LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17929/2017 R.G. proposto da:
M.M.R., e V.G., rappresentati e difesi dall’Avv. Gianfranco Massa, con domicilio eletto in Roma, via Emilio Dè Cavalieri, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Alessandro Ferri;
– ricorrente –
contro
Fallimento della ***** s.r.l., in persona del Curatore fallimentare, rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Stasi, domiciliato, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
So.Te. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza n. 163 della Corte d’appello di Lecce depositata il 9 febbraio 2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Lecce, confermando la decisione di primo grado, accertava, su domanda della Curatela del fallimento ***** s.r.l., nei confronti della So.Te. s.r.l., la simulazione assoluta di due atti di compravendita – del 27 settembre 2000 e 14 maggio 2003 – aventi ad oggetto alcuni terreni siti in *****, frazione del comune di *****.
Avverso tale sentenza M.M.R. proponeva opposizione di terzo, ai sensi dell’art. 404 c.p.c., comma 1, sostenendo che i terreni erano stati usucapiti da suo suocero V.D., al quale erano stati assegnati dall’ERSAP il 28 agosto 1974; e da questi erano poi passati nel possesso del marito V.G., che vi aveva costruito nel ***** un immobile abusivo (in parte destinato a casa familiare, in parte occupato all’attività commerciale della M.), successivamente condonato nel 1986. Sulla scorta di tali premesse, la M. domandava che, confermata la statuizione relativa alla simulazione dell’atto di acquisto intercorso tra la ***** s.r.l. e la So.Te s.r.l. (27 settembre 2000), si accertasse che pure i due atti di provenienza anteriori, intercorsi tra V.D. e la ***** s.r.l. il 14 luglio e il 10 agosto 2000, fossero dichiarati simulati. Chiedeva, inoltre, che venisse accertato il suo diritto proprietà sull’immobile acquisito mediante usucapione.
Nel giudizio si costituiva la Curatela del fallimento ***** s.r.l., mentre restava contumace la So.Te s.r.l..
Interveniva volontariamente V.G. (il quale aveva separatamente proposto opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c., avverso l’ordine di rilascio dell’immobile).
La Corte d’appello di Lecce respingeva l’opposizione e condannava i coniugi al pagamento delle spese di lite in favore della Curatela.
Avverso questa sentenza M.M.R. e V.G. hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Ha resistito con controricorso la Curatela del fallimento ***** s.r.l. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
La So.Te s.r.l., invece, non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia l'”erronea applicazione”, ovvero la violazione, dell’art. 404 c.p.c.. In particolare, i ricorrenti censurano l’operato della Corte d’appello nella parte in cui, dichiarata l’ammissibilità della domanda di opposizione ex art. 404 c.p.c., ha pronunciato sulla domanda, anzichè rimettere la causa al giudice primo grado, privandoli di un grado di giudizio.
A sostegno della censura, i ricorrenti richiamano il principio affermato da questa Corte, secondo cui, qualora l’opposizione di terzo sia stata proposta al giudice di secondo grado e questi la ritenga ammissibile, deve essere disposta la rimessione della causa al primo giudice, in applicazione del principio del doppio grado di giurisdizione (Sez. 2, Sentenza n. 2134 del 24/02/1995, Rv. 490699 – 01).
Il motivo è infondato.
Occorre, infatti, distinguere a seconda che la sentenza sottoposta a opposizione ex art. 404 c.p.c., accerti un rapporto sostanziale unico, il quale non può esistere che in un solo modo rispetto a tutti i partecipanti, oppure sia incompatibile con un autonomo diritto di un terzo, rimasto estraneo alla lite. Nel primo caso, l’opponente ex art. 404 c.p.c., trae legittimazione all’azione dalla circostanza di essere stato un litisconsorte necessario pretermesso. Nel secondo caso, l’opponente è titolare di un diritto indipendente e incompatibile con il rapporto giuridico accertato dalla sentenza opposta.
Le conseguenze sono diverse in quanto, qualora si tratti accerti esservi stato un litisconsorte necessario pretermesso, deve essere disposta la remissione della causa al giudice di primo grado. Infatti, ai sensi dell’art. 406 c.p.c., nel giudizio di opposizione trovano applicazione le disposizioni relative al procedimento davanti al giudice adito, ivi incluso l’art. 354 c.p.c., comma 1, che indica la violazione del litisconsorzio necessario fra i casi di remissione della causa in primo grado.
Viceversa, il caso in cui si controverte dell’esistenza di un autonomo diritto dell’opponente non rientra fra i casi tassativi di remissione del giudizio in primo grado e ciò rientra nella discrezionalità del legislatore, poichè la copertura costituzionale riguarda solamente il doppio grado di tutela giurisdizionale (merito e legittimità) e non anche la celebrazione di due gradi di merito.
A conferma di quanto appena chiarito, il precedente citato dai ricorrenti, così come le altre pronunce di contenuto analogo, si riferiscono tutti a casi in cui l’opposizione ex art. 404 c.p.c., è basata sulla pretermissione di un litisconsorte necessario.
Ogni eventuale incertezza sul punto risulta, peraltro, risolta dalle Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 1238 del 23/01/2015, Rv. 634088 – 01), nella cui motivazione si legge che, nel caso di opposizione proposta ex art. 404 c.p.c., da un terzo diverso dal litisconsorte pretermesso, se la sentenza opposta è d’appello, gli accertamenti relativi non solo alla situazione legittimante del terzo opponente, ma anche all’eventuale caducazione della sentenza opposta, andranno svolti dal giudice d’appello, non ricorrendo – a differenza dell’ipotesi del terzo litisconsorte necessario pretermesso – una situazione per cui, una volta riconosciuta l’esistenza della situazione legittimamente, si imponga una rimessione al primo giudice. La conseguenza sarà che profilo rescindente e profilo rescissorio si svolgeranno entrambi davanti al giudice d’appello.
Ciò posto, poichè gli odierni ricorrenti assumono di essere titolari di un diritto autonomo (l’acquisto della proprietà per usucapione) rispetto alla situazione giuridica accertata nella sentenza passata in giudicato (simulazione assoluta di due compravendite), non ricorrono i presupposti perchè il giudice d’appello adito ex art. 404 c.p.c., esaurita la fase rescindente, dovesse/potesse rimettere gli atti al giudice di primo grado per la celebrazione del giudizio rescissorio.
Con il secondo motivo si deduce l'”erronea” e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., L. 12 maggio 1950, n. 230, L. 21 ottobre 1950, n. 841, nonchè della L. 29 maggio 1967, n. 379. La censura riguarda il capo della sentenza impugnata relativa al rigetto della domanda di usucapione.
Secondo i ricorrenti il giudice d’appello avrebbe mal individuato la normativa applicabile, senza tenere in conto che V.D. aveva riscattato anticipatamente il terreno.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata (pag. 6) osserva che “ammesso che la M. abbia effettivamente cominciato a validamente usucapire dal 31.01.1986, è evidente che in questa ipotesi il ventennio si sarebbe compiuto nel 2006, e cioè, nel corso del giudizio di primo grado in cui il fallimento ***** ha chiesto l’accertamento della simulazione assoluta della vendita dalla stessa ***** alla srl SOTE. Si sarebbe quindi verificata una classica ipotesi di successione nel diritto controverso (ex art. 111 c.p.c.), che comporta la inammissibilità dell’opposizione ex art. 404 c.p.c., atteso che sono legittimati a proporre opposizione solo coloro che non siano soggetti all’efficacia diretta della sentenza (Cass. 17683/2006)”.
Si tratta di una vera e propria autonoma ratio decidendi, che prende in considerazione l’eventualità che vi fosse stato il riscatto anticipato dei fondi e che, a seguito di ciò, fosse iniziato a decorrere il termine ventennale per l’usucapione ordinaria del fondo da parte della M..
La mancata impugnazione di questa parte della sentenza determina l’inammissibilità del motivo in esame, astrattamente inidoneo a condurre alla cassazione della sentenza impugnata.
Infatti, il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata. Si caratterizza, invece, come un rimedio impugnatorio a critica vincolata e a cognizione perimetrata nell’ambito dei vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso (o il motivo) che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017 Rv. 645076; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).
Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 e 1470 c.c. I ricorrenti impugnano la sentenza nella parte in cui ha rigettato l’opposizione di terzo sul presupposto che la M. non avesse un autonomo interesse a proporre la domanda e che, in ogni caso, avrebbe dovuto introdurla con un’azione autonoma. Al contrario, sostengono i ricorrenti, la M. era legittimata ad esperire opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c., dacchè essa era “titolare di uno status, ossia il possesso ultraventennale, che l’art. 1158 c.c., prevede ai fini dell’usucapione”; era terza, in quanto non ha partecipato ai giudizi pregressi; vantava un diritto di usucapione, ossia un diritto autonomo rispetto a quello accertato con la sentenza opposta.
Anche in questo caso sussiste un’autonoma ratio decidendi non specificatamente impugnata.
La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto che “la sentenza oggetto dell’odierna opposizione non ha trattato del contratto di vendita da V.D. alla *****, rapporto che è cronologicamente precedente rispetto alla vendita da ***** alla s.r.l. SOTE. Già questa circostanza è di per sè idonea ad escludere che la sentenza di accertamento della simulazione della vendita dalla ***** alla SOTE possa provocare alcun pregiudizio alla odierna attrice”. Si tratta di affermazione che non risulta essere fatta oggetto di alcuna specifica censura e che è idonea, in sè, ad escludere la legittimazione attiva della M..
Inoltre, la Corte d’appello ha escluso che la M. avesse un apprezzabile interesse a domandare l’accertamento della simulazione della vendita compiuta da V.D. in favore della ***** s.r.l. poichè l’immobile, in caso di accoglimento della domanda, non sarebbe caduto nella comunione legale tra i coniugi, trattandosi di bene pervenuto a V.G. per successione.
Quest’ultima affermazione è contestata dai ricorrenti in modo assolutamente generico, affermando soltanto che “la M. (…) ha partecipato alla costruzione dello stesso (dell’immobile condonato che insiste sul fondo) ed ha anche intrapreso attività commerciale con un supermercato nei locali di cui è causa, come dimostrato con la documentazione prodotta in atti”. In sostanza, dunque, il motivo in esame non si confronta dialetticamente con le ragioni poste a fondamento del capo della sentenza che esso intende contraddire.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.
Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte degli impugnanti soccombenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
Sussistono altresì i presupposti perchè i ricorrenti siano condannato d’ufficio al pagamento in favore della controparte – ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3 – di una somma, equitativamente determinata nella misura indicata in dispositivo in base al valore della controversia, in quanto essi hanno agito in giudizio senza adoperare la normale diligenza e comunque senza alcun serio sforzo interpretativo, deduttivo o argomentativo per sostenere l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonchè al pagamento – ai sensi dell’art. 96 c.p.c., in favore della controparte, della somma di Euro 5.000,00.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020
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