LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8349/2019 proposto da:
C.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Tartini, del foro di Treviso, giusta procura in calce al ricorso e domiciliato presso BARBERIO LAURA;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Venezia, n. 1158/2019 depositato l’8/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 25/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA GIOVANNA SAMBITO.
FATTI DI CAUSA
C.A., cittadino del *****, ha impugnato innanzi al Tribunale di Venezia il provvedimento della commissione territoriale, che aveva respinto le sue istanze di protezione internazionale, insistendo per il riconoscimento della protezione umanitaria. Con decreto dell’8.2.2019, il Tribunale di Venezia ha rigettato l’impugnazione.
Lo straniero ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di cinque motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I dubbi di incostituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui esclude il giudizio d’appello sollevati dal ricorrente sono manifestamente infondati, alla stregua delle considerazioni svolte da questa Corte con la sentenza n. 17717 del 2018 e successive conformi.
2. Col primo ed il secondo motivo, si deduce, rispettivamente, la nullità della sentenza per la mera apparenza della motivazione circa la non credibilità della vicenda narrata, e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis. Il ricorrente lamenta che il giudizio di non credibilità è stato affermato in modo apodittico, senza alcun raffronto con le informazioni generali sul Paese di origine.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio relativo alla vicenda personale di esso ricorrente (minacce e traumi ingiustamente subiti) ed alla situazione di grave instabilità del Gambia.
4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. h bis, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè della convenzione Onu contro la criminalità organizzata transnazionale ed al suo protocollo addizionale contro la tratta del 2000, alla convenzione del Consiglio d’Europa contro la tratta n. 197 del 2005 ed alle rispettive leggi di ratifica, per l’asserita irrilevanza delle violenze subite in Libia, quale vittima di tratta.
5. Col quinto motivo, si deduce l’omesso esame circa il fatto decisivo relativo alla mancata valutazione dell’integrazione del ricorrente.
6. I motivi tra loro connessi vanno esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.
7. Dopo aver riassunto, a pag. 2 del decreto, la vicenda narrata nei seguenti termini: il ricorrente ha lasciato il proprio Paese “in quanto accusato ingiustamente dalla figlia dello zio con cui viveva di violenza sessuale” temendo “in caso di ritorno nel proprio paese di esser nuovamente fatto arrestare dalla Polizia”, il Tribunale è pervenuto ad un giudizio di non credibilità in considerazione delle rilevate contraddizioni ed incongruenze nelle versioni date dal richiedente su elementi fondamentali (discrasie temporali relative allo stupro, incongrua posizione dello zio – affermato al contempo contadino e personaggio influente tanto da corrompere la polizia, e del suo amico che avrebbe garantito il suo rilascio). Tale giudizio, com’è noto, attiene al merito, e non è qui sindacabile, dovendo, poi, rilevarsi che del tema della tratta, di cui il ricorrente afferma in seno al ricorso esser stato vittima, non vi è traccia nel decreto, che parla genericamente di ininfluenza delle vicende vissute in Libia, in assenza di conseguenze sulla salute e sulla persona del richiedente.
8. Se, dunque, il relativo tema d’indagine presenta profili di novità, non può sottacersi che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale è coerente con i principi espressi da questa Corte che ha escluso la rilevanza della valutazione della violazione dei diritti umani nei Paesi di transito quando, come nel caso in esame, non risulti evidenziata la connessione tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (Cass. n. 2861/2018), qui limitata al permesso umanitario. Al riguardo, infatti, occorre evidenziare che tale titolo di soggiorno costituisce una misura residuale per garantire le situazioni, da individuare caso per caso nelle quali, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa disporsi tuttavia l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 4455 del 2018; n. 23604 del 2017; n. 15466 del 2014, n. 26566 del 2013).
9. Nella specie, il giudice del merito, che, al lume delle acquisite informazioni, ha smentito specifiche situazioni di instabilità in Gambia, ha, quindi, escluso, anche considerato il passaggio in Libia, la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del ricorrente, il quale, poi, non la ha indicata specificamente. E questa Corte è ferma nel ritenere che tale situazione deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la condizione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti. Sotto altro profilo, è stato condivisibilmente affermato (Cass. n. 3681 del 2019) che “non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico”.
10. Va, da ultimo, rilevato, in riferimento alla dedotta integrazione nel territorio nazionale, che il Tribunale ha escluso lo svolgimento di attività lavorativa (evidenziando che era stata allegata, solo, la partecipazione a corsi di formazione), talchè il dedotto reperimento il reperimento di un’occupazione (in tesi sopravvenuto) non è in questa sede deducibile.
11. Non va provveduto sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva delle parte intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020