Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.11100 del 10/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23353/2018 proposto da:

COMUNE SASSARI, in persona del Sindaco e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO TURATI 86, presso lo studio dell’avvocato MARCO NESOTI, rappresentata e difesa dagli avvocati SIMONETTA PAGLIAZZO, PIERFRANCESCO CUBEDDU, MARIA IDA RINALDI;

– ricorrente –

contro

ENEL SOLE SRL, in persona dell’Avv. P.S. in qualità di procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 51, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CARDI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 180/2018 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato PIERFRANCESCO CUBEDDU;

udito l’Avvocato MARCELLO CARDI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Comune di Sassari ricorre, affidandosi a cinque motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello che, riformando la pronuncia di rigetto del Tribunale, aveva accolto la domanda della Enel Sole Srl, cessionaria del ramo d’azienda di Enel Spa, volta ad ottenere la restituzione dei pali luminosi del centro urbano a seguito di scadenza della convenzione novennale d’uso stipulata il 31.1.1992, nonchè il risarcimento del danno per il loro mancato pluriennale utilizzo.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, la società aveva chiesto, deducendo una pregressa trattativa per l’acquisto da parte dell’ente locale, non andata a buon fine, la riconsegna dei numerosi impianti di illuminazione presenti nella città, assumendo che i beni de quo erano di natura privata e che non era stata mai rinnovata la convenzione che avrebbe consentito al Comune di protrarne l’uso.

2. La parte intimata ha resistito con controricorso e memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’appello incidentale proposto in relazione statuizione, in tesi erronea, che aveva ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario.

1.1. Con il secondo motivo, si reitera la censura ove la motivazione della Corte avesse implicitamente respinto il motivo proposto.

1.2. Entrambe le censure sono infondate.

La Corte, infatti, ha dato atto dell’appello incidentale (pag. 4 della sentenza) e lo ha implicitamente respinto laddove ha affermato che l’oggetto della controversia non riguardava il servizio pubblico di energia elettrica ma la restituzione dei pali necessari per diffonderlo, di cui veniva accertata la natura di beni privati.

1.3. La stessa motivazione, corretta e logica, già adottata dal giudice di primo grado, va condivisa: la censura pertanto deve essere respinta.

2. Con il terzo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione logica, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

a. la violazione dell’art. 830 c.c., comma 2 e dell’art. 118 Cost..

b. la violazione dell’art. 826 c.c., comma 3 e dell’art. 828 c.c., comma 2.

2.1. La quarta censura rappresenta l’antecedente logico della terza: con essa si assume che le vicende societarie dell’ENEL e cioè la privatizzazione dell’ente, trasformato in una società per azioni che aveva successivamente ceduto l’azienda all’odierna controricorrente, non abbia avuto alcun rilievo in relazione al mutamento del regime di appartenenza dei beni necessari per l’erogazione del pubblico servizio di energia elettrica (fra cui sono ricompresi i pali della luce, oggetto della controversia in esame).

2.2. La ricorrente assume inoltre che l’Enel, all’epoca della firma della convenzione, era un ente pubblico che aveva finanziato la realizzazione dei beni – oggetto delle pretese restitutorie e risarcitorie – destinati al pubblico servizio, ossia all’illuminazione delle strade: non era pertanto ipotizzabile, in tesi, che mutato il regime giuridico dell’ente proprietario, trasformato in società per azioni, mutasse automaticamente la natura dei beni che gli appartenevano, trattandosi, oltretutto, di un ente a totale partecipazione pubblica.

2.3. Entrambi i motivi sono infondati.

Il ricorrente deduce, in primis, il vizio di violazione di legge per erronea interpretazione dell’art. 830 c.c.: omette, tuttavia, di considerare che l’art. 828 c.c., comma 2, cui rinvia l’art. 830 c.c., invocato, presuppone che i beni contestati rientrino nel patrimonio indisponibile dello Stato in quanto appartenenti agli enti pubblici.

2.4. Tale presupposto è stato motivatamente smentito dalla Corte che ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 828 c.c., comma 2 e del regime con esso previsto per il patrimonio indisponibile dello Stato, argomentando in ordine alle emergenze processuali fondate su:

a. la cessione d’azienda nell’ambito del processo di privatizzazione e sulla natura di società privata della Enel Sole Srl;

b. la circostanza che i pali della luce erano solo uno strumento per erogare l’energia elettrica, erogazione che, soltanto, costituiva “servizio pubblico”;

c. il fatto che i pali erano stati oggetto di una pregressa concessione dell’Enel della durata limitata di nove anni;

d. infine, la condotta delle parti rispetto alla quale sono state plausibilmente valorizzate alcune circostanze quali la trattativa per l’acquisto e l’ordine di rimozione dei pali non più funzionanti emesso nei confronti della società, sul presupposto che essi fossero di sua proprietà.

2.5. In buona sostanza, l’assenza del requisito soggettivo della destinazione dei beni al pubblico servizio da parte del titolare di esso non consente di ritenere che possano far parte del patrimonio indisponibile del Comune: non risulta infatti prevista ex lege l’automatica acquisizione degli impianti dell’Enel, originario ente pubblico concedente che, invece, a seguito del processo di privatizzazione, li ha ceduti dapprima alla Enel Spa che li ha, a suo volta, trasferiti alla Enel Sole srl.

2.6. Al riguardo, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui “affinchè un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili in quanto destinati ad un pubblico servizio, ai sensi dell’art. 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo ed oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio, per cui non è sufficiente la semplice previsione dello strumento urbanistico circa la destinazione di un’area alla realizzazione di una finalità di interesse pubblico. In difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta ad un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del “nomen iuris” che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene ad inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario. (cfr. Cass. SUU 14865/2006; Cass. SUU 6019/2016 ed, in termini, Cass. 1868/2018) 2.7. Va inoltre precisato che la cessione di azienda attraverso la quale l’ente pubblico ha assunto le forme e lo statuto giuridico di una società privata non può intendersi come “operazione neutra” in quanto la società per azioni cessionaria soggiace a regole diverse da quelle precedentemente vigenti: ciò, con tutta evidenza, ha condizionato anche la condotta del Comune che, infatti, ha portato avanti la trattativa per l’acquisto e che ha emesso nei confronti della società un ordine di rimozione dei pali non più funzionanti incompatibile con un regime pubblicistico di identificazione fra il servizio e la struttura preposta alla sua erogazione.

2.8. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi sopra richiamati e valutato le condotte sopra sintetizzate, giungendo alla motivata conclusione che dovesse escludersi che i beni potessero ritenersi acquisiti al patrimonio indisponibile dello Stato e soggiacessero pertanto alle norme invocate.

Le censure proposte, pertanto, devono essere respinte.

3. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2967 c.c., in relazione alla assenza di presupposti e di prova per il risarcimento del danno.

3.1. Assume che la pronuncia era errata nella parte in cui aveva riconosciuto il ristoro del pregiudizio per il mancato utilizzo dei pali della luce laddove era stato esclusa, anche dal TAR Sardegna, la possibilità che la società potesse divenire affidataria diretta del servizio.

3.2. Lamenta inoltre che il CTU nominato per la quantificazione del danno aveva utilizzato documenti non prodotti ritualmente dalle parti in causa con ciò sollevando impropriamente la parte attrice dall’onere della prova, sancito dall’art. 2967 c.c..

3.3. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

3.4. E’ infondato in quanto il danno è stato ravvisato nel mancato utilizzo dei beni (privati e non restituiti) conseguenti al mancato rinnovo della convenzione d’uso, scaduta nel 2001 alla quale non era seguita la restituzione dei pali della luce, divenuti, a seguito della cessione d’azienda, beni privati: la statuizione della Corte è fondata, in relazione a tale profilo, su una motivazione logica e plausibile, aderente ai presupposti di cui all’art. 2043 c.c., rispetto alla quale la pronuncia del TAR Sardegna che ha escluso che l’Enel Sole Srl (già S.O.L.E. Spa) potesse diventare affidataria diretta del servizio risulta del tutto inconferente al fine di escludere la sussistenza del danno, desumibile dalla mancata restituzione dei pali, strumentali all’esercizio di illuminazione pubblica in un regime privatizzato e, conseguentemente, fonti di possibile reddito economicamente valutabile.

3.5. Ma la censura presenta anche un profilo di inammissibilità nella parte in cui critica l’operato del CTU che avrebbe, in tesi, sollevato la parte attrice dall’onere della prova: l’accertamento tecnico disposto rientra, infatti, nel potere insindacabile del giudice di merito non essendo un mezzo di prova ma un atto istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al suo prudente apprezzamento che include anche il potere discrezionale di disporre a nomina del consulente anche al fine di determinare in via equitativa l’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno (cfr. Cass. 15219/2007; Cass.9461/2010; Cass. 25253/2019).

3.6. E, al riguardo, vale solo la pena di rilevare che, nel caso in esame, la CTU ha indicato esattamente i criteri adottati, chiaramente esplicitati, in termini adesivi, nella motivazione della sentenza che, pertanto, risulta incensurabile in parte qua.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Il difforme esito dei giudizi di merito e la novità della controversia rende opportuna la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Spese del giudizio di legittimità compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’udienza, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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