020