LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18970-2019 proposto da:
Z.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALDO MARIA ROLFO;
– ricorrente –
contro
PUBBLICO MINISTERO, PRESSO IL TRIBUNALE DI ANCONA;
– intimato –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 11/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA SCALIA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Z.A. ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria, avverso il decreto del Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, pubblicato in data 11 maggio 2019, con cui è stato rigettato il ricorso dal primo proposto ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, avverso il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.
2. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di una eventuale sua partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
3. Con il primo motivo il ricorrente solleva a dubbio di incostituzionalità ai sensi della L. n. 46 del 2017, art. 35-bis, sub 13, in relazione agli artt. 10, 24 e 111 Cost..
Il nuovo sistema introdotto dall’indicata normativa applicabile ai procedimenti introdotti a far data dal 17 agosto 2017 non garantirebbe il diritto di difesa e del giusto processo e renderebbe difficoltoso allo straniero il far valere le circostanze di fatto di piena tutela delle posizioni. Il giudizio di primo grado si svolgerebbe nelle forme camerali e non partecipate con esclusione del grado di appello, con riduzione del termine per ricorrere in cassazione da sessanta a trenta giorni; il provvedimento delle competenti Commissioni territoriali non sarebbe sospendibile fino al giudizio in cassazione; l’incerta applicabilità della sospensione per le cdd. “ferie giudiziarie” avrebbe compresso il diritto di difesa insieme alla videoregistrazione che, utilizzata dai giudici di merito, avrebbe impedito l’ingresso della “parola viva” del richiedente nella fase giurisdizionale.
La dedotta questione è manifestamente infondata per tutte le sue articolazioni.
Valgano in tal senso i principi affermati da questa Corte di legittimità, dalla cui condivisa ragionevolezza il motivo non offre argomenti per discostarsi: sul rito camerale e l’idoneità dello stesso a dare realizzazione al diritto di difesa ed al giusto processo (Cass. n. 17717 del 05/07/2018), “poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte”; sulla disciplina della sospensione del provvedimento delle competenti Commissioni territoriali impugnato (Cass. n. 32319 del 13/12/2018) “non essendo desumibile dal sistema costituzionale nè dalla legislazione ordinaria, l’asserita necessità della sospensione automatica dell’efficacia esecutiva del provvedimento giurisdizionale in pendenza del giudizio d’impugnazione, ed operando l’art. 33 bis cit. in un sistema speciale, qual è quello della “politica nazionale in tema di immigrazione”, nel quale il legislatore ordinario ha un’ampia discrezionalità, come la ha nella disciplina degli istituti processuali, dove vi è l’esigenza di celere attuazione delle decisioni giurisdizionali”; sul venir meno nella novellata disciplina del giudizio sul riconoscimento della protezione internazionale e minore, del doppio grado del giudizio (Cass. n. 27700 del 30/10/2018), nel rilievo che “non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione”; sul termine di trenta giorni per impugnare, ancora nel rilievo che “la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento” (Cass. n. 17717 del 05/07/2018).
Gli ulteriori profili di illegittimità sono generici e quello relativo alla videoregistrazione è, ancora, manifestamente infondato; la fissazione dell’udienza partecipata integra infatti il limite il cui superamento soltanto rende nullo il provvedimento adottato dal giudice del merito (vd. Cass. n. 17717 cit. sulla violazione del contraddittorio).
Sulla questione della sospensione durante il periodo feriale (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 14, come novellato dal D.L. n. 13 del 2017 e legge conv.) la deduzione è generica e perplessa quanto alla sua incidenza sul diritto di difesa (“la dubbia applicabilità del periodo di sospensione per le ferie giudiziarie”, p. 3 ricorso) perchè questa Corte possa poi interrogarsi sulla illegittimità costituzionale; la questione è comunque non rilevante nella specie in cui il ricorso dinanzi al tribunale è stato depositato il 15.10.2018.
4. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Il motivo si presta ad una valutazione di inammissibilità per plurime ragioni.
Il motivo non rispetta il principio dell’autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per omessa allegazione delle violazioni nel giudizio di merito e prospetta una questione in fatto non riconducibile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, là dove il ricorrente fa valere una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia per fatti non indicati (Cass. n. 24035 del 03/10/2018).
5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e quindi dell’obbligo di cooperazione istruttoria che il giudice del merito è chiamato a svolgere su fonti aggiornate sulla situazione “rischio paese” legittimante il riconoscimento della protezione sussidiaria e sulla protezione umanitaria (art. 14, lett. c) D.Lgs. n. 251 del 2007; art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6) e la nullità della sentenza per motivazione mancante, contraddittoria e/o apparente anche in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
6. Il motivo è manifestamente fondato.
6.1. Il Tribunale di Ancona nello scrutinare la situazione del Paese di origine del richiedente, il Burkina Faso, ne ritiene infatti la stabilizzazione per un quadro che non risulta definito in modo univoco, oltre che aggiornato al momento della decisione, e tanto anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
Il tribunale, dopo aver riferito dell’elezione nel novembre 2015 del Presidente K. e del controllo mantenuto a far data da quell’evento dalle autorità civili sulle forze di sicurezza, attraverso la creazione di un esercito regolare, e dopo avere richiamato l’attività svolta dal governo burkinabe nel 2017 anche nel campo dei diritti umani, ha dato atto dell’esistenza nel 2018: di attacchi terroristici in tutto il paese, causa di “dozzine di morti, in particolare di personale della sicurezza e funzionari del governo locale, rapimenti e lo portamento di civili”; a maggio della chiusura forzata di oltre 473 scuole, nonchè di iniziative di presunti appartenenti “in qualche modo ad organizzazioni estremiste violente”; di conseguenti “attacchi alle forze di sicurezza durante il 2018” ed ancora al “quartier generale dell’esercito nazionale e l’ambasciata francese” con l’uccisione di “otto addetti alla sicurezza”; di attacchi alle forze di sicurezza con l’uccisione, tra l’agosto e l’ottobre del 2018, di “dozzine di Burkinabe, compresi tre civili,…in attacchi condotti nella regione dell’Est”.
L’indicata premessa non si raccorda con gli eventi riferiti all’anno 2018 (p. 3 decreto) e neppure con la conclusione circa la situazione del paese di provenienza che, “nonostante gli attacchi terroristici anche recenti”, si afferma nel decreto, deve ritenersi “sotto il controllo dell’autorità statuale o comunque contenuto nei limiti di quel rischio che è riscontrabile nella media dei Paesi monitorati poichè, nonostante la presenza di cellule terroristiche “silenti” che attendono il momento propizio per colpire, non si registra un conflitto armato generalizzato e persistente tale da costituire, per la sola presenza dei civili nell’area in questione, il pericolo per la vita e la loro incolumità” (p. 4 decreto, par. 5 e ancora, p. 6 decreto, par. 7.2.).
Nell’operata menzione degli accadimenti segnalati in sequenza senza un loro effettivo raccordo logico non vi è conseguenzialità tra premessa e conclusioni, nei contenuti e tempi, sicchè manca quanto deve sostenere ogni provvedimento, a pena di nullità per apparenza della motivazione, sui punti decisivi della controversia, nel rispetto altresì dello strumentale canone dell’utilizzo di fonti aggiornate (vd., Cass. n. 13897 del 22/05/2019).
6.2. Medesime conclusioni valgono per il raccordo tra situazione del paese di provenienza e forme di protezione dei suoi componenti nella valutazione della protezione umanitaria, rispetto alla quale il decreto fa richiamo alla condizione del Burkina Faso, come definita in precedenza, per definire le condizioni di vulnerabilità a cui si troverebbe esposto il richiedente al momento del suo rimpatrio (p. 7 decreto).
7. Il decreto impugnato in accoglimento del terzo motivo va pertanto cassato con rinvio al Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea che provvederà sulla base di fonti aggiornate, debitamente scrutinate ed illustrate anche nel loro succedersi nel tempo, a verificare l’eventuale sussistenza dei fatti integrativi della protezione sussidiaria e di condizioni di vulnerabilità, per il contesto del paese di provenienza, in caso di rimpatrio del richiedente ai fini della protezione umanitaria.
8. Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso nei sensi di cui in parte motiva, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in diversa composizione, perchè provveda anche alle spese del giudizio di legittimità.
Rigetta nel resto il ricorso.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020