Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11266 del 11/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17990/2015 proposto da:

Anas Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito 50, presso lo studio dell’avvocato Iorio Paolo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Tandura Gianfranco, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M.P., M.C., M.V., elettivamente domiciliati in Roma, Via Celimontana 38, presso lo studio dell’avvocato Panariti Paolo, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bortoluzzi Luisa Emma, Degli Angeli Giovanni, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 79/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 19/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/02/2020 da Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

FATTI DI CAUSA

L’ANAS chiedeva la condanna dei signori G.M.P., M.C. e M.V. al pagamento di Euro 26565,82, oltre accessori, a titolo di conguaglio del canone dal 2002 al 2005, per l’accesso dal fondo – di cui erano comproprietari, quali eredi di M.L., nel centro abitato di *****, in base a una licenza intestata al de cuius.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 19 gennaio 2015, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda attorea, avendo ritenuto che legittimato a chiedere il pagamento dei canoni non era l’ANAS ma il Comune di San Vito di Cadore, a norma della L. 7 febbraio 1961, n. 59, art. 4.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ANAS, resistito da G.M.P., M.C. e M.V..

RAGIONI DELLA DECISIONE

A sostegno del primo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione della L. 7 febbraio 1961, n. 59, art. 4, del D.Lgs. n. 30 aprile 1992, n. 285, art. 2, comma 7 e art. 231, comma 2 (C.d.S.), l’ANAS replica osservando che si trattava di strada statale, come risultava dal fatto che il citato L. del 1961, art. 4 era stato implicitamente abrogato per contrarietà o incompatibilità con il codice della strada che dispone che le strade urbane siano comunali quando situate all’interno dei centri abitati, eccettuati tuttavia i tratti interni delle strade che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti, come il Comune di San Vito di Cadore; l’ANAS contesta inoltre l’effetto ripristinatorio o di riviviscenza della L. n. 59 del 1961, art. 4 che assume erroneamente ricondotto dalla corte di merito al D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, essendo l’art. 4 già abrogato per incompatibilità con il codice della strada.

Il motivo è infondato.

La L. n. 59 del 1961, art. 4 dispone che “i tratti di strade statali che attraversano abitati con popolazione non superiore a ventimila abitanti fanno parte della rete delle strade statali, giusta la L. 12 febbraio 1958, n. 126, art. 7, lett. c)” (comma 1) e che, ferma restando “la competenza dei Comuni per tutti gli adempimenti relativi ai servizi urbani comunque interferenti con i tratti di strade statali (…) Gli eventuali canoni dovuti da privati per licenze o concessioni interessanti il corpo stradale nelle suddette traverse interne sono fatti salvi a favore dei Comuni (…)” (comma 4). A tale contesto normativo si riferisce il principio secondo cui sono fatti salvi a favore dei Comuni gli eventuali canoni dovuti dai privati per licenze o concessioni interessanti il corpo stradale nelle suddette traverse (cfr. Cass. n. 7401 del 1983).

La suddetta disposizione, ad avviso dell’Anas, è stata abrogata implicitamente – e anche in virtù dell’art. 231 C.d.S., comma 2 (che dispone l’abrogazione di “tutte le disposizioni comunque contrarie o incompatibili con le norme del presente codice”) – dall’art. 2, comma 7 cit. codice che dispone che “Le strade urbane di cui al (…) sono sempre comunali quando siano situate nell’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti”, come appunto il Comune di San Vito. Dunque la strada di accesso al fondo degli intimati sarebbe statale e i canoni di spettanza dell’ANAS.

Questa tesi, tuttavia, non considera che il D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1 ha disposto che “Ai fini e per gli effetti della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, commi 14 14-bis e 14-ter, e successive modificazioni, nell’Allegato 1 presente D.Lgs. sono individuate le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali è indispensabile la permanenza in vigore” e che, tra le disposizioni richiamate nell’Allegato 1, parte 4, compaiono, al n. 1696, la L. n. 59 del 1961, artt. da 1 a 22.

A norma del D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1 “Per “permanenza in vigore” si intende che restano in vigore le disposizioni legislative statali, indicate negli Allegati 1 e 2, nel testo vigente alla data di entrata in vigore del presente D.Lgs., in base agli atti normativi che le hanno introdotte a suo tempo nell’ordinamento e alle eventuali successive modificazioni anteriori alla stessa data”.

Ne consegue che, dovendo la L. del 1961, art. 4, comma 2, intendersi attualmente in vigore, viene meno l’effetto abrogativo riferibile all’art. 2 C.d.S., comma 7. E’ un esito questo che non potrebbe contestarsi adducendo una perdurante incompatibilità tra la più antica di disposizione (del 1961) e la nuova (del 1992), avendo il legislatore successivamente (nel 2009) ripristinato la prima, con l’implicita (ma non per questo non chiara) volontà di ritenerla applicabile senza soluzione di continuità (come risulta anche dalle parole “restano in vigore” usate nel D.Lgs. n. 179 del 2009). Il fenomeno del ripristino delle norme abrogate non è sconosciuto all’ordinamento, tanto che “sia la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, sia la scienza giuridica ammettono il ripristino di norme abrogate per via legislativa (…) come fatto eccezionale e quando ciò sia disposto in modo espresso” (Corte Cost. n. 13 del 2012), come è avvenuto nella fattispecie in esame.

Per altro verso, a conferma della soluzione qui condivisa, la dedotta incompatibilità non emerge da un’analisi letterale, operando le due disposizioni su piani diversi. Ed infatti, la Legge del 1961, art. 4 dispone, al comma 4, che comunque “gli eventuali canoni dovuti da privati (…) sono fatti salvi a favore dei Comuni” (i quali sono competenti per gli adempimenti relativi ai relativi servizi urbani), pure in relazione alle strade statali cui si riferisce il comma 1 (“i tratti di strade statali che attraversano abitati con popolazione non superiore a ventimila abitanti (che) fanno parte della rete delle strade statali”). L’art. 2 C.d.S., comma 7, non riguarda, invece, la spettanza dei canoni ma si limita a stabilire che le strade urbane (di cui al comma 2, lett. d), e) e f) “sono sempre comunali quando siano situate all’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti”, senza tuttavia precisare che i canoni siano dovuti all’ANAS.

Ne consegue l’infondatezza del motivo con cui l’ANAS sostiene di essere legittimato a chiedere il pagamento dei canoni.

Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non avere tenuto conto che l’accesso alla strada statale traeva origine dal disciplinare n. 235 del 31 marzo 1930, con il quale l’ANAS aveva autorizzato M.L. all’accesso sulla statale *****, sicchè, essendo la concessione precedente all’entrata in vigore della L. n. 59 del 1961, alla richiesta di pagamento del canone non poteva essere applicata una normativa introdotta dal legislatore solo successivamente nel 1961.

Il motivo introduce inammissibilmente una questione nuova di cui la sentenza impugnata non parla (nè il motivo precisa se e in quale atto e momento processuale sia stata introdotta nel giudizio di merito) implicante nuovi accertamenti di fatto, anche tenuto conto delle allegazioni degli intimati, i quali sostengono che il M.L. menzionato nel suddetto documento è un omonimo del de cuius e che la situazione dei luoghi è cambiata dal 1930.

In conclusione, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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