LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7994/2019 proposto da:
J.G., elettivamente domiciliato in Lecco, via Carlo Cattaneo n. 42/h, presso lo studio dell’avv. Maria Daniela Sacchi, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, *****;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato in data 08/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/02/2020 da Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- J.G., proveniente dal Pakistan (regione del Punjab) ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Milano avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Milano/Monza, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (diritto di rifugio; protezione sussidiaria) e del riconoscimento della protezione umanitaria.
Con decreto depositato in data 8 febbraio 2019, il Tribunale ha respinto il ricorso.
2.- Il Tribunale ha premesso che il racconto sviluppato dal richiedente presenta “lacune e contraddizioni intrinseche, non superate nè nel corso del colloquio, pur a fronte di specifica contestazione dell’intervistatore, nè successivamente con il ricorso, che ha sostanzialmente ribadito il contenuto dell’intervista svolta nella fase amministrativa”.
Con specifico riferimento al tema del diritto di rifugio, il decreto ha osservato che il rischio di morte, allegato dal richiedente (per le “minacce da parte dei chaudry locali per il conflitto sul possesso di un terreno”), si manifesta non più attuale, “considerata la definitiva conclusione della vicenda con l’appropriazione da parte dei personaggi in questione del terreno conteso e con il trasferimento del ricorrente nella città di *****”.
Ha poi escluso – con riferimento alla zona del Punjab – la sussistenza di un conflitto armato generalizzato ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), richiamando in particolare un report di ARC, Pakistan Country del 18 giugno 2018, nonchè quello di Freedom House Pakistan 28 maggio 2018.
Quanto infine alla protezione umanitaria, il Tribunale ha osservato che la frequenza di un corso scolastico e il conseguimento di un conseguente attestato non sono elementi idonei a fondare il riconoscimento in discorso. Al riguardo occorre la presenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente, che inerisca in modo specifico alla persona di questi.
3.- Avverso questo provvedimento ha presentato ricorso J.G., promuovendo quattro motivi di cassazione.
Il Ministero ha depositato una nota in cui ha dichiarato di essersi costituito oltre i termini di legge, ai fini di una possibile partecipazione all’eventuale udienza di discussione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.- Col primo motivo, il ricorrente censura la decisione del Tribunale per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per “non avere applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova”.
5.- Il motivo è inammissibile.
Nei suoi contenuti, il motivo viene a contestare la valutazione di non credibilità che è stata effettuata dal Tribunale milanese.
Sotto il profilo dei diritto di rifugio, tuttavia, il ricorrente trascura che, al riguardo, la decisione impugnata si fonda anche su un’altra e autonoma ratio decidendi: nella specie, comunque non risultano configurati i presupposti oggettivi prescritti per il riconoscimento della protezione in discorso. Il ricorrente non censura questa ratio.
Nemmeno indica, d’altra parte, la sussistenza di eventi in qualche modo riconducibili alle ipotesi previste nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).
6. Il secondo e il terzo motivo riguardano il tema della protezione sussidiaria e appaiono suscettibili di esame unitario.
Il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per “non avere riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del deducente”. Il terzo motivo, poi, assume violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere assolto l’onere di cooperazione istruttoria.
7.- Più in particolare, nel secondo motivo si afferma che “l’esame della sussistenza di una condizione di pericolo, dovuta a violenza diffusa e non controllata o non controllabile, da parte delle autorità statuali, non è stato effettuato in modo sufficientemente adeguato nella pronuncia de qua”: “il quadro tracciato dalle fonti ufficiali in relazione al Pakistan (e in particolare al Punjab da dove proviene il ricorrente) è drammatico”.
Nel terzo motivo, si ribadisce che il “quadro dell’attuale situazione del Pakistan”, che è stato descritto dal Tribunale, “non corrisponde a quello attuale”. Vengono richiamati, in proposito, un report di Amnesty International del 2013; una pubblicazione del Foreign and Commonwealth Office del 2015; nonchè un comunicato del Ministero degli Affari Esteri del 24 dicembre 2018, in cui si riferisce che “la situazione di sicurezza in Pakistan è condizionata dal permanere di un elevato rischio terrorismo… le forze di sicurezza pakistane sono da tempo impegnate in un’importante opera di contrasto al terrorismo, ma… la probabilità di rappresaglie da parte di organizzazioni terroristiche resta alta”.
8.- Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.
Gli stessi richiedono, com’è del resto evidente, un nuovo giudizio sugli elementi materiali della fattispecie, ulteriore rispetto a quello effettuato dal Tribunale milanese e di contrario segno. Una simile valutazione, tuttavia, è preclusa all’esame di questa Corte.
Non si sottrae al riscontro così compiuto il profilo del terrorismo, che il ricorrente ricava da un documento pubblicato in tempi sostanzialmente coevi al deposito del decreto impugnato. Come emerge immediatamente (anche) dalla lettura di questo documento, infatti, la problematica che vi è sottesa (quella appunto data dal terrorismo) non è sopravvenuta allo svolgimento del procedimento, ma è ben anteriore allo stesso (contestuale all’emanazione del provvedimento risulta, in effetti, solo la data di edizione del documento).
9.- Col quarto motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 5, comma 6 TUI, per non avere il Tribunale riconosciuto al richiedente la protezione internazionale per motivi umanitari.
Ad avviso del ricorrente, non è stato tenuto in adeguata considerazione il “buon livello di integrazione e radicamento” del richiedente, che si trova in Italia ormai da tre anni e ha anche ottenuto un lavoro a tempo determinato.
10.- Il motivo non può essere accolto.
Come ha puntualizzato la pronuncia di Cass. Sezioni Unite, 13 novembre 2019, n. 29459, il mero riscontro del livello dell’integrazione sociale raggiuta dal richiedente non è in sè elemento sufficiente a completare l’arco dei presupposti occorrenti per il riconoscimento della protezione umanitaria, dovendosi comunque tenere conto, al riguardo, della presenza di una situazione di vulnerabilità specifica alla persona del richiedente.
11.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.
Stante la mancata costituzione del Ministero, non ha luogo provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020