LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11298/2019 proposto da:
B.A., elettivamente domiciliato Roma presso la Corte di cassazione, difeso dall’avvocato Carotta Michele;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno *****;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il 21/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2020 da DI MARZIO MAURO.
FATTI DI CAUSA
B.A. ricorre per quattro mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 21 febbraio 2019, con cui il Tribunale di Venezia ha respinto, in conformità alla decisione della competente Commissione territoriale, la sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.
Non spiega difese l’amministrazione intimata, nessun rilievo potendosi a scrivere ad un “atto di costituzione” depositato in vista dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo mezzo denuncia nullità ed erroneità del decreto impugnato in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di riconoscimento dello status di rifugiato.
Il secondo mezzo denuncia nullità del decreto impugnato ex art. 360 c.p.c., n. 3 per utilizzo criteri erronei e/o illegittimi per valutare l’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente.
Il terzo mezzo denuncia nullità del decreto impugnato ex art. 360 c.p.c., n. 5, per utilizzo criteri erronei e/o illegittimi nella valutazione dei fatti rappresentati nella documentazione e nelle dichiarazioni rese dal richiedente.
Il quarto mezzo denuncia difetto sostanziale assoluto di motivazione del decreto impugnato.
Il ricorso è inammissibile.
Stabilisce l’art. 366 c.p.c., n. 3, che il ricorso per cassazione debba contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa.
Nel caso in esame una comprensibile esposizione sommaria dei fatti di causa è totalmente carente.
A pagina 2 del ricorso il ricorrente dedica poche righe alla narrazione della propria vicenda assumendo di avere lasciato il Bangladesh a causa delle precarie condizioni economiche, il padre era malato ed egli temeva di non poter provvedere alle cure e al pagamento degli studi dei fratelli. Niente di più, ed assolutamente nulla che permetta di comprendere attraverso quale ragionamento una situazione di povertà potrebbe integrare gli estremi per il riconoscimento della protezione internazionale e di quella sussidiaria. Dopo di che, non si sa che cosa B.A. abbia dichiarato in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale, come pure si ignora quale attività abbia compiuto la Commissione. Non è dato sapere inoltre quale fosse il contenuto del ricorso proposto al Tribunale, quale l’attività svolta da quest’ultimo, e quali le motivazioni della decisione adottata.
In ogni caso il primo motivo è inammissibile perchè totalmente incomprensibile. Il ricorrente difatti addebita al Tribunale di aver disapplicato i principi che governano l’onere probatorio in tema di riconoscimento dello status di rifugiato: ma non v’è modo per la Corte di comprendere come tale disapplicazione possa mai avere avuto luogo, visto che il motivo non contiene neppure un accenno alle ragioni che avrebbero dovuto condurre a tale riconoscimento. Si esprimono poi “seri dubbi interpretativi circa la correttezza giuridica di suddetta espressione”, ossia dell’espressione “natura prettamente economica”, utilizzata dal Tribunale per descrivere le ragioni che avevano mosso il richiedente all’allontanamento dal suo Paese: ma a parte il fatto che il ricorso per cassazione non è previsto per esprimere dubbi interpretativi, seri o meno che siano, ma per formulare censure tassativamente riconducibili alle cinque ipotesi considerate dall’art. 360 c.p.c., non è dato comprendere come altro avrebbe dovuto il Tribunale, e perchè, riassumere la condizione di B.A., il quale, per quanto si riferisce il ricorso, si è allontanato dal Bangladesh in ragione delle “precarie condizioni economiche che viveva in Patria”. Piuttosto, avrebbe dovuto il ricorrente spiegare attraverso quale ragionamento giuridico tali precarie condizioni economiche potessero condurre addirittura al riconoscimento dello status di rifugiato, status spettante, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, al cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza. Ancora nel corpo della censura si assume che il Tribunale non avrebbe esaminato “il contesto sociale e culturale del paese di origine del richiedente”, ma a quale scopo non si sa.
Il secondo motivo è inammissibile.
Si tratta di una censura che muove dalla radicale incomprensione del significato, pur chiarissimo, del provvedimento impugnato. Il ricorrente trascrive, alle pagine 7-8 del ricorso, il segmento di motivazione nel quale il Tribunale evidenzia che le ragioni di natura prettamente economica che avevano spinto B.A. a lasciare il suo paese non integravano i presupposti normativamente previsti, e di cui si è già detto, per i fini del riconoscimento della protezione internazionale: ed intende tale pur piana motivazione nel senso che “non par dubbio che la decisione muove dalla pretesa inattendibilità del richiedente”.
Ma non è così: il Tribunale non ha affatto posto in dubbio che il richiedente versasse in precarie condizioni economiche, ma ha detto con tutta chiarezza che le precarie condizioni economiche non costituiscono presupposto per il riconoscimento della protezione internazionale richiesta.
Il motivo è dunque inammissibile perchè contrasta una ratio decidendi che nel provvedimento impugnato non c’è, e non contrasta invece quella reale.
Il terzo motivo è inammissibile perchè si colloca completamente al di fuori della previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il quale consente di denunciare l’omessa considerazione di un fatto storico decisivo e controverso, fatto del quale nel ricorso non vi è alcuna menzione.
Inoltre il motivo assortisce temi totalmente eterogenei, quali quello del “danno grave”, che è presupposto della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14), e quello dei “gravi motivi di carattere umanitario”: ma non spiega nè perchè il richiedente dovrebbe avere l’una protezione, nè perchè dovrebbe avere l’altra, nel più totale difetto di un qualsiasi accenno non solo le condizioni del paese di provenienza, ma anche alle sue condizioni individuali di vulnerabilità.
Il quarto motivo è inammissibile.
Esso dice infatti che il decreto sarebbe privo di motivazione, ma manca totalmente di prenderne in considerazione il contenuto che si protrae per 11 pagine alle quali il ricorso non riserva alcuna analisi.
3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020