Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11073 del 10/06/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8384/2015 proposto da:

Comune di Ardea, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, alla via P.L. da Palestrina 55, presso lo studio dell’avvocato Mariano Peppino, che lo rappresenta e difende, con procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.E.C.R. s.r.l. – Società Edilizia Commerciale Residenziale – già

S.I.M.P. Immobiliare, in persona del legale rappres. p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Taranto 6, presso lo studio dell’avvocato Altamura Giuseppe, che la rappresenta e difende, con procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè

S.E.C.R. s.r.l. – Società Edilizia Commerciale Residenziale – già

S.I.M.P. Immobiliare, in persona del legale rappres. p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Taranto 6, presso lo studio dell’avvocato Altamura Giuseppe, che la rappresenta e difende, con procura speciale a margine del controricorso;

– ricorrente incidentale –

contro

Comune di Ardea, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, alla via P.L. da Palestrina 55, presso lo studio dell’avvocato Mariano Peppino, che lo rappresenta e difende, con procura speciale a margine del ricorso;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5268/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/02/2020 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

che:

La Simp s.r.l. convenne innanzi al Tribunale di Roma il Comune di Ardea, e sulla premessa che l’ente convenuto aveva disposto l’occupazione d’urgenza di un fondo sua proprietà – su cui erano stati realizzati una scuola e un campo di calcio – senza che fosse stato emanato nei termini di legge il decreto d’esproprio, chiese: la condanna alla riduzione in pristino e al risarcimento dei danni per 5 miliardi di Lire, in ordine alle opere realizzate dal suddetto comune; la condanna alla riduzione in pristino e al risarcimento dei danni; in subordine, il riconoscimento della facoltà di ritenere le opere dietro pagamento del valore dei materiali e del prezzo della manodopera o dell’aumento di valore del fondo; in ulteriore subordine, la condanna al risarcimento dei danni per 10 miliardi di Lire, ovvero al pagamento del doppio del valore dell’area occupata, ovvero ancora al pagamento dell’indennità d’occupazione e al risarcimento dei danni per il mancato godimento del fondo occupato, oltre al valore venale dello stesso fondo.

Con sentenza del 30.4.2003, il Tribunale condannò il Comune di Ardea al pagamento della somma di Euro 620.000,00 a titolo di risarcimento dei danni determinati dall’occupazione appropriativa a seguito della irreversibile trasformazione delle aree occupate, escludendo invece la sussistenza dell’occupazione usurpativa essendo state ultimate le opere pubbliche entro il limite d’efficacia dell’occupazione d’urgenza come prorogata per L. 6 maggio 1994. In particolare, il Tribunale ritenne che il valore del bene trasformato, ai fini risarcitori, era da determinare sulla base del valore agricolo attesa la destinazione a verde pubblico, disattendendo la c.t.u. che invece aveva assunto la natura edificatoria dell’area.

Avverso tale sentenza propose appello la S.i.m.p. s.r.l.; resisteva il Comune di Ardea.

Con sentenza emessa il 2.9.14, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò il Comune al pagamento della somma di Euro 275.205,00 oltre interessi a titolo d’indennità d’occupazione legittima, rilevando che: premesso che non era contestato l’effetto acquisitivo determinato dall’occupazione appropriativa, l’appellante aveva chiesto la condanna al pagamento dell’indennità di occupazione legittima sulla base della maggiore superficie di mq 61350 accertata dal c.t.u., per Euro 443.585,00 con domanda ammissibile in quanto era applicabile l’art. 184 c.p.c., vecchio rito.

Il Comune di Ardea ricorre in cassazione con unico motivo.

Resiste la S.e.c.r s.r.l. (subentrata alla S.i.m.p.) con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, illustrati con memoria.

RITENUTO

che:

L’unico motivo del ricorso principale denunzia la violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la domanda relativa all’indennità di occupazione legittima, poichè introdotta in secondo grado, con l’atto d’appello, innanzi al giudice funzionalmente competente, era da considerare tardiva in quanto proposta all’udienza di precisazione delle conclusioni, in applicazione dell’art. 184 c.p.c. nella versione riformata dalla L. n. 353 del 1990, applicabile ai giudizi introdotti dopo il 30.4.1995.

L’unico motivo del ricorso incidentale denunzia l’omessa pronuncia sulla domanda di rivalutazione monetaria della somma dovuta per l’indennità d’occupazione legittima, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1224 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il motivo del ricorso principale è infondato, in quanto la domanda di pagamento dell’indennità d’occupazione legittima – sulla quale era funzionalmente competente la Corte d’appello – fu formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di secondo grado, svoltosi a seguito di riassunzione del giudizio introdotto con citazione notificata prima del 30.4.95 avente ad oggetto le domande di risarcimento dei danni per occupazione appropriativa e riduzione in pristino del fondo occupato.

Pertanto, come affermato nella sentenza impugnata, la domanda di pagamento dell’indennità d’occupazione legittima fu introdotta nell’ambito del giudizio innanzi alla Corte d’appello, in virtù delle norme transitorie degli artt. 183 e 184, nella versione anteriore alla riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, applicabile ratione temporis, da cui consegue la legittimità della nuova domanda all’udienza di precisazione delle conclusioni.

L’unico motivo del ricorso incidentale è infondato. Premesso che effettivamente dalla sentenza impugnata emerge che la Corte d’appello non ha pronunciato sulla domanda di rivalutazione monetaria, la doglianza non ha pregio. Invero, in virtù della giurisprudenza di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., n. 24155/17). Nel caso concreto, a fronte della richiesta di rivalutazione formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni, genericamente riferita cumulativamente sia alla domanda risarcitoria che a quella indennitaria, la Corte territoriale, nell’esaminare distintamente le due domande, correttamente non ha riconosciuto la rivalutazione in ordine alla somma liquidata a titolo d’indennità, ritenendo di riconoscerla per la sola istanza risarcitoria. Al riguardo, giova rilevare, che per giurisprudenza consolidata, l’indennità d’occupazione, diversamente dal risarcimento liquidato, costituisce debito di valuta e non di valore (Cass., n. 22923/13; n. 20178/17; n. 13456/11).

Va altresì osservato che, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass., n, 16171/17; n. 4522/16).

In conformità di tale principio, va comunque affermata l’infondatezza della questione di diritto oggetto del motivo del ricorso incidentale, atteso che il credito per l’indennità d’occupazione legittima configura debito di valuta, insuscettibile di rivalutazione monetaria.

Tenuto conto del rigetto di entrambi i ricorsi, le spese del giudizio vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del comune ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472