Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.11308 del 12/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 35386/2018 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO ANZIANI 19, presso lo studio dell’avvocato LUIGI TECCE, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO TECCE, GIACINTO TECCE;

– ricorrente –

contro

R.M.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1773/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI TECCE per delega.

FATTI DI CAUSA

G.G. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Avellino, R.M.N. ed espose che: 1) in data 1 febbraio 2006 aveva locato l’appartamento ubicato in *****, con annesso box auto, con contratto di durata triennale, rinnovabile per un ulteriore biennio in assenza di disdetta motivata da parte della locatrice R.M.N., il tutto verso corrispettivo di Euro 350,00 mensili; 2) il contratto recava, tra l’altro, la dicitura, scritta a penna, che era stato concluso ai sensi dell’accordo territoriale per il Comune di Avellino sottoscritto il 5 novembre 1999; 3) si trattava in realtà di un contratto ordinario, della durata di anni 4 + 4, la cui prima scadenza era pertanto intervenuta il 31 gennaio 2010; 4) con raccomandata del 23 gennaio 2010 la locatrice aveva disdettato la locazione e rappresentato la sua esigenza di destinare l’immobile ad uso abitativo personale; 5) il conduttore aveva rilasciato l’immobile nel gennaio 2011 e sostenuto spese di trasloco per 400,00 Euro; 6) la locatrice non aveva però destinato l’immobile all’uso comunicato; 7) l’attore aveva, pertanto, diritto al risarcimento del danno, per recesso illegittimo, ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 3, comma 5, peraltro inutilmente già richiesto alla locatrice.

R.M.N. si oppose alla domanda proposta nei suoi confronti.

Con sentenza n. 1679/2014, depositata il 17 dicembre 2014, il Tribunale adito rigettò la domanda ritenendo che, sulla scorta del contratto scritto, questo era da inquadrare “non nello schema ordinario delle locazioni ad uso abitativo di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 1, ma nell’ambito del diverso schema delle locazioni su accordo territoriale ai sensi dei commi 3 e 5 della medesima norma”.

Avverso detta sentenza G.G. propose impugnazione, della quale la R. chiese il rigetto.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata in data 24 aprile 2018, rigettò il gravame, condannando l’appellante alle spese del grado.

In particolare, la Corte territoriale ritenne sussistente una ragione decisiva che rendeva superfluo l’esame dei rilievi sollevati dall’appellante e volti a segnalare la nullità del contratto in parola (soltanto) nella parte in cui esso prevedeva la durata iniziale di tre anzichè di quattro anni sul presupposto che trattavasi non di contratto concluso sullo schema di quanto previsto dalla L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 3, ma di un contratto che andava “classificato” nell’ambito delle previsioni (ordinarie) di cui al medesimo art. 2, comma 1.

Rilevò, infatti, il giudice d’appello che la domanda era stata formulata dall’ex conduttore ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge già menzionata. Ad avviso della Corte territoriale, quella appena richiamata è una disposizione che concerne non l’illegittimo esercizio della facoltà della disdetta di cui al medesimo art. 2 già citato (cd. disdetta motivata o qualificata, necessaria per impedire che la locazione si rinnovi o dopo il primo quadriennio o dopo il primo triennio), al quale abbia fatto seguito il riacquisto della disponibilità dell’immobile da parte del locatore, bensì l’ipotesi in cui il locatore, esercitata legittimamente la facoltà di disdetta alla prima scadenza contrattuale (quadriennale o triennale) e conseguita la disponibilità dell’alloggio, non provveda entro il termine di dodici mesi ad adibire l’immobile all’uso indicato in disdetta.

La Corte di merito evidenziò che non era controverso che: a) la disdetta era del 23 gennaio 2010; b) la locazione aveva avuto inizio il 1 febbraio 2006; c) conseguentemente, se si fosse trattato di locazione ordinaria, la prima scadenza avrebbe dovuto farsi risalire al 31 gennaio 2010, e se, invece, la locazione fosse stata conclusa in base agli accordi territoriali, la prima scadenza avrebbe dovuto retrodatarsi al 31 gennaio 2009.

Pertanto, secondo la Corte territoriale, sia considerando la locazione tra le parti corrispondente al modello alternativo di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 3, sia inquadrando la locazione nel modello ordinario, la disdetta sarebbe stata comunque relativa, in entrambi i casi, alla seconda scadenza e, quindi, si esulerebbe dal meccanismo di cui all’art. 3 comma 5 della Legge citata, invocato dal conduttore.

La Corte territoriale aggiunse, per completezza, di condividere la qualificazione data al contratto dal Tribunale, secondo cui trattavasi di contratto corrispondente al modello alternativo di locazione.

Avverso la sentenza della Corte territoriale G.G. ha proposto ricorso per cassazione basato su tredici motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Nullità della sentenza in riferimento al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”, si lamenta l’omissione o la mera apparenza della motivazione in relazione all’eccezione formulata dalla resistente anche in grado d’appello circa la mancata ricezione dell’invito a comparire nella procedura di mediazione obbligatoria.

1.1. La censura è inammissibile.

Ed invero, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale va data continuità in questa sede, in tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo”, e cioè delle regole processuali ex art. 360 c.p.c., n. 4, deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass., 26/09/2017, n. 22342; Cass., ord., 15/10/2019, n. 26087); nella specie, invece, non risulta allegato dalla parte ricorrente uno specifico nocumento.

Inoltre, dalla mancata ricezione dell’invito a comparire da parte dell’attuale intimata, in linea teorica, non potrebbe che essere penalizzata quest’ultima, la quale, però, non ha svolto attività difensiva in questa sede e, quindi, nessuna censura ha proposto, sul punto in questione, nei confronti della sentenza di secondo grado con cui, all’evidenza, la Corte territoriale ha deciso in base alla ragione più liquida (Cass., sez. un., 8/05/2014, n. 9936).

Peraltro, la violazione dell’ordine di trattazione delle questioni, imposto dall’art. 276 c.p.c., comma 2 – che, mentre lascia libero il giudice di scegliere, tra varie questioni di merito, quella che ritiene “più liquida”, gli impone, per contro, di esaminare per prime le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito costituisce una causa di nullità del procedimento che è, tuttavia, sanata se non venga fatta valere dalla parte che ne risulti svantaggiata (Cass., ord., 26/11/2019, n. 30745), il che, come già evidenziato, non è avvenuto in questa sede.

2. Risulta poi, dal punto di vista logico, prioritario – rispetto a quello degli altri motivi – l’esame del settimo mezzo, rubricato: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 101 c.p.c., comma 2”.

Con esso si lamenta che la Corte di appello, sulla ipotesi del contratto del tipo ordinario, abbia rilevato ex officio la intempestività e/o inefficacia della disdetta, col conseguente rinnovo automatico del contratto, senza preliminarmente assegnare alle parti un termine a difesa.

2.1. Il motivo è fondato, in quanto la Corte di merito, evidenziando che la domanda era stata formulata dall’ex conduttore ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 3, comma 5, ha rigettato il gravame rilevando, ex officio, l’intempestività della disdetta comunicata con un preavviso inferiore a sei mesi rispetto alla prima scadenza del contratto, pur accedendosi all’ipotesi del “contratto libero”; pertanto, secondo la Corte territoriale, tale contratto si sarebbe rinnovato per ulteriori quattro anni e quella disdetta sarebbe stata intempestiva per la prima scadenza e avrebbe potuto valere solo con riferimento alla seconda scadenza quadriennale (31 gennaio 2014), con conseguente difetto di ogni collegamento tra detta disdetta e il rilascio avvenuto nel gennaio 2011.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, l’omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione priva le parti del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva e perciò comporta la nullità della sentenza (cd. “della terza via” o “a sorpresa”) per violazione del diritto di difesa tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Cass. 12/09/2019, n. 22778; Cass. 19/07/2018, n. 19251; Cass. 5/12/2017, n. 29098; Cass. 23/05/2014, n. 11453; Cass., sez. un., 30/09/2009, n. 20935).

Quella rilevata nella specie dalla Corte di merito integra una questione di diritto e la Corte d’appello non risulta essersi attenuta al principio richiamato, che ben avrebbe dovuto applicare, dovendosi evidenziare che il ricorrente ha rappresentato il pregiudizio che assume aver subito per la mancata attivazione del contraddittorio nei termini di non consentita, in tal modo, replica sul punto e di non possibilità di precisare la domanda, fermo restando il nucleo fattuale dedotto quale causa petendi.

3. All’accoglimento del settimo motivo consegue l’assorbimento dei rimanenti mezzi.

4. Per mera completezza, quindi, si osserva che il secondo motivo, rubricato “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 1362 c.c. e L. n. 431 del 1998, art. 2, commi 3, 4, 5 e 6, con richiamo al contratto territoriale della provincia di Avellino” – con il quale il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello ritenuto sussistente, nella fattispecie, l’ipotesi del contratto del tipo locale, stando al riferimento ad esso contenuto nella intestazione, alla durata ed al canone convenuti – avrebbe posto la questione della configurabilità o meno, nel caso all’esame, di un contratto di locazione alternativo.

4.1. In relazione a tale tipo di contratto, proprio per la funzione nomofilattica di questa Corte, vale la pena di osservare quanto segue.

4.2. Trattasi di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo “a canone concordato” – definiti anche “alternativi” o, “agevolati” – che sono stati introdotti dalla L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, comma 3, come alternativi ai contratti “a canone libero”, aventi “durata non inferiore a quattro anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di quattro anni”.

Infatti, secondo la norma appena menzionata, “le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto, anche in relazione a quanto previsto dall’art. 5, comma 1, nel rispetto comunque di quanto previsto dal comma 5 del presente articolo, ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. Al fine di promuovere i predetti accordi, i comuni, anche in forma associata, provvedono a convocare le predette organizzazioni entro sessanta giorni dalla emanazione del decreto di cui dell’art. 4, comma 2. I medesimi accordi sono depositati, a cura delle organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell’area territoriale interessata”.

4.3. La disciplina vincolistica dei predetti contratti concerne, oltre all’importo del canone locativo (v., L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 4), anche la loro durata, riguardo alla quale il comma 5 prevede che:

a) la loro durata non può essere inferiore ai tre anni;

b) alla prima scadenza sono prorogati di diritto per due anni, a meno che le parti non si accordino per un rinnovo o il locatore non formuli la disdetta (nei casi tassativamente previsti dalla L. n. 431 del 1998, art. 3);

c) “alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza”;

d) se la comunicazione sub c) non viene effettuata, “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni” (L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 5, quarto periodo).

4.4. In particolare, si osserva che il quarto periodo del comma 5 relativo alla rinnovazione tacita del contratto “alle medesime condizioni” di quello precedentemente stipulato – ha alimentato contrasti interpretativi, sia per le conseguenze civilistiche (la qualificazione del contratto “rinnovato” come nuovo rapporto giuridico oppure come prosecuzione di quello originario e, soprattutto, la durata dell’ulteriore godimento spettante al locatario), sia per i risvolti di natura tributaria (in considerazione delle agevolazioni fiscali previste per i contratti in parola).

Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, l’intero della L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 5, è, effettivamente, “tutt’altro che un modello di chiarezza” (Cass., 4/08/2016, n. 16279, in motivazione) e, con specifico riguardo al rinnovo successivo al quinquennio “3+2”, è stato rilevato in dottrina che “il legislatore ha difettato radicalmente nel lessico, creando all’interprete non poche difficoltà”.

4.5. Va segnalato che si è molto discusso in dottrina e nella giurisprudenza di merito in relazione alla durata del rinnovo alla scadenza del primo quinquennio contrattuale, mentre tale specifica questione non è stata affrontata da questa Suprema Corte.

Al riguardo sono state prospettate dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito tre diverse soluzioni.

Si è infatti affermato che il rapporto deve intendersi rinnovato: a) di altri tre anni (o comunque per un periodo pari alla durata inizialmente pattuita), creando di fatto un contratto “3 (o più) + 2 + 3 (o più) + 3 +…”) o b) per un ulteriore periodo di tre anni (o comunque per un periodo pari alla durata inizialmente pattuita), sempre seguito da una proroga (pressochè automatica) biennale (creando in tal modo un multiplo del contratto originario: “(3 o più +2) + (3 o più +2) +…”) oppure c) di soli due anni, creando così un contratto “3 (o più) + 2 + 2 + 2 +…”.

4.6. Non si rinviene un indirizzo interpretativo uniforme nemmeno con riferimento alle conseguenze fiscali; dai lavori preparatori della norma di interpretazione autentica (v. oltre, nella motivazione) si evince che gli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate hanno dato letture diverse della norma, ritenendo che la durata della seconda proroga del contratto fosse per alcuni di 2 anni, per altri di 3 anni, per altri ancora di ulteriori “3+2”. Nessun ausilio è stato offerto dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa che, con la consulenza giuridica n. 954-92/2016, datata 27 giugno 2017, ha precisato e chiarito di poter fornire indicazioni solo in relazione all’interpretazione di norme tributarie, essendo incompetente ad effettuare una “valutazione di natura civilistica sulle modalità di stipula e di rinnovo dei contratti di locazione”.

4.7. In tale contesto, è intervenuta la L. 28 giugno 2019, n. 58, di conversione del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (“Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi”), che ha inserito nel testo del provvedimento legislativo d’urgenza l’art. 19-bis, recante “Norma di interpretazione autentica in materia di rinnovo dei contratti di locazione a canone agevolato”.

La disposizione in parola prevede che: “Il quarto periodo della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, comma 5, si interpreta nel senso che, in mancanza della comunicazione ivi prevista, il contratto è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio”.

E’ stato così dichiarato dal legislatore che: a) almeno sei mesi prima della scadenza del biennio di proroga ex lege ciascuna delle parti può assumere l’iniziativa (necessariamente “vincolata alla forma scritta” e, cioè, all’invio alla controparte di lettera raccomandata) per rinnovare il contratto a nuove condizioni o, al contrario, per determinarne la cessazione degli effetti (cioè, per la disdetta); b) in assenza di una delle predette iniziative (secondo la dizione legislativa, “in mancanza della comunicazione”) si verifica un tacito rinnovo “alle medesime condizioni” (economiche) di durata biennale; c) la stessa frequenza biennale riguarda i successivi rinnovi, pur sempre condizionati a che nessuna delle parti prenda l’iniziativa per modificare l’accordo o per concludere il rapporto.

In sintesi, il legislatore della norma di interpretazione autentica ha delineato un modello contrattuale secondo lo schema del “3 (o più) + 2 + 2 + 2+…”.

4.8. Per completezza non può sottacersi che se, per un verso, l’art. 19-bis introdotto nel D.L. n. 34 del 2019, dalla Legge di Conversione n. 58 del 2019, riveste i requisiti ontologici della norma di interpretazione autentica coniati e richiesti dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, per altro verso, dubbi di legittimità costituzionale, invece, potrebbero insorgere riguardo alle modalità di introduzione della norma de qua nell’ordinamento giuridico.

La disposizione, infatti, è stata inserita ex novo in una legge di conversione di un decreto-legge. Da tempo la Consulta ha superato l’orientamento secondo cui la legge di conversione avrebbe effetto “sanante” rispetto alla carenza dei presupposti costituzionali per la decretazione d’urgenza, insegnando invece che le disposizioni della legge di conversione in quanto tali (nei limiti cioè in cui non incidano in modo sostanziale sul contenuto normativo del decreto) non sono valutabili, sotto il profilo della legittimità costituzionale, autonomamente dal decreto stesso (Corte Cost., 9 maggio 2007, n. 171). La Corte Costituzionale ha altresì affermato che “la valutazione in termini di necessità e di urgenza deve essere indirettamente effettuata per quelle norme, aggiunte dalla legge di conversione del decreto-legge, che non siano del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d’urgenza; mentre tale valutazione non è richiesta quando la norma aggiunta sia eterogenea rispetto a tale contenuto” (Corte Cost. 15 dicembre 2010, n. 355), ed ha pure precisato: “Questa Corte ha individuato, tra gli indici alla stregua dei quali verificare “se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza di provvedere”, la “evidente estraneità” della norma censurata rispetto alla materiaRic, 2018 n. 35386 sez. 53 – ud. 07-02-2020 disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita (sentenza n. 171 del 2007; in conformità, sentenza n. 128 del 2008).

La giurisprudenza sopra richiamata collega il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77 Cost., comma 2, ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.

Da quanto detto si trae la conclusione che la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità. Ai sensi dell’art. 77 Cost., comma 2, i presupposti per l’esercizio senza delega della potestà legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo.

L’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed “i provvedimenti provvisori con forza di legge”, di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del “caso” straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno.: La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il “caso” che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale” (Corte Cost., 16 febbraio 2012, n. 22, v. pure Corte Cost. 25 febbraio 2014, n. 32 e Corte Cost. 15 luglio 2015, n. 154).

4.8.1 Come già evidenziato, la norma in commento è stata introdotta ex novo dalla legge di conversione del D.L. n. 34 del 2019, dopo l’art. 19, recante disposizioni per il “Rifinanziamento del Fondo di garanzia per la prima casa”, nel capo II, relativo a “Misure per il rilancio degli investimenti privati”; peraltro, è assai difficile individuare un collegamento dell’art. 19-bis col contenuto delle norme del citato capo (e neppure col precedente art. 19, attinente al fondo di garanzia dei finanziamenti connessi all’acquisto e ad interventi di ristrutturazione e accrescimento dell’efficienza energetica di unità immobiliari, site sul territorio nazionale, da adibire ad abitazione principale del mutuatario) e, più in generale, del decreto-legge, dato che il provvedimento legislativo governativo (“Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi”) non fa cenno alla disciplina sostanziale in tema di locazione e non contiene neanche disposizioni tese a dettare discipline di altri negozi civilistici; inoltre, rispetto al complessivo obiettivo di rilancio dell’economia risulterebbe eccentrica una norma che, pur di intento meritorio, è volta a far chiarezza sulla durata della prosecuzione (questa non revocabile in dubbio) di contratti di locazione ad uso abitativo tacitamente rinnovati “alle medesime condizioni”.

In questa sede, peraltro, come già rilevato, la questione si colloca tra quelle assorbite dall’accoglimento del settimo motivo del ricorso.

5. In conclusione, va dichiarato inammissibile il primo motivo e va accolto, perchè fondato, il settimo motivo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

6. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il settimo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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