LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Angelo Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 7440/2019 proposto da:
E.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Lucia Paolinelli, come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con la stessa elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv. Enrica Inghilleri;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di ANCONA n. 1502/2018, pubblicata in data 19 luglio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2020 dal Consigliere CARADONNA Lunella;
FATTI DI CAUSA
1. E.D., nato in *****, ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 2 agosto 2017, che, al pari della Commissione territoriale competente, aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o umanitaria.
2. Il richiedente ha dichiarato di esercitare l’attività di pastore evangelico nella città di *****, e di temere di essere vittima di attentati terroristici riconducibili al gruppo di *****.
3. La Corte di appello di Ancona ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocate, sulla base delle dichiarazioni del richiedente giudicate non credibili, della mancanza di un effettivo rischio nell’ipotesi di rientro nel Paese d’origine alla luce della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza e dell’assenza di lesioni di diritti umani.
4. E.D. ricorre in cassazione con due motivi.
5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo E.D. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 (A) della Convenzione di Ginevra; dell’art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5; il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; art. 8, comma 3; il D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 11 e 32. Vizio di motivazione in relazione alla statuizione di non credibilità del racconto del richiedente.
Ad avviso del ricorrente non si rinviene nello sviluppo argomentativo della decisione impugnata il corretto esame dei parametri normativi di credibilità del racconto del richiedente, non applicano correttamente il principio secondo cui la credibilità soggettiva del richiedente non è frutto di soggettivistiche opinioni, ma va svolto alla stregua dei criteri stabiliti al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.
1.1 Il motivo è inammissibile.
Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte distrettuale, condividendo le motivazioni del primo Giudice, ha ritenuto la versione dei fatti portata dal richiedente non attendibile e carente di riscontri in ordine alla veridicità del racconto, oltre che non circostanziata e contraddittoria e che nemmeno nella fase si gravame il richiedente aveva colmato le lacune di genericità e spiegato le contraddizioni evidenziate in primo grado e perchè non si era rivolto alle autorità locali per segnalare l’aggressione e le persecuzioni subite.
Tanto premesso, questa Corte, in materia di protezione internazionale, ha affermato che “D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142).
Nel caso di specie la decisione censurata ha valutato, seppure in modo sintetico, ma non apodittico, le dichiarazioni rese dal ricorrente, rilevando la sussistenza di contraddizioni nel racconto e giungendo ad una valutazione complessiva di non credibilità, fondata su un controllo di logicità del racconto del richiedente (pagine 11 e 12 della sentenza impugnata).
Peraltro la valutazione compiuta dal giudice del merito al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.
Il motivo, sotto lo specifico profilo esaminato, è quindi infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal collegio giudicante e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).
1.3 Per quel che concerne la protezione sussidiaria erra, poi, l’istante a dolersi della mancata spendita, da parte dei giudici del merito, dei doveri di cooperazione istruttoria contemplati in tema di protezione internazionale.
La Corte di appello, dopo avere premesso che non risultava attendibile il racconto del richiedente circa la sua provenienza da una delle zone finora interessate da atti di terrorismo di particolare rilevanza, ha dato atto che, in base a quanto documentato dal report 2016/2017 di Amnesty International, otre che le informazioni reperibili sul sito istituzionale della ***** e i recenti resoconti sul paese a cura dell’UNHCR, (pag. 20), nelle altre zone della Nigeria non era riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata e diffusa sebbene sia raccomandato di tenere un adeguato livello di vigilanza.
Deve peraltro sottolinearsi che l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui all’art. 14, lett. c) citato, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, sicchè non può essere rivalutato in questa sede, con l’impugnazione proposta, il giudizio espresso dalla Corte di appello sulla scorta delle informazioni da essa acquisite (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 21 novembre 2018, n. 30105).
Va inoltre ricordato, in proposito, che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente, che è prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).
Anche le domande aventi ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato politico e di protezione sussidiaria ex art. 14 cit., lett. a) e b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, sono state dunque correttamente disattese.
2. Con il secondo motivo E.D. lamenta la violazione e falsa applicazione della legge nazionale e sovranazionale inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 6 e 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; dell’art. 3 CEDU e art. 10 Cost.; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria del richiedente. Ad avviso del ricorrente la Corte non aveva motivato sull’effettivo radicamento del richiedente, in Italia da oltre nove anni, che aveva appreso la lingua ed era pastore della chiesa pentecostale “Gate of Heaven”.
2.1 Il motivo è fondato.
La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre stuazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass., 9 ottobre 2017, n. 23604).
Inoltre, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, ma è necessario che l’accertamento sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti. (Cass., 12 novembre 2018, n. 28990).
E ciò secondo l’orientamento di questa Corte secondo cui il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455; Cass. 15 maggio 2019, n. 13079; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).
La Corte territoriale al riguardo è incorsa in motivazione apparente, non pertinente alle allegazioni, anche di natura documentale, del richiedente, affermando: “Nè rilevano, in siffatto ambito, le buone prospettive di integrazione in Italia, in mancanza del diritto di soggiornarvi”.
La motivazione è, quindi, fondata su una mera formula di stile, riferibile a qualunque controversia, disancorata dalla fattispecie concreta e sprovvista di riferimenti specifici, del tutto inidonea dunque a rivelare la “ratio decidendi” e ad evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimità (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
3. In conclusione la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020