Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.11467 del 15/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26773/2015 proposto da:

R.E., R.P., R.R., S.C., R.M., R.A., R.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL CANCELLO 20, presso lo studio dell’avvocato LUIGI ANTONIO PEDONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO ALFIERI;

– ricorrenti –

contro

G.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 623/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 10/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2019 dal Consigliere MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 3 marzo 2004 R.R., A., E., G. e M., rispettivamente sorella e nipoti di R.P.A., deceduto in data 5 gennaio 2004, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Brindisi G.G. – assunto nell’aprile del 2000 come addetto all’assistenza del R. – chiedendo l’annullamento del testamento pubblico del loro congiunto, datato 8 settembre 2000, con il quale questi aveva disposto dei propri beni in favore del convenuto, deducendo la incapacità naturale del disponente al momento della redazione dell’atto.

Gli attori avevano già, dopo il decesso del congiunto, denunciato il G. per circonvenzione di incapace, costituendosi parte civile nel procedimento penale instaurato a suo carico con riferimento specifico alla redazione del testamento, contestazione poi estesa ad altri atti del R. di disposizione del proprio patrimonio in favore dell’imputato, accertati successivamente: fatti per i quali il G. fu condannato, con sentenza del Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne, in data 16 dicembre 2008, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in sede civile. Decisione, codesta, confermata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza dell’11 febbraio 2010. A seguito di ricorso per cassazione, tale pronuncia fu poi annullata senza rinvio, con sentenza n. 35954 del 2012, per essere il reato estinto per prescrizione, “ferme le statuizioni civili, attesa la sentenza di condanna in primo grado e l’assenza di impugnazione sul punto”.

2. – Quanto all’azione civile di annullamento del testamento del R., essa fu rigettata dal Tribunale con sentenza depositata il 26 ottobre 2011. Proposto gravame dai soccombenti innanzi alla Corte d’appello di Lecce, esso fu rigettato con sentenza del 10 settembre 2015, che condivise il giudizio del Tribunale secondo il quale non era stata fornita la prova, incombente agli attori, che il de cuius, nel momento della redazione del testamento, si fosse trovato in stato di totale incapacità di intendere e di volere per infermità mentale.

Per ciò che ancora rileva nella presente sede, la Corte di merito, con riferimento al motivo di gravame che lamentava che il giudice di primo grado non si fosse attenuto al principio di diritto secondo il quale la sentenza penale di condanna pronunciata in seguito a giudizio per il delitto di circonvenzione di incapace ha efficacia vincolante nei successivi giudizi civili (nella specie, di annullamento del testamento) quanto all’accertamento da essa compiuto sullo stato di capacità della parte lesa, che rileva in termini di fatto materiale agli effetti dell’art. 28 c.p.p., la Corte territoriale rilevò che non era invocabile l’efficacia del giudicato di cui all’art. 651 c.p.p., nel giudizio civile, mancando una pronuncia irrevocabile di condanna. Ciò in quanto la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello per essere il reato estinto per prescrizione, pur lasciando ferme le statuizioni civili di primo grado di condanna del G. al risarcimento del danno preteso dalle parti civili, in assenza di impugnazione sul punto, ciò che comportava, secondo la Corte di merito, solo l’accertamento definitivo del diritto delle parti civili di ottenere il risarcimento dei danni pretesi in quel processo, ma non poteva avere efficacia vincolante nel giudizio in cui era stata esercitata la diversa azione civile di annullamento di testamento, introdotta indipendentemente da quella risarcitoria e che aveva avuto una autonoma e distinta istruttoria.

Ciò posto, sottolineò la Corte di merito che la sentenza penale annullata aveva ritenuto sufficiente ad integrare il reato contestato la ricorrenza di indizi univoci e concordanti di comportamento delittuoso dell’imputato, in quanto idonei quanto meno a rafforzare una determinazione di addivenire all’atto dispositivo, sicchè comunque siffatto accertamento non integrava, a giudizio della Corte territoriale, quella prova piena della incapacità richiesta per l’annullamento del testamento.

3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorrono R.R., E., G., M. nonchè S.C., R.P. ed A., quali eredi di R.A., sulla base di un unico motivo, illustrato anche da memoria. L’intimato G.G. non si è costituito nel giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 578 e 651 c.p.p., e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. I ricorrenti rilevano che tra l’azione civile spiegata nel processo penale a carico del G. ed il procedimento civile che ha dato luogo alla sentenza impugnata sussistono identità dei soggetti in causa e di causa petendi (circonvenzione dell’incapace R.P.), differenziandosi i due giudizi solo quanto al petitum, atteso che in sede penale è stata formulata una richiesta risarcitoria limitata ai danni morali subiti a seguito del comportamento penalmente rilevante del G., e in sede civile una richiesta risarcitoria in relazione ai danni materiali subiti per la medesima ragione. Ne conseguirebbe, anche alla luce del dictum della sentenza di questa Corte n. 14921 del 2010, l’efficacia di giudicato nel presente giudizio civile della pronuncia della Cassazione penale che, nel dichiarare la estinzione per prescrizione del reato di circonvenzione di incapace a carico del G., ha mantenuto ferme le statuizioni civili attinenti al risarcimento dei danni, da liquidare in sede civile.

2.- La doglianza è meritevole di accoglimento nei termini che di seguito saranno precisati.

2.1. – La sentenza di questa Corte n. 14921 del 2010, richiamata dai ricorrenti, si atteggia come precedente specifico nel giudizio in esame, siccome riferito ad una fattispecie sovrapponibile a quella all’odierno esame.

Essa ha affermato che qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, ed il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidano sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, una tale decisione, se la predetta condanna resta confermata, comportando necessariamente, quale suo indispensabile presupposto, l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato, dà luogo a giudicato civile, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più essere messa in discussione.

La Corte è, dunque, chiamata a verificare la tenuta del richiamato principio di diritto alla luce della evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul tema generale del rapporto tra l’accertamento del fatto in sede penale e la decisione sullo stesso fatto nel giudizio civile.

2.2. – La soluzione della questione postula una definitiva presa di posizione in ordine alla portata del principio dell’autonomia dei due ambiti.

Sul punto, le disposizioni di cui agli artt. 651,651-bis, 652,653 e 654 c.p.p., che prevedono rispettivamente l’efficacia, nel giudizio civile o amministrativo di danno promosso nei confronti del condannato o del responsabile civile citato o intervenuto nel processo penale, della sentenza penale irrevocabile di condanna e della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso; l’efficacia, nello stesso giudizio civile o amministrativo, della sentenza penale irrevocabile di assoluzione quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima; l’efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare ed in giudizi civili o amministrativi in cui si controverta intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento dipenda dall’accertamento dei fatti materiali oggetto del procedimento penale costituiscono eccezioni al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non sono, pertanto, applicabili in via analogica oltre i casi espressamente previsti.

E’, codesto, un punto di approdo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 1768 del 2011), cui si sono uniformate le successive sentenze n. 21299 del 2014 e n. 14570 del 2017, con le quali si è chiarito che nel caso di sentenza meramente dichiarativa della intervenuta prescrizione, dovendosi escludere l’applicazione analogica delle predette disposizioni, atteso il carattere eccezionale delle stesse e tenuto conto del fatto che non sempre la prescrizione importa l’accertamento della sussistenza del fatto materiale costituente reato, il giudice civile deve procedere autonomamente all’accertamento ed alla valutazione dei fatti, anche se non può escludersi la facoltà del giudice civile di utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile.

Ed una forte accentuazione del rapporto di autonomia tra le due sfere si rileva nella giurisprudenza di legittimità anche con riferimento alla efficacia probatoria della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., là dove si è affermato che la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. è solo equiparata ad una pronuncia di condanna e, a norma dell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis, non ha efficacia in sede civile o amministrativa, con la conseguenza che le risultanze del procedimento penale non sono vincolanti, ma possono essere liberamente apprezzate dal giudice civile ai fini degli accertamenti di sua competenza (Cass., sent. n. 26250 del 2011).

Rappresenta solo una parziale delimitazione dell’affermazione del rapporto di autonomia tra i due giudizi il rilievo secondo il quale la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale vi abbia prestato fede (Cass., sent. n. 13034 del 2017).

2.3. – Tuttavia, nel caso di specie, nel giudizio penale, concluso con una pronuncia estintiva del reato per prescrizione, si è formato il giudicato sulla statuizione resa dal giudice penale, a norma dell’art. 578 c.p.p., sulla domanda civile portata nella sede penale. Ciò in quanto, come riportato in narrativa, questa Corte, con la sentenza n. 35954 del 2012, nell’annullare senza rinvio la pronuncia della Corte di merito di condanna del G., per essere il reato estinto per prescrizione, ha tenuto “ferme le statuizioni civili, attesa la sentenza di condanna in primo grado e l’assenza di impugnazione sul punto”.

Deve, in proposito, richiamarsi l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la sentenza del giudice penale che, nel dichiarare estinto per amnistia il reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato che, pur prosciolto dal reato, non può più contestare in sede civile i presupposti per l’affermazione della sua responsabilità, quali, in particolare, l’accertamento della sussistenza del fatto reato e l’insussistenza di esimenti ad esso riferibili, nonchè la declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma può contestare soltanto l’esistenza e l’entità in concreto di un pregiudizio risarcibile (Cass., sentt. n. 2083 del 2013, n. 15557 del 2002).

E, perfettamente aderente al caso che ne occupa – riguardando piuttosto le due pronunce da ultimo citate la ipotesi in cui il giudice civile sia chiamato a pronunciarsi, a seguito della pronuncia di estinzione del reato, sulla domanda di risarcimento dei danni derivanti dal fatto reato -, risulta la richiamata sentenza n. 14921 del 2010, invocata dai ricorrenti, in cui nel giudizio civile tra le parti si verte su conseguenze del fatto reato diverse dalle restituzioni o dal risarcimento (annullamento del testamento).

2.4.- La Corte di merito non si è attenuta agli enunciati principi di diritto, fondando la propria decisione sul principio di autonomia tra il giudizio penale e quello civile. Essa ha applicato tale principio in modo acritico, (astratto e generalizzante, come perspicuamente osservato dal p.g. nelle conclusioni depositate), escludendo ogni rilievo alle statuizioni civili di condanna adottate nel giudizio penale di appello – e non annullate, ma anzi espressamente fatte salve dalla pronuncia della Cassazione – alla stregua della considerazione che le stesse si riferivano alle conseguenze risarcitorie del fatto reato, e non si sarebbero perciò potute applicare alla domanda di annullamento del testamento, oggetto del presente procedimento.

Ma tale conclusione si pone in aperto contrasto con il richiamato principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza n. 14921 del 2010, che predica, come sopra chiarito, il carattere vincolante dell’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato – pur in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, allorchè sia stata adottata una statuizione sulla domanda della parte civile tenuta ferma dalla pronuncia estintiva del giudice di legittimità, che in tal modo stabilizza tale statuizione in ordine agli aspetti fattuali – in ogni altro giudizio tra le stesse parti, in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto.

2.4. – Nè può giustificare tale discostamento la considerazione, operata dalla Corte salentina, secondo la quale la sentenza penale aveva ritenuto sufficiente ad integrare il reato contestato la ricorrenza di indizi univoci e concordanti di un comportamento delittuoso dell’imputato, in quanto idonei quanto meno a rafforzare una determinazione di addivenire all’atto dispositivo, accertamento, codesto, che non integrerebbe quella prova piena della incapacità richiesta per l’annullamento del testamento.

Al riguardo, in disparte il richiamo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità relativo alla correttezza della prospettazione della nullità del contratto stipulato per effetto di circonvenzione (v. Cass., sent. n. 5105 del 2015, in motivazione), nessun elemento autorizza a ritenere che il grado di incapacità di intendere e di volere del R. accertato in sede penale ai fini della configurabilità del delitto di circonvenzione di incapace fosse di intensità ridotta rispetto allo standard richiesto ai fini dell’annullamento; tanto più che la imputazione a carico del R. nel procedimento penale era correlata, in origine addirittura in via esclusiva, proprio alla redazione del testamento, come atto al quale fosse finalizzata la ipotizzata, e poi accertata, circonvenzione.

3. – Conclusivamente, il ricorso va accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce – cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che la riesaminerà uniformandosi ai principi di diritto enunciati sub 2.3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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