LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3650/2019 proposto da:
B.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Tartini, del foro di Treviso, giusta procura in calce al ricorso e domiciliato presso l’avvocato BARBERIO;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Venezia, n. 7 depositato il 02/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 25/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA GIOVANNA SAMBITO.
FATTI DI CAUSA
Con decreto del 2.1.2019, il Tribunale di Venezia ha rigettato le istanze volte al riconoscimento della protezione internazionale, avanzate da B.A., cittadino della Costa d’Avorio, il quale aveva dichiarato di essere espatriato perchè osteggiato nella coltivazione di un terreno dal fratellastro che lo aveva, pure, ferito con un coltello; di esser vissuto tre anni in Algeria e tre anni in Libia e di esser stato costretto ad imbarcarsi verso l’Italia. Il Tribunale ha ritenuto il racconto non credibile, e comunque insussistenti i presupposti per le tutele richieste. Lo straniero ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di cinque motivi. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I dubbi di incostituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui esclude il giudizio d’appello sollevati dal ricorrente sono già stati ritenuti manifestamente infondati dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 17717 del 2018, e successive conformi) le cui considerazioni qui si condividono.
2. Col primo ed il secondo motivo, si deduce, rispettivamente, la nullità della sentenza per la mera apparenza della motivazione circa la non credibilità della vicenda narrata, e l’omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio riferito alle cicatrici ed alle fratture alle gambe. Il ricorrente lamenta, in ispecie, che il giudizio di non credibilità è stato affermato in modo meramente apodittico, senza tener conto della prova, relativa all’offesa alle gambe, da lui fornita ed erroneamente non valutata ai fini in esame.
3. I motivi, da valutarsi congiuntamente, in simmetria al modo in cui sono stati svolti, sono inammissibili: essi tendono infatti al riesame del merito, in quanto, da una parte, svalutano gli elementi assunti dal giudice veneziano a riprova del giudizio negativo sulla credibilità (costo del viaggio, partenza forzata dalla Libia alla volta del territorio nazionale) e, dall’altra, ne esaltano un altro (cicatrici e fratture), che pure è stato considerato nell’ambito della valutazione delle condizioni di salute del ricorrente. A monte, peraltro, il ricorrente fa le mostre di non avvedersi che i primi giudici hanno condiviso la valutazione della Commissione territoriale che ha ricondotto la vicenda alla sfera “familiare/privatistica/penale ordinaria”, sfera che si pone al di fuori del perimetro della protezione internazionale. E su tale assunto, pure condiviso in seno allo stesso ricorso introduttivo, come dà atto il decreto, non c’è alcuna censura.
4. Con il terzo ed il quarto motivo si deduce, rispettivamente, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, lett. b) e c), e art. 5, comma 6, per la dedotta irrilevanza dell’esperienza vissuta in Libia e l’omesso esame circa il coinvolgimento nel conflitto libico, come presupposto per la protezione umanitaria. Avendo vissuto in Libia per quasi tre anni, afferma il ricorrente, detto Stato non può esser considerato un semplice Paese di transito.
5. I motivi, da valutare congiuntamente, sono infondati. Questa Corte ha già affermato il principio secondo cui l’allegazione che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. n. 2861/2018). Agli effetti della protezione richiesta, l’indagine del rischio persecutorio e di danno grave in caso di rimpatrio (v. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e-g) va effettuata, infatti, con riferimento al “paese di origine” che è “il paese o i paesi in cui il richiedente è cittadino”, mentre solo per gli apolidi va effettuata con riferimento al paese in cui egli “aveva precedentemente la dimora abituale” (dir. CE n. 83 del 2004, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. k; art. 2, lett. n). Una conferma della necessità di avere riguardo al “paese di origine” viene anche dalla dir. UE n. 115 del 2008 che prevede la possibilità del ritorno del richiedente nel “paese di transito” solo in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese (art. 3, n. 3)”. A tale stregua, la circostanza che il richiedente abbia soggiornato per anni in Libia è dunque irrilevante.
6. Con il quinto motivo, il ricorrente l’omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio relativo alla vicenda personale di esso ricorrente ed alla situazione interna alla Costa d’Avorio, ai fini della valutazione della protezione umanitaria.
7. Il motivo è inammissibile, Ed, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il permesso umanitario costituisce una misura residuale, per garantire le situazioni, da individuare caso per caso, nelle quali, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa disporsi tuttavia l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 4455 del 2018; n. 23604 del 2017; n. 15466 del 2014, n. 26566 del 2013). 8. Nella specie il giudice del merito ha escluso la sussistenza di una condizione di vulnerabilità, ed il ricorrente, che trascrive dati relativi al Paese di origine, omette di allegarla, deducendo l’assenza di rete amicale o parentale in Patria il lasso di tempo decorso dal suo espatrio e la generale situazione di insicurezza del suo Paese, senza considerare che questa Corte ha già chiarito che il permesso umanitario non va riconnesso alla generale condizione del Paese di provenienza, ma presuppone la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del singolo soggetto ed è volto a proteggere tale soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.
9. Non va provveduto sulle spese dato il mancate svolgimento di attività difensiva della parte intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020