LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16495/2015 proposto da:
RIMINI CALCIO F.C. S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 168, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO STRAZZERI, rappresentata e difesa dall’avvocato MATTIA GRASSANI;
– ricorrente –
contro
C.A., D.D., F.A., FR.AL., I.M., L.C., M.D., N.A.R., P.A., R.P., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 66, presso lo studio dell’avvocato MARIA ILARIA PASQUI, rappresentati e difesi dagli avvocati GIOVANNI CEDRINI, LUCA ZAMAGNI;
– controricorrenti –
e contro
FA.PA., rappresentato e difeso da sè stesso, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MORGAGNI 19, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MARSILI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 214/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/04/2015 R.G.N. 716/2014;
il P.M., ha depositato conclusioni scritte.
RILEVATO
che;
1. la Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 14 aprile 2015, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Rimini Calcio F.C. Srl in liquidazione avverso la pronuncia del Tribunale che aveva respinto l’impugnazione del loco arbitrale intervenuto con alcuni calciatori della società, in contraddittorio anche con il Presidente del collegio arbitrale;
2. in sintesi la Corte, rilevato che “non è in contestazione che quello intervenuto tra le parti sia un arbitrato irrituale”, ha ritenuto che la sentenza pronunciata in unico grado dal Tribunale ai sensi dell’art. 412 ter c.p.c., fosse ricorribile solo per cassazione;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società in liquidazione con unico articolato motivo, cui hanno resistito i controricorrenti in epigrafe nonchè Fa.Pa. con distinti controricorsi;
4. il P.G. ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso;
5. il giorno dell’adunanza pubblica del 28 novembre 2019, nell’interesse della società, è stata depositata in cancelleria “istanza per la dichiarazione di interruzione del procedimento”, con allegata visura camerale, sulla premessa che la Rimini Calcio F.C. srl in liquidazione è stata cancellata, a far data dall’11/2/2019, dal registro delle imprese.
CONSIDERATO
che:
1. in relazione alla richiesta di “interruzione del procedimento” formulata nell’interesse della società, in disparte la sua inammissibilità perchè corredata da documenti il cui elenco non risulta notificato alle altre parti in violazione del disposto di cui dell’art. 372 c.p.c., comma 2, essa comunque trascura di considerare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, al giudizio di cassazione, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non sono applicabili le comuni cause di interruzione previste in via generale dalla legge (tra le altre: Cass. n. 17450 del 2013; Cass. n. 8685 del 2012; Cass. n. 14786 del 2011; Cass. n. 21153 del 2010; Cass. n. 25749 del 2007; Cass. n. 23294 del 2004; Cass. n. 5626 del 2002);
in particolare, di recente è stato ribadito il principio di diritto secondo il quale: “L’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, debitamente comunicata dal suo difensore, non è causa di interruzione del processo” (Cass. n. 2625 del 2018; conf. a Cass. n. 3323 del 2014);
2. ciò posto, l’unico motivo di ricorso denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 412 quater e 808 ter c.p.c.”, sostenendo che “nelle ipotesi di negazione di esistenza della clausola compromissoria, ferma la competenza del Giudice del Lavoro, il lodo è impugnabile nelle forme e modi ordinari, con il doppio grado di giudizio”;
3. il ricorso è privo di fondamento;
premesso che la differenza tra l’arbitrato rituale e quello irrituale – aventi entrambi natura privata – va ravvisata nel fatto che nell’arbitrato rituale, le parti mirano a pervenire ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà (vedi in motivazione, Cass. n. 19182 del 2013; Cass. n. 7574 del 2011; Cass. n. 21585 del 2009), nella specie il lodo di cui si controverte ha natura irrituale secondo quanto accertato dalla Corte territoriale e tale qualificazione non risulta censurata;
inoltre le procedure arbitrali riguardanti controversie di lavoro privato – sia che siano previste dalla legge che dalla contrattazione collettiva o nelle clausole compromissorie inserite nello statuto e nei regolamenti federali delle Federazioni sportive – nonchè quelle concernenti controversie in materia di sanzioni disciplinari nel pubblico impiego contrattualizzato – a decorrere dalla vigenza del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 20, art. 59 bis, operante a far data dalla stipulazione del primo contratto collettivo di settore – salvo che sia diversamente previsto in modo espresso, hanno natura di arbitrato irrituale;
pertanto il loro regime di impugnazione è, quindi, quello di cui all’art. 412 c.p.c., comma 2 quater – nella formulazione anteriore alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 31, comma 8 – secondo cui il lodo è impugnabile, solo per vizi idonei ad inficiare la determinazione arbitrale per alterata o falsa percezione dei fatti o per inosservanza di disposizioni inderogabili di legge o contratti collettivi, in unico grado dinanzi al tribunale giudice del lavoro la cui sentenza è ricorribile in cassazione e l’eventuale impugnazione del lodo proposta erroneamente alla corte di appello è inammissibile trattandosi di incompetenza per grado per la quale non opera il principio in forza del quale la decadenza dall’impugnazione è impedita dalla proposizione del gravame ad un giudice incompetente (Cass. n. 14431 del 2015; Cass. cit. n. 19182 del 2013, Cass. n. 2576 de 2009);
3. conclusivamente il ricorso va rigettato con spese a carico della soccombente società in liquidazione in favore di ciascuna delle parti controricorrenti;
occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 dei 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020