LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11455-2019 proposto da:
O.J., rappresentato e difeso dall’avvocato IACOPO CASINI ROPA e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2958/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 13/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2020 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.
FATTI DI CAUSA
La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.
Il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso avverso il predetto provvedimento di rigetto.
Interponeva appello avverso detta decisione O.J. e la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza impugnata n. 2958/2018, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto O.J. affidandosi a quattro motivi.
Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 modificato dal D.L. n. 113 del 2018, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, nonchè il vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di verificare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi speciali.
La censura è inammissibile.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire il principio secondo cui la normativa introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 32 del 2018, si applica soltanto alle domande di riconoscimento della protezione, internazionale e umanitaria, presentate successivamente alla sua entrata in vigore (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062). La doglianza va, quindi, considerata ai sensi della disciplina previgente alla riforma del 2018, poichè i nuovi permessi speciali tipizzati da quest’ultima corrispondono ad alcune delle ipotesi già considerate tutelabili nell’ambito della protezione umanitaria prevista dal D.Lgs n. 286 del 1998, art. 5. Sotto tale profilo, tuttavia, essa difetta della necessaria specificità, posto che il ricorrente nulla deduce in relazione alla sussistenza di alcuna delle diverse ipotesi di vulnerabilità ritenute idonee a giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1A della Convenzione di Ginevra, 3 e ss. del D.Lgs. n. 251 del 2007, e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, nonchè il vizio di motivazione, perchè il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento dello status di rifugiato.
La censura è infondata.
La Corte territoriale ha infatti ritenuto che la storia narrata dal richiedente evidenziasse che la motivazione reale dell’espatrio fosse di natura economica (cfr. ultima pagina della sentenza impugnata). Il motivo in esame non contrappone a tale pur succinta motivazione alcun elemento concreto idoneo a consentire un diverso apprezzamento della narrazione personale dell’ O., essendosi costui limitato a richiamare genericamente quanto riferito in sede di audizione, senza evidenziare alcun profilo sulla cui base il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare una differente motivazione all’origine della decisione del richiedente di abbandonare il suo Paese di origine. Il riferimento alla “… propria vicenda personale, iniziata con la morte del padre, del fratello e nel 2012 anche della propria madre, il periodo di vita trascorso con l’uomo ***** di nome A. presso il quale la madre defunta lavorava, sino al momento in cui quest’ultimo veniva ucciso nei campi che coltivava, il suo tentato rapimento e l’esigenza di fuggire dalla Nigeria, sino al trasferimento in Libia e violenze ivi subite” (cfr. pag. 4 del ricorso) non è sufficiente infatti a consentire a questa Corte di apprezzare le effettive motivazioni a fondamento dell’espatrio, essendosi in ultima analisi il ricorrente limitato a fornire un riassunto generico della propria narrazione, risolventesi nella mera successione di una serie di eventi apparentemente tra loro slegati, senza indicare alcun nesso logico in funzione del quale poter ricostruire il senso ultimo della storia effettivamente narrata. Nè, d’altro canto, è consentito al Collegio il diretto esame della documentazione allegata agli atti del giudizio di merito, non venendo in rilievo un vizio di natura processuale e non potendo essere superati i criteri di necessaria specificità del ricorso in Cassazione.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta invece la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte anconetana avrebbe omesso di riconoscere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione alle effettive condizioni interne del proprio Paese di provenienza, svolgendo un esame officioso generico e carente.
La censura è fondata.
La sentenza impugnata non reca alcuna indicazione di fonti informative sul Paese di origine del richiedente ma si limita ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto “Non v’è chi non veda come nella fattispecie siamo fuori da detti presupposti” (cfr. pag. 3).
L’indagine officiosa condotta dalla Corte territoriale circa la condizione interna della Nigeria è quindi del tutto assente. In proposito, va data continuità al principio secondo cui è onere del giudice di merito indicare in modo puntuale le fonti consultate e le informazioni specifiche tratte da essa. Sul punto questa Corte ha affermato, con le ordinanze n. 13449/2019, n. 13450/2019, n. 13451/2019 e n. 13452/2019, la prima delle quali massimata (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv.653887) il principio per cui il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (sul punto, cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, non massimata).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28990 del 12/11/2018, Rv. 651579; Cass. Sez. 6-1 Ordinanza n. 17075 del 28/06/2018, Rv. 649790; Cass. Sez. 6-1 Ordinanza n. 17069 del 28/06/2018, Rv.649647; Cass. Sez. 6-1 Ordinanza n. 9427 del 17/04/2018, Rv.648961; Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 14998 del 16/07/2015, Rv. 636559; Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 7333 del 10/04/2015, Rv. 634949; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728; Cass. Sez. U, Sentenza n. 27310 del 17/11/2008, Rv. 605498).
Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e quindi “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.
Ne deriva l’insufficienza del generico riferimento operato dalla Corte territoriale alle “informazioni rinvenibili sui sito internazionali e di informazione on-line” perchè non idoneo a specificare quale fonte, in concreto, è stata utilizzata dal giudice di merito e quindi non sufficiente ad assicurare il controllo sull’attendibilità di essa e soprattutto sulla sua effettiva ricomprensione nel novero di quelle previste dal richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.
Peraltro va ribadito che, fermo il dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la normativa in tema di protezione internazionale “… pone a carco dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti. In particolare, deve ritenersi necessario l’approfondimento istruttorio officioso allorquando il richiedente descriva una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica che derivi da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali: ciò proprio al fine di verificare il grado di diffusione ed impunità dei comportamenti violenti descritti e la risposta delle autorità statuali”(Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 7333 del 10/04/2015, Rv. 634949). E’ quindi onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro grado di aggiornamento.
In proposito, va anche ribadito che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici Senza Frontiere), che assai di frequente contengono informazioni dettagliate e aggiornate, spesso desunte dall’attività di assistenza e sostegno alla popolazione locale che le predette associazioni svolgono direttamente sul territorio.
L’accoglimento del terzo motivo implica l’assorbimento del quarto, con il quale il ricorrente censura l’erroneo diniego della protezione umanitaria. La decisione impugnata va di conseguenza cassata in relazione alla censura accolta e la causa rinviata alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo, accoglie il terzo e dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 27 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020